L'osteria

L'autunno affila le montagne, il vento
fa sentire le vecchie pietre d'unto,
spande dal forno un fumo di fascine
a fiotti tra le case e le topaie.
Son dietro questi vetri d'osteria
uno che un nome effimero distingue
appena, guardo. La mattina scorre,
invade a grado a grado l'antro. L'oste
numera, scrive giovedì sul marmo,
la donna armeggia intorno al fuoco, sbircia,
verso la porta se entra l'avventore.

Seguo la luce che si sposta, il vento;
aspetto chiunque verrà qui
di fretta e siederà su queste panche.
Il bracconiere, altri non può essere,
che s'aggira per queste terre avare
dove la lepre ad un tratto lampeggia,
o il venditore ambulante se alcuno,
raro, si spinge fin quassù alle fiere
ed ai mercati dei villaggi intorno.
Altri non è da attendere. Chi viene
porta e chiede notizie, si ristora,
riparte in mezzo alla bufera, spare.

Che dura è un suono di stoviglie smosse:
guardo verso la macchia e più lontano
dove solo la pecora fa ombra,
mi reggo tra passato ed avvenire
o com'è giusto o come il cuore tollera.