C’è che questo vuoto, eppure,
mi contiene a sfondo
e ogni stanza è già perimetro
sfrattato d’alba in occhio ombroso,
un valico autunnale.
Le mie parole svitano,
su giri azzurri di pozzanghere sfiorite,
il nesso dondolante di una sosta
tra me che sfondo il vetro di un’assenza
sedutapronta al tavolo di pietra
apparecchiato sempreverde a tre
per quell’omaggio di sole alla veranda
e il tuttoresto che ancora ci confina
silenzio masticato come pelle
al vento che mi oscilla e non mi cade in tuono
o scuri oziosi dimenticati a sbattere
senza la presa, senza!, di una mano.
Mi vedo piccola, sopra la sedia in vimini slacciato,
tentare vie di fuga come una giacca da indossare
sulla pioggia
mi sogno vecchia,
inumidita di spesa inutile che non so ricordare
le dita a fiore sullo spavento marmo del comò.
Là in fondo.
Sotto la lente si deforma anche la goccia di sudore,
l’ultimo sforzo teso alla terrazza,
la voglia di toccarla,
la seta verde di quella foglia nata nel frastuono
di ossigeno mancante
un desiderio sparso come cera
sopra la terra rossa calpestata
pallida d’amnesia che si riflette luna
e mi raggiunge acqua di silenzio
decantata
da riversare, buona,
piccola
cascata
per i pesci.
E poi, le ombre.
23/01/2007