“Fenice di Sottrazione”
Rinuncio.
Non per mancare,
ma per tornare.
Come la fenice, brucio il superfluo
cenere delle illusioni,
veli cuciti con mani altrui,
falsi ori che tintinnano vuoti nel silenzio dell’anima.
E da quel rogo antico,
non rinasco nuova:
rinasco vera.
Ho camminato per troppe stanze affollate
di parole che non dicevano,
di sorrisi che barattavano pace per approvazione.
Ora scelgo il deserto fertile,
la solitudine che non isola, ma apre.
Rinuncio alla pelle che non è mia,
ai doveri travestiti da virtù,
ai sogni imposti come religione.
E nel rinunciare, mi libero dell’eco degli altri
per ascoltare la mia voce nuda,
la sola che non mente.
Ogni rinuncia è un atto sacro,
una ribellione mite al rumore del mondo,
un ritorno alla sorgente.
Non temo più il vuoto:
è grembo, non tomba.
È in quel nulla che nasce il possibile.
Ora il coraggio non ha volto fiero,
ma mani stanche che accarezzano il presente,
occhi che vedono bellezza
nella crepa del tempo che scorre lento.
Voglio poco, ma che sia tutto.
Un abbraccio che non pretende,
una casa che respiri con me,
un silenzio abitato da verità.
Il tempo, sì, insegna a rinunciare,
ma solo perché ci sia spazio
per ciò che dura.
E io, cenere e seme,
fiorisco non aggiungendo,
ma lasciando andare.
Di Raffaella Frese