Curvavano certe realtà

Certe cose le venivano incontro, come una sorte inevitabile e avversa.
Non quella volta, non lui.
La macchina macinava quella manciata di strada che avrebbero dovuto percorrere.
Non parlavano un granché, giusto il necessario, ma sorridevano in quel pomeriggio di metà settembre e lui non le toglieva la mano da quel ginocchio, in una posa che le sembrava familiare, nonostante fosse passato parecchio tempo.
Posarono le loro cose sul tavolino.
Appena la porta fu chiusa si abbracciarono.

‐ Mi sei mancata tanto.

‐ Anche tu.

Poi lui la baciò e lei lo fece fare.
Quando furono vestiti solo d’aria lei gli guardò i nei. Glieli passò in rassegna, come un generale sulla piazza con il suo plotone.
Pensò, rassicurata, che fossero esattamente dove li ricordava. Lui dipanava il mondo solo con la sua vicinanza.
Certe figure nere, le voci appuntite che loro conoscevano bene, si arruffavano nel caldo di quel pomeriggio, diventando solo un ricordo.

I vestiti ai piedi del letto segnavano il confine col prima.
Chi l’ha detto che la notte è il tempo degli amanti?
A loro piaceva guardarsi nelle pose più naturali.
Lui la prese in braccio e la buttò sul letto. Le sfilò la mutandina e cominciò a leccarla.
Lei gli ricordò che dovevano stare attenti, il dramma di essere donna ogni tanto si affacciava e non le era piaciuto quando, a sedici anni, aveva cominciato a sanguinare ma si era convinta che fosse un passaggio necessario come tante altre cose che accadono, un ponte per ricongiungerla a quel momento. A lui.

Quando le fu sopra, lei ebbe un guizzo malizioso e provocatorio:

‐ Guarda guarda, mi tira su i polsi e li serra anche!
Cosa c’è di più eccitante e seducente della dominazione maschile in tutta la sua efficacia!?

Lui le morse il collo: ‐ Stronza!

In realtà lei era ben consapevole della forza che esercitava il suo corpo su di lui.

Quando lui la penetrò non fu violazione indebita.
Fu un ritrovarsi in fili di vento e forme di bianco.