En.

Il più importante convegno di presentazione del mio strabiliante progetto per risolvere i principali problemi ambientali, oggi conta una quindicina di spettatori.
In questo angolino di parco, proprio di fianco al sentiero dove sfrecciano gli atleti del mattino, hanno risposto all'appello i migliori imprenditori sopravvissuti ai rave aziendali tossici di una vita.
Ora se ne stanno davanti a me, a debita distanza l'uno dall'altro, seduti sopra le loro valigette, sopra il loro ultimo computer portatile. Tutto adattato a qualsivoglia necessità.
Ho individuato uno spiazzo di terra abbastanza grande e ci ho steso un asciugamano che a malapena mi basta, soffocando questa minuscola parte di globo.
Andando tecnicamente contro la salvezza che sto per proporre.
Oggi il mio pubblico è composto da ereditieri di aziende petrolifere, virtuosi della trinciatura forestale, edili idealisti in difficoltà, in cerca di una mano tesa.
Mano tesa che io ho inviato loro nella casella spam.
Li ho conosciuti inviando una di quelle mail a cui nessuno di troppo pratico risponderebbe mai, alla quale solo dei fragili sognatori avrebbero aperto il cuore.
Il testo era questo:

“Carissimo e rispettabilissimo Manager,
sei alla guida di una grande industria braccata dalla pressione della sostenibilità?
Rischi di bollire in un pentolone di acqua di mare surriscaldata e vogliono convincerti che l'inevitabile e moderatissimo inquinamento della tua attività sia responsabile?
Vieni a conoscere la verità circa questo dilagante allarmismo da coccodrilli, andiamo alla radice del problema e creiamo una lunga catena di consapevolezze che niente invidi alle catene polimeriche di fusione della plastica!

Distinti saluti,
N.”

Non hanno voluto sapere il mio nome per intero, non hanno voluto un testo in calce alla mail.
E' bastato un barlume di nuove possibilità d'affari e ci si sono fiondati come lupi.
Sono proprio loro che cercavo, quelli che hanno una fervida immaginazione da funghetti allucinogeni post business call.
Quelli che guardano in prospettiva e, anche nella mail di un potenziale ciarlatano, vedono il dettaglio che può tornare utile.
Sono gli stessi poeti che gioirebbero per la possibilità di incassare un grossissimo risarcimento mandando soldi a quello strano principe turco in occasionale avversità economica.
I nuovi romantici.
I nuovi visionari senza scrupoli.

Per convincerli della mia proposta, devo quindi partire da una storia che li appassioni.
Ognuna di queste persone ha solo bisogno di qualcosa di magico, di un segreto di nicchia.

Circondati dai passi pesanti dei podisti sulle foglie cadute, inizio il discorso dicendo che esistono nomi per le fobie più strane.
L'optofobia, ad esempio, è la paura di aprire gli occhi.
Arachibutirofobia è la paura che il burro d'arachidi rimanga attaccato al palato.
Ridendo, dico che per identificare la paura delle parole lunghe hanno usato una parola lunghissima.
Non è pazzesco?

Una cinciallegra nera vola su un ramo vicino muovendo tutto il parco.

Stropicciando un angolo dell'asciugamano in modo da volerlo far assomigliare ad una barca, svelo che quello che non esiste è una parola per definire la fobia del silenzio.
C'è una generica paura della disconnessione, Nomofobia.
Una generica paura di rimanere soli, Monofobia.
Dico.
E' come se non si volesse pensare alla fobia del silenzio così tanto da darci un nome, come se fosse impossibile che qualcuno possa averla.
Dico.
La cosa più incredibile è che i titolisti delle fobie non vogliano riconoscere che, in realtà, la fobia del silenzio sia la fobia del secolo.

Liscio l'asciugamano e la barca scompare, affondata nella terra avvelenata d'amianto.
Chiedo.
Quante persone conoscete che, realmente, tra una stanza vuota e silenziosa e una vuota ma con una radio accesa, preferirebbero la prima?
Quante ci si fionderebbero davvero senza pensarci due volte?

Rendendo le cose più difficili, chiedo se qualcuno di loro è mai stato in silenzio per un giorno intero. Se per caso è una delle loro ambizioni.
Chiedo.
Cosa ci spinge a volerci circondare di distrazioni uditive? A voler parlare incessantemente del nulla, piuttosto che ascoltare il vento?
Pensateci bene.

Uno qualsiasi di questi trasformisti occultatori di rifiuti tossici inizia ad avere quelli che sembrano tic da astinenza, infastidito dal ronzio di una bellissima mosca blu della carne.

Sospiro.
E se questa disaffezione alle questioni ambientali fosse dovuta al fatto che non siamo più in grado di accettare rumori che non siano artificiali?
Se ci ritenessimo così diversi dal mondo naturale, da non elaborarlo più?

La verità è che non è stato affatto il protossido di azoto delle vostre industrie ad iniziare il processo di alterazione climatica.
La verità è che le vostre microparticelle radioattive sono solo il capro espiatorio finale.

L'inzio della tragedia, l'inzio vero, c'è stato quando hanno cominciato a proporre musica di sottofondo nei locali, nei supermercati, creando un'enorme differenza tra il fuori ed il dentro.
Creando livelli diversi.
Uno dove c'è fermento, c'è economia, c'è artificio e un altro, semplicemente, noioso.
Noioso a tal punto da poter essere sacrificato, a beneficio dell'altro.

Lo sapete che i primi veri studiosi della fobia del silenzio sono i ristoratori, i gestori dei bar?
E' la verità.
Fateci caso.
Nel vivo della serata, con la musica pompata, si ride, si continua a consumare, a spendere. Ma quando il gestore spegne la musica, quando iniziano a sentirsi solo i grilli dalla finestra, nessuno trova più aneddoti da raccontare.
Ci si allontana a gambe levate da quei suoni primitivi.

Fisso lo sguardo su ognuno dei loro occhi velati dalla mescalina da bilancio di fine anno.
Le loro pupille sono buchi neri così grandi da poter contenere la più ingombrante delle rivelazioni.

Amici miei, l'arma del delitto si chiama Muzak.
E' la musica nata per essere ignorata, per stare sullo sfondo dei locali pubblici, ma al contempo per agire sul tuo inconscio in modo studiato.
Un vero e proprio genere musicale.
Ogni gruppo rock, mille anni fa, portava avanti un progetto di muzak parallelo.
Li chiameremo progetti, per non chiamarli Consorzi Scientifici di ricerca.
Io ne facevo parte e, giurin giurello, dal potenziale di questa muzak ne ero stupefatto.
Avevamo capito quali riff di basso potevano portare le coppie a baciarsi davanti alle salse barbecue.
Avevamo capito che tutte le miss mondo potevano smettere di pensare alla loro prima ruga e concentrarsi sugli affettati solamente su determinate frequenze di batteria.
Li facevamo stare meglio, e le vendite si impennavano di conseguenza.
Statisticamente, dove venivano filo‐diffuse le nostre opere, la gente tornava, spargeva parola.
Certe volte i supermercati erano talmente affollati che il personale in cassa doveva triplicare.
E non perchè ci fossero le offerte migliori del paese, ma perchè la musica ipnotizzava.
Dava alla testa.
Tra quelle mura, si creava una nicchia diversa da preservare.
Un microcosmo unico.
Poco importava se serviva solo ai commercianti per arricchirsi.
Poco importava anche delle schifezze gettate a terra davanti all'ingresso nell'attesa dell'orario di apertura. Del carburante iniettato all'aria a tutte le ore del giorno per recarsi in quei preziosi santuari.
Capite? È lì che è iniziato il distacco tra mondi.
La gente non concepiva più l'esistenza di un universo ‐quello naturale‐ che non volesse qualcosa da loro, che non li sfruttasse.

L'udito è sempre il primo senso che si colpisce per creare nuove realtà.
Il dio del commercio, nel suo olimpo affamato, prima ci ha rapito con suoni estranianti, subito dopo con viste mozzafiato di ambienti virtuali la cui versione vera, in realtà, marcisce sotto i mille gradi dei mega server utilizzati per crearli.
Ben presto la gente ha perso il controllo.
E il controllo ha trovato voi.

Dal profondo del mio cuore, io so benissimo che siete solo le ultime vittime di questa manipolazione.
Siete quelli che hanno accusato di più il colpo.
I cuori puri di peter pan drogati così tanto dalla muzak che, crescendo, si sono chiesti se l'Isola Che Non C'è avesse effettivamente un'utilità, trovando lecitissimo ucciderla a colpi di srl inquinanti.
Il fatto è che Trilly è la vostra procacciatrice d'affari.

Per quanto mi riguarda, dopo aver capito di essere la causa di tutti i vostri problemi, oggi sono qui in qualità di risolutore.
Sono il cacciatore che vi dà da mangiare dopo avervi ucciso mamma cerbiatto.
Il salvagente che vi ho creato, è fatto esattamente di quello che vi ha distrutto.

Posso certamente affermare che, a quel punto, tra le fioriture dei tigli, fosse dedicata a me tutta l'eccitazione di un chems‐party da compliance normativa.

Si chiama N‐uzak, e ci riporta all'inizio di questa questione.
Non è che la fobia del silenzio non esista, è che non riconoscerla porta un gran vantaggio alle industrie commerciali.
E' la verità.
Si vende di più, se ti convinciamo che non c'è nulla che non vada se preferisci le corsie di un centro commerciale ad un prato immenso.
Ma vi svelo un segreto.
Quelli che l'hanno conosciuta a fondo questa fobia, quelli che per primi vogliono curarla, siamo proprio noi che ne siamo stati trafitti più di altri.
E la useremo come arma.

N‐uzak.
Rispetto a Muzak ho cambiato solo la lettera iniziale, così la gente non se ne accorge.
Se ci pensate è proprio questo il succo di tutta la storia.
Per ora posso coprire solo questo parco, ma ho già le prime multinazionali interessate ad investire su ampia scala e qualcosa mi dice che voi sarete i prossimi.
Mi spiego.
Sotto la corteccia di questi alberi sono stati installati elaboratissimi microfoni, elaboratissimi effetti, elaboratissimi amplificatori.
Tutti i suoni ambientali, nessuno escluso, sono assorbiti da giganteschi pannelli impermeabili color cielo, rielaborati e restituiti in sequenze studiate che creano messaggi a livello inconscio.
Dite addio a quei suoni naturali che non volevate davvero sentire.
Ora ci sono solo veicoli, annunci pubblicitari.
Quello che ho creato, sono traduttori bosco – commercio.
Nessun uccello canta, nessun ruscello scorre, nessun tipo di brezza soffia più in modo disinteressato.
Tutto vuole venderti qualcosa.
La cosa curiosa è che specifici settori produttivi si contendono specifiche sonorità.
I fast food mi pagherebbero oro per tradurre i corsi d'acqua nella pubblicità del loro nuovo cheeseburger. Giusto perchè i ruscelli scorrono in modo continuo, martellante, senza pausa.
Ho mille mail di aziende di occhiali da sole desiderose che il pubblico pensi a loro, mentre alzano lo sguardo per vedere dove si nasconde il pettirosso che ripete la loro ragione sociale.
E, se avete notato, proprio oggi, in questa seduta, avete pestato rami secchi sperimentali che, per il 60%, appartengono già ai big delle calzature.
Non è fantastico?

Il pubblico di petrolieri, i re indiscussi dell' estirpazione di baobab millenari, mi guardano come se avessi dato loro il pin del bancomat dei Rockefeller.
La svolta della loro carriera.

Il focus del progetto, miei dolcissimi compositori stilnovisti sacrificali, è che a quel punto inquinare sarà contro il vostro interesse.
Farete di tutto, di tutto, perché il vostro investimento, il vostro sponsor vivente, sia in salute.
Venderete vostra madre affinché la qualità dell'aria e le temperature siano accettabili da permettere al vostro Turdus merula una nidificazione senza intoppi, da tornare ad ottenere qualsiasi rivo con il ph dell'acqua santa.
Guadagnerete così tanto da riconvertire le vostre aziende in piccoli baluardi all'avanguardia della cultura ecologista e green. Sarete voi i primi a volere che la natura si preservi.
La gente tornerà nei parchi, nei boschi, grazie allo stesso principio che la spinge a stare nei bar, nei supermercati, e ne avrà rispetto.
Se volete la verità vera, quella che ho scoperto alla fine dei miei studi, è che la gente non ha paura del silenzio in sé.
La gente ha il terrore di non essere un prodotto dei trend di mercato.
Grazie a noi, lo sarà costantemente.

Ci vorranno una decina d'anni, solo una decina d'anni per rendervi tutti multimilionari e diminuire le temperature di almeno 6 gradi.
Una quindicina d'anni per depurare l'aria del 70% di Co2 e per catapultarvi in cima alla lista delle aziende del vostro settore.
Vent'anni, dico vent'anni, per smettere di additarvi come colpevoli dei maggiori disastri e implementare l'auto‐rigenerazione dei ghiacciai millenari.
E saremo pronti, già stiamo progettando il software per tradurre in advertising anche i micro‐suoni della formazione del ghiaccio.
In alta quota si fanno affari d'alta quota.

Devo ancora finire di parlare e già il mio piccolo asciugamano viene ricoperto da biglietti da visita, assegni e numeri di telefono.
La terra attorno a me non la vedo più, non con il suo principale significato. Niente ha più il suo principale significato.
Giurin giurello, a fin di bene.
Questi leader del romanticismo nocivo senz'anima.
Tutti straordinariamente pronti ad investire sul futuro del mondo.

Sopra di me, esattamente in questo momento, il maestrale soffia tra i rami l'imminente uscita di una nuova collezione di elettrodomestici digitali.
Uno scoiattolo grigio cerca di corteggiare una scoiattola grigia, ma tutto quello che gli esce dalla bocca sono annunci di sconti sulla profumeria.

Inizia una nuova epoca.
Remunerativa e purificata.

Così come dicevano gli innamorati più conosciuti della storia:
“Forse quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo marketing?”

(Questo mio racconto è contenuto nell'antologia "Trasformazioni ‐ Storie dal pianeta che cambia", edita da Calibano editore a cura di Heiko H. Caimi e Giovanni Peli)