Il Bagatto e gli Amanti

Romanzo Fantasy per tutti.
La Luna

‐ Dovevamo svoltare a Bor! Ecco, lo dice anche qua ...sei cieco? – Angela batteva, esasperata, il dito su un punto della cartina tascabile, recuperata in albergo, a Praga.
La ragazza cominciava ad essere veramente in agitazione.
Fabio, invece, faceva lo scemo, soprattutto per sdrammatizzare ... a ogni istante che passava si convinceva sempre di più che si erano, indiscutibilmente, persi.
Il maledetto navigatore, all’improvviso, si era messo a dare i numeri e a dare le indicazioni in Ceco.
Il Ceco è una lingua complicatissima, soprattutto da leggere, per un Italiano poco pratico, così era risultato impossibile, nella bruma che si era alzata, capire cosa dicessero i cartelli piazzati lungo la strada.
Lui non voleva affondare il coltello nella piaga per evitare un vero litigio; l’idea lo rattristava, voleva che almeno il loro viaggio di nozze, restasse un ricordo magico e felice, nella vita insieme che li aspettava.
Se fossero partiti alle dieci, come progettato, da Praga a Marienbad, ci avrebbero messo un paio d’ore e, di certo, non si sarebbero neppure persi, perchè il tempo si era rabbuiato nel pomeriggio.
Ma lei, la sua signora, non poteva rinunciare a un altro giro per mercatini, a perder tempo per cercare cianfrusaglie.
Non avrebbe mai capito le donne ... potevano essere acculturate, laureate e, persino, disincantate ma al fascino, luccicante, di una collanina di vetro, a un paio di orecchini, non avrebbero mai saputo resistere; nonostante molti, di quegli oggetti che le avevano mandate in visibilio, non li avrebbero indossati mai.
‐ Bor ... Bor, tesoro, ma se non ci siamo mai arrivati a questo Bor! – disse Fabio.
‐ E certo – rincarò Angela – perchè tu avevi fretta di girare ... impaziente: come al solito! –
La realtà era che, adesso, le cose si erano messe male.
La strada larga si era sempre più assottigliata, diventando, pian piano, un sentiero tra i boschi.
La caparbietà di Fabio, come spesso capita a chi guida, era dettata dalla speranza, tipica di chi si perde, ed è in ritardo, che la strada migliori di li a poco.
L’apprensione ti porta a incedere, come se la tua convinzione nell’andar avanti, potesse domare l’orografia dei luoghi, soprattutto di quelli che non conosci.
Adesso si trovavano in un imbuto, circondati da cespugli e alte conifere: davanti a loro, sotto la luce dei fari, un grosso ramo ostacolava il sentiero, mentre intorno e dietro non si vedeva quasi niente. Una nebbia, grigia come fuliggine, aveva improvvisamente, preso il posto della bruma pomeridiana.
Fabio, preferì fermarsi, invece di rischiare di rompere la macchina.
Meglio aspettare un poco, magari cercare soccorso, che restare appiedati in un posto sconosciuto.
Improvvisamente il paesaggio era diventato alieno e loro, i figli dell’era tecnologica, provavano lo sgomento che per millenni aveva attanagliato l’umanità. Quando le distanze erano enormi e il tempo faceva paura.
Il telefonino non aveva campo ... tipico!
‐ Non ti preoccupare, amore. – disse Fabio, cercando di spingere con lo sportello verso l’esterno, impedito dai cespugli, si aprì un piccolo varco, che usò per scendere dall’auto e per guardarsi, inutilmente, intorno.
Niente ... non si vedeva a un palmo di naso.
L’aria era umida, ovattata, invasiva ... e il silenzio: spettrale.
Fabio risalì in macchina, portentosi dentro un brivido, ma non dovuto al freddo.
‐ Dobbiamo solo avere un po’ di pazienza. – la rincuorò – Sono luoghi turistici: molto controllati, non c’è niente da temere. Vedrai. –
Ma Angela era tutt’ altro che soddisfatta del suo resoconto.
Per fortuna la paura aveva avuto la meglio sul suo lato polemico e lei si astenne dall’assalirlo verbalmente. Almeno per ora.
‐ Cosa facciamo adesso? – Angela aveva un diavolo per capello e aveva anche paura, a quel punto.
‐ Aspettiamo un pochino ... questa nebbia maledetta dovrebbe diradarsi. – Fabio era preoccupato quanto lei, ma cercava di non trasmetterle ulteriore apprensione.
Il germe di un possibile litigio, isterico, era nell’aria, nel piccolo abitacolo della macchina a noleggio.
‐ Non mi ascolti mai ... cominciamo proprio bene! – sbuffò lei, nevrotica – C’era il treno, comodissimo ... ma tu no: dovevi fare l’avventura! –
‐ Tesoro, non ti arrabbiare ... avrebbe dovuto esserci un paesaggio meraviglioso! ‐ Ma sei fuori? – disse Angela infuocandosi e fissandolo – Lo vedi ... eccolo là il tuo meraviglioso paesaggio. Qua rischiamo la vita, lo capisci? –
‐ Ma dai ... non essere catastrofica ... e che cazzo. – anche Fabio ora iniziava a perdere le staffe. Usci dalla macchina, sbattendo la portiera.
Se solo si fosse diradata quella maledetta nebbia ... sarebbe bastato vederci a pochi metri. Pian piano, a marcia indietro, raggiunto il primo spiazzo, poteva girare e tornare alla via principale.
Poi si spostò davanti al cofano. L’enorme ramo che era caduto in mezzo al sentiero era abbastanza pesante ma, ciò che rendeva impossibile spostarlo a mano, era il fatto che si era incastrato tra la fitta e stretta vegetazione che li circondava. Era come si fosse cucito tra i rami.
La sera calava rapida e il buio diventava sempre più minaccioso.
Ogni tanto un leggero crepitio, metteva Fabio a disagio ma certamente si trattava solo di qualche cristallo di ghiaccio, che precipitava sul manto di nevischio che pavimentava il bosco.
All’improvviso ebbe la sensazione di sentire un rumore diverso, come qualcosa di metallico, dopo qualche istante il rumore, estraneo, si ripresentò: forse a causa del cambiamento di direzione della direzione della brezza.
Fabio desiderò di tornare a cercare conforto nelle sigarette, per la tensione. Aveva smesso da poco e adesso ogni scusa era buona per sentirsi tentato.
Purtroppo non aveva sigarette e poi, se avesse fumato, non avrebbe che esasperato i rapporti, già tesi, con la sua novella mogliettina. Meglio evitare. Era già incazzata di suo.
Adesso il suono era più vicino. Fabio non si poteva sbagliare.

Il Matto

Era il suono di un campanellino, tipo quelli che portano i gatti, quei sonaglini che accompagnano ogni movimento delle bestiole.
Il suono non era costante, però si avvicinava inequivocabilmente e Fabio ebbe un brivido che gli pervase tutta la schiena.
Meglio avvertire Angela, pensò, non si mai.
Si affaccio dallo sportello:
‐ Tesoro, si sta avvicinando qualcuno ... o qualcosa? –
‐ Qualcosa ... cosa? Che vuoi dire. – disse lei sgomenta.
‐ Non lo so, potrebbe anche essere un animale ... un gatto ... e un sonaglio! – Mentre cercavano di capirsi senza litigare ancora una volta, proprio dietro di loro, nella nebbia, una specie di lucciola, giallognola e delicata, iniziò a ballonzolare, avvicinandosi dal lato posteriore della macchina.
Fabio, in quel momento e per la prima volta in vita sua, comprese appieno il significato dell’espressione: “cagarsi sotto” per la paura. Angela fu più risoluta, spaventata a morte, con voce stentorea gridò:
‐ Ehi! Chi c’è? C’è qualcuno? – il tutto in perfetto italiano ... il guaio è che erano nel cuore sperduto della repubblica Ceca. Ma si sa: “fortuna juvat ...”.
Nessuna risposta, però la lucetta continuava la sua danza incongruente nella nebbia e lo scampanellio, tanto improbabile da sembrare irreale, pure.
Angela era uscita, a sua volta dalla macchina ... adesso si era raggomitolata contro il giovane marito, terrorizzata.
Pochi istanti dopo una figura scura e strana, una sagoma, forse maschile, si fece largo tra la nebbia.
Adesso che era abbastanza vicino, sentirono che lo sconosciuto salmodiava una specie di lugubre, grottesca cantilena ... una specie di chiacchiericcio senza senso. Questa caratteristica, del tutto inadeguata alla circostanza, dava a quell’essere una pericolosa vena di idiotismo.
‐ Ehi? – strillò Fabio – Signore? Siamo qui ... ci siamo perduti. – cercava in tutti i modi di riportare a parametri più reali e moderni, il senso di fiabesco che la nebbia conferiva alla loro situazione. Lo strano “cartoccio” umano si avvicinò ancora e poi, arrivato a un paio di metri dall’auto, alzò la testa dalla schiena curvata dagli anni, e finse di vederli solo allora. Ma Fabio non si fidava: urlavano nella notte da alcuni minuti, persino un sordo si sarebbe accorto di loro.
Per tutta risposta alle sue perplessità, l’essere sbotto in una risatina, inutile e senza scopo ... Fabio era sgomento. “Persino un sordo” ... si era detto un attimo prima, ma adesso capiva che il problema poteva essere diverso, quello che si trovavano di fronte sembrava soprattutto uno svitato.
L’uomo si rialzò, come meglio poteva e li squadrò dalla testa ai piedi. Aveva gli occhi, neri nascosti sotto le sopracciglia folte. Sembrava vestito di stracci multicolori; una specie di Arlecchino, ma invece delle toppe colorate, portava pezzi di stoffa, pendenti e logorati dal tempo. L’uomo portava un alto bastone, un ramo ripulito dalle fronde; a metà, poco sotto la sua mano, callosa e scura, a era fermata una lanterna e, con cosa facesse luce era del tutto un mistero per la coppia, giovane e “tecnologica”. Dalla parte alta, invece, pendeva un involto di stoffa, probabilmente un fazzoletto bisunto, ripiegato, e annodato con i suoi stessi lembi a mo’ di involto. Anche nell’altra mano aveva un bastoncino ma molto più corto e, stranamente, fiorito. Forse erano solo gemme di una pianta prematura.
Riempiendo la scena di un rumore inatteso, un cane nero e senza razza, arrivò scodinzolando; trotterellava felice e, ignorando del tutto la presenza della coppia, si dedicò subito a mordicchiare la stoffa della coscia dell’abito già stracciato.
Insomma tutta la scena aveva dell’assurdo ... la presenza del cane, per un attimo, sembrò rassicurare Angela e Fabio. Una persona che ama gli animali difficilmente è una persona cattiva.
Ma il “folle” poteva non conoscere questa caratterisatica e poi, in tutta onestà, visto che scalciava e imprecava, contro le moine, esagerate, del cagnaccio, non sembrava che tra i due esseri ci fosse un amore troppo sviscerato.
Finalmente, il vecchio strambo, sembrò accorgersi di loro:
‐ Ah ... italien ... italiani! – disse ridacchiando – Nel bosco, di notte ... cosa cercate? –
‐ Ma niente – rispose Fabio, ‐ ci siamo perduti, ‐ ho chiamato già i soccorsi, saranno qui a momenti, spero. – Mentì ma l’altro non diede nessuna importanza alle sue parole.
‐ Bravi, bravi italiani e ... sposini!? Bello, bellissimo. Bravi! –
‐ Ma voi parlate l’italiano, bene? ‐ disse Angela – Come mai? –
‐ Ah ... sì, bene! Bella la lingua italiana, mi piace, molto musicale ... Bravi.! –
‐ Stiamo aspettando che la nebbia si dirada ... – disse Fabio, cercando di spillare notizie al vecchio, senza far troppo capire che si erano completamente sperduti.
‐ Ah ... la nebbia, sì. Aspetta! ‐ Il vecchio si frugò tra i cenci ed estrasse dal petto una tavoletta di legno.
Aiutandosi con la lanterna osservò attentamente tutta un serie di simboli, incomprensibile e vecchi, probabilmente una volta erano stati tracciati con la lacca colorata.
‐ Uhm ... la Luna ... dodicesimo giorno, Mercurio è qui ... no, monsignore, la nebbia non si dirada. Devi aspettare le undici ... le undici della sera. E’ proprio così! – sentenziò il vecchio, prendendo un atteggiamento falsamente serio. Infatti, un attimo dopo rise di nuovo senza alcun motivo apparente poi diede un calcio al cane e, senza più curarsi di loro, passò oltre, strusciando i suoi stracci sulla fiancata della macchina e procedendo con sicurezza.
‐ Ehi, no, aspettate ... è bloccata la ... –
Fabio ebbe un sobbalzo talmente vistoso che, anche Angela, che non aveva avuto il tempo di vedere niente, ne rimase sgomenta: il vecchio abbozzando due mezzi giri su se stesso, una volta verso destra e l’atra verso sinistra, aveva attraversato, indenne e in maniera del tutto silenziosa, il groviglio inestricabile, che si ergeva ancora davanti alla loro macchina.
‐ Ehi ... Ehi ... voi – gridò Fabio – ma come avete fatto? –
Angela capì che doveva intervenire e che quel matto era la loro unica speranza di uscire da quella incresciosa situazione.
‐ Signore, per favore ... ci siamo perduti ... –
Ma il matto sembrava non averla sentita. Aveva ripreso il suo concertino nella nebbia, col suo sonaglio da gatto e inseguito da un cane.
‐ Signore ... la prego, ci aiuti! – strillo Angela un attimo prima di vederlo sparire del tutto.
Allora il vegliardo sembrò titubare e si fermò, ma senza voltarsi. Anche il cane, ansando indeciso, guardava ora l’uomo ora la coppia, in attesa degli avvenimenti. Si girò lentamente e li squadrò con maggiore attenzione:
‐ Ah ... avete bisogno di aiuto? – disse, senza più ridere.
‐ Si, signore, ci siamo persi, ci aiuti per favore. – disse anche Fabio ‐ Mancano quattro ore alle dieci ... non sappiamo niente, neppure dove ci troviamo! –
‐ Uhm ... – l’uomo, con una specie di atteggiamento da furbo, si tastò il mento, fingendo di meditare ... poi, a sorpresa:
‐ Ma ... voi siete sposati seriamente? – chiese.
‐ Oh si, da poco: siamo in viaggio di nozze. – strillò Angela, quasi allegra.
‐ Eh ... allora, voi ... voi due, ci credete ancora nell’amore? – il ragionamento del vecchio era allucinante e Fabio si preoccupava sempre di più ma ormai c’era dentro fino al collo. Per giunta, obbedendo alla complicata mentalità femminile, Angela, invece di temere quel matto, al solo sentir parlare d’amore si era sciolta, incantata dal tono romantico preso dalla conversazione.
Donne! Inopinatamente sentimentali ... anche a sproposito.
‐ Si che ci crediamo ... – disse Fabio, cercando di mantenere i piedi per terra – ma che c’entra? –
Il vecchio rise, più folle che mai: ‐ Ah ...ah, questa poi. L’amore c’entra sempre, monsignore. – li invitò a seguirlo alzando il bastone – Venite, allora, signori e amanti. Seguite me! –
‐ Ma come facciamo? Lei da dove è passato? – disse Fabio, fermo davanti al groviglio di rami.
‐ Ma su, ma su ... venite ... è facile! Su datevi la mano. – intanto era tornato indietro e, lui stesso tese la mano a Fabio, che a sua volta, stringeva quella di Angela. Miracolosamente attraversarono rami e rovi, come fossero steli d’erba arrendevoli e si ritrovarono dall’altro lato della “selva oscura”.
Seguirono il “personaggio”, che ormai, incurante di loro, avanzava deciso nella nebbia e nel buio.
‐ Ma dove andiamo? – disse Angela a Fabio, che, però, era ancora più sbigottito di lei.

Il Carro

Seguirono quello stranissimo personaggio, sgomenti, quasi increduli: in meno di un ora la loro esistenza aveva cambiato registro ... dalla civiltà tecnologica costellata di certezze, di sequenze ben precise e regolamentate, adesso camminavano nella notte e nella nebbia verso l’ignoto. Nulla di ciò su cui si basavano nella loro, ben organizzata, quotidianità aveva più valore in questa dimensione, nuova, silente, senza tempo. Erano in balia del destino ... uno qualunque di quei tragici destini di cui sentivano parlare ogni giorno dai notiziari, poteva toccare quella sera proprio a loro. Stavolta era tutto diverso. La paura, l’incognito, l’incertezza la stavano vivendo ... non era una proiezione su uno schermo, la coppia di sposini, cominciò a provare il terrore della consapevolezza di essere impotenti di fronte agli avvenimenti.
L’uomo misterioso avanzava davanti a loro senza mai lasciare la mano di Fabio che, a sua volta attirava a se Angela. Stranamente il percorso era facile e senza intoppi, nonostante stessero attraversando rovi e spini aggrovigliati. Lui andava facendosi precedere dal bastone lungo, con tanto di sonaglio e lanterna: ad ogni passo si faceva largo col braccio e sembrava che gli sterpi, e pure la nebbia, gli obbedissero, formando un varco che un istante prima non c’era.
Il cane nero arrancava per tenere il passo, poi spariva nella notte per poi tornare sui suoi passi, probabilmente era un cane pazzo, come il suo padrone.
Le quattro luci lampeggianti, della macchina in panne, non si vedevano più già da qualche minuto, quando la piccola compagnia si ritrovò di fronte a un grande muro, fatto di pietre enormi.
Pochi passi dopo, attraversarono una breccia in quella muraglia e, nonostante la nebbia, era lampante che si trovavano all’interno di un mucchio di rovine consumate dal tempo. Eppure, seguendo il matto ancora per pochi passi, nella nebbia si stagliò la figura squadrata e luminosa di una grande finestra. Al suo fianco una porta socchiusa, di legno antico forse marcio e che odorava di muschio.
Il vecchio matto spalancò la porta e, un attimo dopo, tutti e tre si ritrovarono in un grande ambiente, non troppo luminoso ma riscaldato piacevolmente da un enorme camino. La bocca del camino lasciò stupefatti sia Fabio che sua moglie, non avevano visto mai nulla di simile: era alta quanto un uomo. Sul davanti, al di sopra della cornice di pietra, tutta scolpita a motivi floreali, c’era, in alto un grande cono con l’imboccatura a conchiglia, che si assottigliava verso sopra, perdendosi nel buio del soffitto, talmente in alto da risultare invisibile. La sua funzione era chiara: rappresentava un aiuto al tiraggio e probabilmente, un ingegnoso sistema per convogliare il calore in una stanza superiore, qualora essa ci fosse ... ma era impossibile rendersene conto in quella penombra.
Il vecchio li squadrava nella fioca luce calda che scaturiva dalle fiamme, ora altissime, che scaturiva da una catasta di legni esagerata. Loro, rincuorati dal calore si rilassarono un poco e studiarono cercando di non farsi notare, chi avevano realmente di fronte. Lui aveva la pelle cotta dal sole colore del cuoio, segnale di una vita passata all’aperto, gli occhi erano quasi nascosti sotto le sopracciglia scure e cispose ma sicuramente erano intensi e acuti. Visto adesso, fuori dal contesto disperato in cui lo avevano incontrato non sembrava più né tanto vecchio, né tanto curvo e ... non rideva più né biascicava balbettii insensati.
‐ Sedete ... – disse nel suo italiano corretto ma dall’accento slavo – bella l’Italia. me la ricordo bene: il vostro sud è un posto unico, meraviglioso. Si! –
C’erano due panche vecchie ma il legno era lucido e robusto. Parlò un po’ tra sé perso in ricordi che i suoi ascoltatori non conoscevano, poi rivolto a loro due chiese, preciso:
‐ Quindi, bella coppia italiana ... voi dite di amarvi, giusto! – rise di nuovo, ‐ ma voi sapete cos’è un sentimento? Lo sapete veramente? – li scrutò, come se aspettasse una risposta più dai loro sguardi che dalle parole. ‐ Conoscete la forza vera di un sentimento? Sapete voi che cosa lo anima? – si voltò a guardare il camino e le fiamme si divertirono a disegnare ghirigori rossi sul suo volto arcano.
Poi prese dalle sue spalle un vassoio… che prima non c’era, o almeno non lo avevano visto ... sembrava che le cose, gli oggetti si materializzassero tra le mani di quello strano tipo. obbedendo alle sue esigenze.
‐ Bella signora italiana ... hai il nome dell’angelo – sorrise a Fabio, ammiccando – spero per te che lo sia davvero, mon amì. –
Se non fossero stati impauriti avrebbero probabilmente apprezzato quella singolare compagnia: era innegabile, quella persona aveva un certo fascino inspiegabile.
‐ Ecco bella signora: fa tu gli onori di casa ... – le mise davanti il vassoio, con tutti gli ammennicoli per preparare un buon the. Angela, fece finta di niente e pose un pentolino già pieno d’acqua di fonte, su un piccolo trespolo situato presso brace. Intanto si era resa conto di avere tra le mani un servizio di tazze argento, finemente cesellate e sicuramente antiche. Roba da re ... insomma.
‐ Intanto vi racconto una storia, se volete ... per ingannare l’attesa. – diresse nuovamente lo sguardo tra le faville che salivano sfrigolando nel grande camino.
‐ Vedete ... io non sono stato sempre “matto” come mi vedete adesso ... – sorrise tra sé, sapendo di aver colto nel segno, con la sua stessa definizione ...

L’Imperatore

“ Tanto, tanto tempo fa, il re di queste parti ebbe un figlio: un maschietto, forte come un toro e sano come un pesce. Era talmente orgoglioso di quel suo primo figlio che non gli bastava che il ragazzo fosse già principe e, a Dio piacendo, sarebbe succeduto a lui, diventando a sua volta re e cercando di essere un buon padre per la popolazione del suo piccolo, pacifico regno. Oh, no!
Quel signore voleva di più per il suo figliolo, già se lo immaginava: imperatore di un intero paese, trionfatore su eserciti e genti ... finché smanioso decise di recarsi da suo fratello più giovane che da anni si era ritirato tra maghi ed eremiti sulle montagne più impervie, per studiare le antiche alchimie e i rimedi portentosi dei grandi saggi.
Qui giunto si presentò al fratello e gli intimo di aiutarlo a realizzare il suo progetto. Il mago cercò con tutti i mezzi di persuaderlo, di convincerlo a lasciare in pace il ragazzo affinché vivesse la vita che il destino gli aveva riservato ma non ci fu verso. Allora, dopo un’estenuante prova di forza pervennero a un accordo: il ragazzo sarebbe stato libero di vivere la sua giovinezza, spensierata e felice, fino a quando il tempo del padre non si fosse compiuto ... e solo allora, il mago gli avrebbe consegnato un elisir, dotato di uno speciale potere, tale da dare fascino e potenza infinita al giovane, futuro re.
L’accordo fu sancito e dopo essersi abbracciati affettuosamente per un ultima volta, i due fratelli si lasciarono e ognuno fece ritorno alle sue incombenze.

La Ruota della Fortuna

Il giovane principe cresceva felice e intraprese anche dei viaggi, accompagnato dal suo seguito fedele, per conoscere usi e costumi di altri paesi. Aveva un animo gentile, bell’aspetto e una capacità di parlare direttamente al cuore ... ascoltarlo era un piacere per tutti e i suoi sudditi vivevano pacifici, sicuri che al vecchio re, sarebbe succeduto colui che già si dimostrava un futuro, ottimo re, amante della vita e della pace.
La beatitudine di quegli anni non durò a lungo, appena il giovane ebbe compiuti diciotto anni, una brutta caduta da cavallo, portò il re, suo padre, alle soglie dell’esistenza terrena. Il re espresse subito il desiderio di mandare a chiamare suo fratello, non dimentico del patto sottoscritto, e inviò i suoi messi ad avvertire il mago ma quando questi arrivò era già tardi e non potè che partecipare ai solenni funerali, in onore del re.
Il mago vide il principe con piacere e, da questi, fu invitato a restare presso la regia almeno fino alla cerimonia della sua prossima investitura. Lo zio accettò di buon grado, dopo anni passati a studiare i vecchi libri e a tentare formule magiche, la vita nel castello piena di agi e comodità gli sembrò un paradiso.
I giorni passavano e il mago non si decideva a mantenere il patto stretto col re, per donare ulteriore potenza al giovane principe. A lui sembrava già tutto così perfetto in quel reame e fu tentato più volte di far valere la ragione, magari rispettando il patto solo a metà. Pensò che avrebbe potuto spiegare al giovane come stavano le cose, era un ragazzo assennato e avrebbe potuto comprendere la gravi responsabilità che tanto potere gli avrebbe procurato.
Ma qualcosa di inatteso avvenne perché Cupido ci mise lo zampino… il mago benvoluto e a suo modo affascinante pose gli occhi sulla vedova del re, una donna ancora giovane e di una bellezza sconvolgente. Tra una romanza e una poesia, mentre i cortigiani erano impegnati nelle loro incombenze, il mago si innamorò della regina in modo talmente esagerato da rischiare di perdere i lumi della ragione. La lunga astinenza e la pratica del celibato fecero il resto, infuocando ancor di più l’animo del cognato che ogni giorno passava ore e ore a confortare la triste e inconsolabile dama.
La donna non vedeva in lui che un cognato premuroso e un attento istitutore del figlio, ma nulla di più. L’amante segreto invece si fece intraprendente e, forte dei suoi sortilegi decise di intervenire direttamente sulla realtà e sul destino. Per prima cosa, con una scusa banale, convinse la regina a bere una mistura ricostituente e miracolosa che l’avrebbe riscossa da quella pericolosa mestizia che l’aveva pervasa. In realtà, le aveva somministrato un potente filtro d’amore, che esaltò nella donna ogni ardore sopito e vinse ogni sua ritrosia. Tant’è che, quella notte stessa, fu proprio la regina che in preda a capogiri e mancamenti si recò segretamente nella stanza del cognato, alla ricerca di conforto.
Presto caddero l’uno tra le braccia dell’altra e non fu possibile per nessuno dei due trattenersi dal diventare amanti. Questa passione, naturalmente potente nel mago e instillata con l’artifizio nella regina, non tardò a far scaturire i suoi perversi frutti.