Il Bagatto e gli Amanti - 2

Romanzo Fantasy per tutti.
Il Diavolo

Qualche giorno dopo, il fratello del re, installatosi ormai prepotentemente nella reggia, senza più nutrire alcuna remora non fece altro che soddisfare le ultime volontà di suo fratello, il re morto da poco. Si recò dal principe che attendeva la prossima incoronazione e gli esternò, ma solo parzialmente, i desideri che suo padre gli aveva confidato.
Instillò nel suo cuore vari dubbi riguardo alla sua certezza nella incrollabile fedeltà dei sudditi che, se governati con troppa permissività, gli si sarebbero rivoltati contro, considerandolo un re debole e malleabile. Manipolò alcune notizie e documenti che riguardavano manovre occulte dei sovrani vicini che, molto, presto, approfittando dell’interregno avrebbero potuto approfittarne per tentare un’invasione del paese. Infine, lo convinse che la visone paterna era quella di un figlio, grande e giusto, capace di garantire una lunga pace al mondo nelle vesti di un futuro, invincibile imperatore.
Il principe, puro di cuore, non aveva motivo di dubitare delle narrazioni di suo zio che era stato sempre onesto e leale.
Si convinse e accettò di seguirlo nelle operazioni che si dovevano compiere per procedere all’attuazione di quell’ambizioso, enorme progetto.
Un giorno il mago si fece seguire nel bosco fitto, mentre un giovane servitore li seguiva portando una pesante scatola di ferro. Arrivati in un punto appartato, il mago fece posare il piccolo forziere. Prese dal taschino una chiave e aprì una porticina intarsiata; si chinarono davanti allo sportello: esso custodiva un’ampolla contenente un liquido opalescente, colore della tempesta e sempre in moto.
‐ Ecco – disse il vecchio mago –questa è la ricetta della tua potenza, questo è il dono meraviglioso che tuo zio ti ha riservato, in nome di tuo padre, il re! ‐
Il principe estrasse l’ampolla e la studiò, fidandosi poco di quell’intruglio che sembrava attraversato da scariche elettriche, come piccoli fulmini che vivi e pulsanti.
‐ Non temere, figliolo, questo non è che il desiderio di tuo padre ... – continuò lo zio – Bevine con fiducia e sarai un grande! –
Sulla bottiglia era saldata una targhetta d’argento ma cosa ci fosse scritto era un
Il principe era un valoroso e una volta presa una decisione difficilmente tornava sui propri passi. Lo zio intanto lo pressava e lo irretiva cercando di ottenere ciò che, nelle sue trame, si era prefissato.
‐ Una volta all’anno, tornerai in questo sito e rinnoverai il rito: il liquido dell’ampolla ti ridarà sempre più coraggio e vigore! – poi, con gesto teatrale, fece un gesto ampio con la mano, – Qui sorgerà il tempio dedicato alla tua grandezza. –
Il giovane era teso e, ubriacato dalle parole, non riusciva a trovare opposizione alle argomentazioni del vecchio, e si decise: bevve un sorso abbondante del magico elixir. Per fortuna era del tutto insapore.
Sedette su un masso un poì confuso... aspettò; si interrogò intimamente ma non trovò assolutamente niente di cambiato in lui. In definitiva si sentiva benissimo, come e più di sempre. Ripose l’ampolla nel tabernacolo di ferro, mentre lo zio, con gli occhi luccicanti per il gaudio, gli consegnava la chiave del suo stesso destino.
‐ Domani, nipote mio, inizierò i lavori per costruire un adeguato ricovero all’ampolla, la fonte del tuo potere.‐ disse.
Il giovane lo ascoltò distratto, ma la sua mente, intanto si spostava altrove ...
‐ Consacriamo questo luogo con un sacrificio adeguato: è la legge degli Arcani! – disse inaspettatamente suo zio e con gesto repentino si portò alle spalle del servo. Questi aveva assistito a tutta la scena ma non aveva capito quasi niente, eppure il mago a sangue freddo gli affondò nella gola un pugnale che teneva nascosto nella manica. Mentre il giovane stupefatto perdeva conoscenza, il sangue cadeva copioso sul terreno e sul forziere, il povero ragazzo spirò incredulo e senza un lamento.
Lo stregone stesso fece in modo che il corpo, ormai inerte, cadesse a favore della cassa, affinché il sangue innocente irrorasse sia il tabernacolo. La frenesia di potere e di sesso che lo aveva ottenebrato iniziava a germogliare nella sua mente e nelle sue azioni, sfociando in opere sempre più perverse.
Scrutò attentamente il volto del principe: quel giovane che pochi momenti prima avrebbe reagito con veemenza inaudita a quell’opera nefanda, adesso guardava la scena annoiato come si trattasse di un operetta recitata male.
Sbuffò.
‐ Muoviti, zio, ho fretta ... e c’è tanto da fare. – disse con una voce nuova, pregna di una determinazione mai udita prima. Intanto la sua mente vagava già lontano e progettava imprese grandiose, imponenti, mai immaginate prima.
Il vecchio concertò col nipote una scusa per occultare la morte prematura dello scudiero. I suoi familiari, disperati, si rivolsero al principe, ben conoscendo la sua misericordia ma questi, infervorato nel progettare le sue prossime mosse, nemmeno si accorse del loro dolore.
In pochi giorni, invece, rivoluzionò il quadro politico del suo paese, circondandosi di ardimentosi ma anche dei peggiori lestofanti, visto che per portare a termine i suoi progetti di espansione avrebbero, di certo, dovuto far uso assai violento delle armi.
Sua madre, la regina, aveva poco senno tutta presa dal fervore erotico che il mago le aveva instillato e il principe era talmente ottenebrato che si dimenticò perfino di farsi incoronare re. Partì, con un piccolo esercito e, cogliendo di sorpresa i suoi confinanti e alleati ebbe ragione facilmente della loro tardiva e vana opposizione. Il suo esercito diventava sempre più forte e potente e il suo nome sempre più grande e temuto. Pervaso dalla brama di ottenere di più, sempre di più dalla vita ritornava di rado nel piccolo regno, era troppo impegnato a costruire il suo futuro impero.
Una volta all’anno si recava al luogo dove era custodita l’ampolla da cui egli traeva il suo invincibile potere. Lo zio aveva fatto costruire una torre, sorvegliata da guardie armate, affinché si custodisse decentemente un segreto tanto importante.
Passarono alcuni anni e poco mutava nell’atteggiamento del principe.
Lui era concentrato solo sull’ampliamento dell’impero, delle ricchezze e del potere. Occasionalmente si era reso conto che, intanto, sua madre la regina, manovrata dallo zio, si era sposata con questi perpetrandone automaticamente la nomina a re, che dopo il matrimonio gli spettò di diritto. Non fece nemmeno molto caso quando, l’anno dopo, trovò che la madre aveva partorito un figlio, un fratellastro per lui.
Il mago, scaltro, faceva accuratamente in modo che il principe suo nipote tornasse solo per fare il pieno di pozione e, in occasione delle visite del principe, faceva abbassare tutti i toni della loro vita gaudente nella regia, lui stesso, evitava di indossare la corona nei rari momenti che passavano in famiglia. Intanto, il principe, ormai uomo e maturo aveva costruito un impero vero e proprio ... conquistato un territorio sconfinato abitato da popolazioni che riconoscevano un solo grande condottiero, però vivevano sotto l’egida di piccoli governatori che poco o niente lasciavano trapelare del loro modo di governare i sudditi. Tutti i politicanti, furbi e avidi, si erano accorti che l’eroe aveva un solo, esasperato interesse: la conquista. Bastava loro di mostrarsi sottomessi e ammirati durante le occasionali visite del principe, bastava preparare un banchetto con i fiocchi e qualche cortigiana disponibile, per soddisfare i suoi giovanili appetiti, e il gioco era fatto. Il signore non vedeva altro e la sua mente si perdeva nei suoi progetti sconfinati: conquistò territori sconosciuti, sottomise popoli esotici, fece costruire nuove città, torri e castelli.
Quando passava in trionfo in mezzo alle fila delle persone acclamanti, durante i cortei godeva di tutta quella folla osannante. Il suo orgoglio si cibava del bello, del lusso e dell’appariscente. Tanto, di tutta l’esistenza egli faceva solo un assaggio veloce, per poi ripartire alla volta di nuove imprese.

Il Mondo

Intanto, nel suo regno natale, il mago che si era fatto re era tutto preso dai suoi progetti riguardo al futuro del trono, che ormai sentiva del tutto suo. Col passare del tempo e con l’aumentare del suo prestigio e delle sue ricchezze, il mago decise di rifarsi delle lunghe astinenze, alle cui si era sottoposto quando viveva da asceta, così si dedicava ai piaceri della vita, circondandosi di vergini e giovani donne entusiaste.
La regina ormai non risvegliava in lui alcun interesse tant’è che aveva smesso da tempo di propinargli il suo elisir d’amore. Adesso la signora lo vedeva per quello che era, mentre i suoi precedenti appetiti sessuali, esaltati dalla pozione, le procuravano solo rimorso e vergogna. Si dedicava alla cura del suo secondo genito, nato dal rapporto col cognato, mentre dell’altro suo figlio, quello che si comportava da imperatore, non poteva che seguire le gesta attraverso i racconti dei messi che recavano continui aggiornamenti al re impostore.
La regina non aveva un carattere forte ed era cresciuta tra gli agi, quindi non sapeva difendersi dalle scaltrezze del vecchio. Così, sia per il semplice gusto di mortificarla e sia per non tenerla troppo al corrente dei progetti reali, ella veniva messa sempre più da parte.
Anche il figlioletto le veniva sottratto spesso e volentieri, accampando la scusa che doveva essere addestrato come un vero, futuro monarca.

Era appena terminato l’inverno. La regina, che viveva sempre più ritirata e veniva sempre meno invitata a partecipare alla vita di corte, seppe dell’arrivo di uno dei messaggeri del re, suo marito. Conosceva sia quel losco figuro che la genia da cui proveniva e si rammaricò, ancora una volta, degli atteggiamenti scellerati di quell’uomo che, in un momento di inspiegabile frenesia, aveva accettato di sposare. Comunque, si fosse trattata anche di Satana in persona, di sicuro portava notizie del suo figlio maggiore e che lei vedeva sempre più di rado; ciò accadeva durante quei pochi giorni che trascorreva a corte, e in cui nemmeno si accorgeva di lei, ma il cuore di una mamma trepida sempre e non si arrende mai.
Era sola, il figlioletto col suo tutore, quindi ne approfittò per recarsi quatta quatta nel salotto reale, dove sua maestà riceveva le visite. Per non scontrarsi col marito e per evitare un ulteriore, odioso, litigio, preferì origliare, mendicando, dagli interstizi delle spesse tende damascate, qualche notizia riguardo al suo figliolo, sempre lontano e impegnato in battaglia.
‐ Quindi sarà qui per la domenica di Pasqua? – stava dicendo il mago.
‐ Precisamente maestà – confermò la spia – e, da quello che si dice, stavolta è deciso a restare, per riposare e per trascorrere la convalescenza tra le mura di casa sua. –
Il cuore della regina sussultò: cosa poteva essere capitato a suo figlio? Era stato ferito ... era grave?
‐ Maledetta febbre gialla, poteva anche portarselo al creatore ... invece ... – quelle parole, udite chiaramente, fecero rabbrividire la signora. Non si era sbagliata dunque: il maledetto odiava il suo primogenito, non aveva voluto crederci ma ormai il sospetto diventava realtà. Dopotutto era vecchio e non era uno stupido, si preoccupava certo della futura successione e desiderava ardentemente che tutto il reame e i possedimenti, andassero al figlio minore, quello che era sangue del suo sangue.
‐ Si, maestà, l’ho sentito con queste orecchie – continuò l’altra voce – diceva che avrebbe approfittato di questo riposo forzato per sistemare un po’ di cose anche qui, al castello. –
‐ Uhm... sistemeremo le cose una volta per tutte ... è giusto. – disse il re pensoso, poi dopo qualche istante: ‐ Ascoltami attentamente, domani mattina, all’alba ritorna in questa sala, mi troverai ad aspettarti. –
Il gaglioffo era tutt’orecchi, una missione privata, per il re, voleva dire certamente un bel compenso, un premio, forse del danaro.
‐ Ti consegnerò un ampolla, portala alla torre, quella detta dell’Imperatore, il portone sarà aperto ... ricordi la “pietra d’Angolo”? Quella che ti mostrai l’anno scorso? –
‐ Oh si, mio re, mi diceste appunto di tenere a mente quel punto –
‐ Bravo! – continuò il vecchio – vedrai che c’è uno sportellino di ferro ... –
‐ Lo avevo già notato, sire. – la spia si esibì per dimostrare che era veramente un tipo sveglio.
‐ Molto bene ... dentro al tabernacolo troverai una vecchia ampolla con una targhetta di metallo: svuotala e poi dovrai riempirla con il liquido che ti consegnerò – concluse il Mago.
‐ Domani all’alba mi troverete qui, mio signore! – disse enfatico l’uomo.
‐ Adesso vai ... – disse ancora l’impostore poi, permettendosi un attimo di vanagloria, aggiunse – e la prossima volta che ci incontreremo, mi chiamerai imperatore! –
Sorrisi maligni d’intesa conclusero la terribile conversazione.
La regina, terrorizzata, si augurò solo che il tambureggiare del cuore impazzito non svelasse la sua presenza. Per fortuna i due “compari” uscirono insieme ... il vecchio laido aveva fretta di correre a festeggiare, con le sue concubine.
La donna presa dalla paura non sapeva che pesci pigliare però, per prima cosa, decise di vegliare continuamente sul figlio, non appena questi fosse ritornato al castello.

Pochi giorni dopo, un sabato piovoso, l’esercitò rientrò nel paese, per una lunga pausa di assestamento e ogni militare potè finalmente riabbracciare i propri cari.
Per il principe, poiché i suoi titoli non erano stati ancora ratificati ufficialmente, non era ancora né re, né imperatore, quindi era giunto il momento di sistemare le carte bollate che dettano legge anche sui più arditi condottieri. Arrivò in carrozza ma era tardi e la regina non riuscì a incontrarlo, preso com’era dalle ultime faccende militari.

Il Mago

La mattina dopo, domenica di Pasqua, l’aurora, con un bel sole sconfisse la bruma della notte precedente.
Poco prima, quando ancora la luce era incerta e uggiosa, il messaggero di morte inviato dal re aveva già compiuto la sua missione. Un liquido venefico era stato versato nella bottiglietta e, non avendo chiavi, l’uomo aveva solamente riposto l’ampolla e accostato lo sportellino metallico.
Il freddo della notte incombeva ancora sulla torre e il sicario era ben coperto e intabarrato, anche per non essere riconosciuto da chicchessia. Allontanandosi in fretta non fece troppo caso al lembo del mantello: inceppatosi su un angolo della porticina, al suo allontanarsi aveva riaperto la piccola teca.
Intanto al castello iniziava il giorno di festa.
Il principe era tornato, e vittorioso come sempre, il suo reame aveva un aspetto prospero e felice, nonostante il mago, pessimo re, passasse i suoi giorni a tramare oscure tele. Faceva tutto con una lena e un impeto ritrovati, da quando gli era nato un figlio suo, maschio destinato a un regale futuro. Viveva per quel bambino che tra poco avrebbe compiuto dieci anni. Quando lo guardava godeva della sua bellezza e ripensava a quanto era stata sciocca e vuota la sua esistenza quand’era solo mago ed eremita.
In anni e anni di studio non aveva raggiunto nessun piacere personale, la sua sapienza gli era solo servita per confezionare filtri e veleni ... per il resto, ogni gaudio e piacere gli era venuto solo adesso, dalla ricchezza e dal potere. Suo figlio non avrebbe vissuto come lui; il prediletto non sarebbe stato “secondo” a nessuno: il suo bambino sarebbe stato re!
Aveva in mano il destino e, oggi, lo avrebbe cambiato con le sue mani. Tutto era pronto.
Affacciato alla balaustra della sua camera il re si godeva il mattino radioso. Il suo umore cambiò ancora in meglio quando da un vicolo vide spuntare nella piazza il suo incaricato. L’uomo, sentendosi osservato, alzò lo sguardo e, con una irritante confidenza gli lanciò un segno d’intesa.
“Tutto fatto!” pensò il re e ricambiò con un largo sorriso la sua spia.
L’uomo non sapeva che il suo destino era segnato. Di li a poco, sarebbe stato prima passato a fil di spada e accusato del “vile” assassinio del giovane, futuro, imperatore… un re non può avere complici se non sottoterra.
Il mago aveva già confidato i suoi “sospetti” al fido capo delle sua guardie che presto sarebbero state allertate per portare a compimento il piano.
Per il momento preferì allontanare la mente da argomenti tanto cruenti; giù nella piazza, Massimiliano, il suo adorato figlio giocava felice con i suoi compagni e i paggi di corte. I ragazzi si godevano il sole, spensierati e felici, e il suo rampollo era raggiante e già accaldato.
“Beata gioventù ...” pensò il vecchio rientrando nelle sue stanze. Doveva affrettarsi e portare a compimento i suoi piani.

Il principe aveva riposato bene e si sentiva rinvigorito dall’aria di casa e dal piacere di avere ritrovato i suoi. A causa della sua instancabile voglia di fare, sorprendendo tutti era uscito all’alba per raggiungere i suoi luogotenenti e per discutere i piani della prossima campagna.
I militi fecero buon viso a cattivo gioco, mentre il loro comandante andava a dar loro la sveglia, casa per casa, come al solito il suo entusiasmo era contagioso. Questa sua bravata mattutina, prese alla sprovvista anche la sua povera mamma, che trepidava per la sua incolumità e voleva incontrarlo al più presto. La donna istruì le sue ancelle di rintracciare privatamente il figlio: questi doveva raggiungerla immediatamente alla regia, perché si trattava di questione di vita o di morte. L’ingenua non sapeva, però, che la sua servitù era quasi tutta al soldo del suo sposo malfidato, così nessuna delle cose che lei aveva chiesto fu ottenuta e il destino continuò, senza ostacoli, il suo corso già programmato.
Anche il mago fu preso alla sprovvista, gli urgeva portare il giovane alla Torre, affinché bevesse il suo “liquore” e si decidesse a sparire definitivamente dalla scena.
Quindi anch’egli era alla ricerca del figliastro guerriero fissando l’appuntamento al più presto presso il tabernacolo che ben conosceva.
Non erano ancora le nove, quando il principe, rintracciato dagli sgherri, si decise a recarsi alla torre, per incontrarvi lo zio stregone.
La regina, intanto, era troppo sul chi vive per non venire a sapere dell’appuntamento fatale e pertanto, anch’ella si stava recando alla Torre di gran carriera, accompagnata da una vecchia nutrice, l’unica che le era restata fedele.
Il principe, intanto, visto che aveva già tirato giù dal letto i suoi ardimentosi luogotenenti penso bene di metterli al corrente del segreto del suo potere, si erano meritata tutta la sua fiducia. Così, prima che finalmente potessero godere del meritato riposo, li invitò ad accompagnarlo all’appuntamento perché assistessero al rito della magica ampolla, l’annuale incontro propiziatorio che si svolgeva nel bosco alla presenza dello zio, ora re.

Il manipolo arrivò per primo alla Torre e visto che non c’era nessuno, gli uomini si sistemarono su alcune pietre, chiacchierando e godendosi i raggi, dei primi raggi di sole.
La mattinata era radiosa e allietata da una gradita presenza; a pochi metri, andando e venendo dal portone aperto della torretta, i ragazzini di corte giocavano felici, riempiendo di strilli l’aria frizzante. Anche il principe, guardandosi intorno, intravide tre gli altri la figuretta del fratellastro e per un attimo lo squadrò, pieno d’affetto. In cuor suo decise, visto che ormai era un bimbetto grandicello e ben formato, in quei giorni di ozio forzato gli avrebbe dedicato finalmente un po’ del suo tempo. Ne avrebbero fatto un vero soldatino.
Intanto altri conversero sulla collinetta, prospiciente la reggia, il principe e i suoi si accorsero del tramestio ma non vi dedicarono particolare attenzione.
Il primo ad arrivare fu il mago seguito da alcuni dei suoi sgherri, erano armati di tutto punto il che stonava, con gli scopi apparentemente benevoli del consesso.
I gruppetti si studiarono con un certo malcelato disagio… il mago avanzò deciso verso il nipote:
‐ Figlio mio, tu mi farai impazzire ... ti rincorro da stamattina! – disse il vecchio, trafelato. Il principe ne rise, proprio non riusciva a vedere in quell’uomo, ormai anziano e quasi patetico, il nemico pericoloso che in segreto celava.
‐ Hai ragione ... non volevo che i miei capitani si trastullassero troppo tra le lenzuola dei talami ... – qualcuno ridacchiò – comunque eccomi, sono pronto. Ho ricevuto la tua ambasciata, come vedi. –
‐ Bravo, bravo ... – disse il mago fingendo un’aria distesa ma in realtà era molto contrariato. Ora c’era troppa gente per i suoi gusti e per i suoi piani ... troppi testimoni. Inoltre, erano tutti militari valorosi, uomini decisi, capaci di agire rapidamente e di fiutare il pericolo anche da un solo battito di ciglia. Nonostante le chiacchiere, la tensione si era fatta alta, nello spiazzale. Per un momento il tempo si fermò e un silenzio innaturale pervase la collina, un silenzio troppo tangibile per passare inosservato.
Il principe, abbastanza insensibile a ogni etichetta e procedura era invece un perfetto animale da preda e un attento osservatore nei momenti d’azione. In quello spiazzo, sotto il sole del mattino, c’era una tenzione che non avrebbe dovuto esserci ...
Saltando dalla pietra, come un tigre che balza, senza alcun preavviso, sulla preda, il principe schizzò a tutta velocità verso l’ingresso della torre.
Tutti restarono del tutto inebetiti e il tempo si fermo: la sorpresa li lasciò attoniti e nessuno riusciva a trovare un solo motivo logico, plausibile, per quella scartata da leone furioso.
‐ Noooo! –il grido partì dall’interno della torre come un tuono che non viene dalla terra e non dal cielo.
Tutti accorsero. Davanti ai loro occhi lo “strumento” che aveva suonato quel fragoroso, inspiegabile, silenzio. Sotto lo sguardo ottuso e incredulo del gruppo dei bambini, il piccolo Massimiliano giaceva, con gli occhi aperti, fissi su quel sole che non avrebbero visto mai più; il viso bianco come la più delicata delle porcellane, il corpo adagiato come se dormisse,
E dopo? Ebbene, dopo gli eventi si susseguirono con una rapidità tale che sembrarono appiattirsi, uno sull’altro come un mazzo di carte dei Tarocchi.
Ignara di tutto, la regina entrò di corsa nella torre e con la voce spezzata dall’affanno gridò al figlio maggiore, senza rendersi conto di altro:
‐ Fermati ... non bere, quell’ampolla è piena di veleno! –
Il mago, intanto stava per perdere ogni forza, travolto di cui egli stesso era il responsabile, solo la rabbia lo tenne in piedi, una rabbia cieca e sorda: tutti i suoi progetti, tutti gli anni in cui aveva montato il suo folle sogno ora crollavano come castelli di sabbia sotto una improvvisa marea.
Probabilmente fu solo una vendetta sconnessa contro la sorte, contro il destino che lui si era ingannato di poter cambiare, di fatto sfilò il pugnale dalla cintola della guardia più vicina e con rabbia lo conficcò nel petto della regina:
‐ E tutta colpa tua ... e tutta colpa tua ... – blaterava, mentre travolto dal suo stesso impeto di rabbia, rovinava per terra, ruzzolando sulla povera donna.
Il sangue della regina scorreva ormai rapido fuori dal suo corpo e con esso la vita stessa. Tutto accadde così velocemente che forse nemmeno si era resa conto che il suo secondogenito, amato e innocente, giaceva morto a pochi metri da lei, accomunato alla sua mamma per la vita e, adesso, per la morte.
Prima di precipitarsi al fianco della madre, il principe compì solo pochi, impercettibili, gesti: uno sguardo, un guizzo ... e l’accozzaglia degli sgherri del mago non ebbe nemmeno il tempo di decidere se combattere, fuggire o inginocchiarsi e pregare. Nel giro di pochi minuti giacevano a terra, ognuno al posto che il destino gli aveva assegnato, passati a fil di spada o di pugnale dai luogotenenti del futuro imperatore.
Il vecchio mago, risparmiato per il momento, era a terra a sua volta, vivo pur se acciaccato; era tento a bada dalle armi già puntate dei militari.