Il Bagatto e gli Amanti - 3

Racconto Fantasy per tutti.
Le Stelle

Era passato un anno e più dall’ultima assunzione ... l’effetto della pozione maledetta si era attenuato e aveva perduto ormai la sua efficacia, inoltre il principe, grazie all’incredibile avvicendarsi di avvenimenti che aveva dovuto sopportare, rinsavì di colpo.
Ora teneva sulle ginocchia la testa della mamma che lo guardava, serena nonostante l’agonia. La poveretta non poteva parlare, perchè il colpo maligno le aveva aperto i polmoni, sfiancandola. Anche per lei ogni incantesimo e ogni legatura era sparita; madre e figlio si guardavano negli occhi come due innamorati. Fu allora che il tempo si fermò o meglio, si raggomitolò su se stesso, come se il periodo nefasto degli incantesimi non ci fosse mai stato. Entrambi si rividero per quello che erano dieci anni prima, quando la gioia semplice e senza ombre aveva pervaso la loro famiglia. Purtroppo il re, accecato dall’amore paterno, aveva dato inizio a una catastrofica serie di avvenimenti che avevano mandati tutti fuori dalla loro strada ... facendoli deragliare dal retto cammino. Lo stesso infame mago, suo fratello, forse non sarebbe rimasto vittima dei peggiori sentimenti, forse non avrebbe ordito tanti piani sciagurati e folli ... purtroppo tutto questo era passato, come una lunga e oscura tempesta. Il male si stava ritirando, spegnendosi come un fuoco sacro soddisfatto dall’aver mietuto le sue vittime innocenti.
La regina si spense con la serenità sul volto per aver ravvisato il ritorno di suo figlio, buono e affettuoso com’era una volta. Poco più in là, un angioletto biondo attendeva la sua anima, impaziente di stringere la mano della mamma e lasciarsi accompagnare in un mondo nuovo, luminoso, dove avrebbe potuto tornare a giocare senza farsi del male, mai più.

Adesso, nel cortile silente, il Destino scalpitava, impaziente di vergare le ultime pagine di una storia maledetta.
Uno dei compagni del principe guerriero aveva avuto il buon senso di portare via i bambini, allibiti e traumatizzati da una scena che li avrebbe segnati per sempre. Gli altri tenevano a bada il mago: steso per terra con i paramenti neri e cupi ormai laceri e impolverati, che lo facevano sembrare un mucchio di stracci senza risorse.
Il principe si rimise in piedi, non senza fatica, ora gli anni gli pesavano e lo stato di esaltazione causato dalla droga aveva perso ogni effetto. Dieci anni passati a compiere grandi imprese e intanto la disgrazia aveva colpito quelli che più amava, lo rendevano improvvisamente più vecchio e stanco che saggio, con l’animo intriso di un’amarezza che non si sarebbe mai più potuta scacciare.
Aveva girato il mondo in lungo e in largo e conosciuto tante cose, segreti e trucchi. Conscio del pericolo, che una serpe come suo zio, poteva ancora rappresentare, diede subito l’ordine giusto ... non se la sentiva di regalargli una morte veloce e misericordiosa, troppo male aveva causato. Ben sapendo, che il potere dei maghi non ha nessuna qualità soprannaturale, ma solo una grande conoscenza di trucchi e segreti, ordinò che il vecchio venisse denudato, completamente. I soldati eseguirono rapidamente l’ordine del loro capitano, mentre con le lame facevano a brandelli gli abiti del vecchio ne vennero fuori bustine intrise di polveri arcane e fiale misteriose. Poco dopo il vecchio laido se ne stava in piedi, completamente spogliato: tremava e si lamentava, nonostante il sole fosse alto sembrava pervaso dalla febbre.
‐ Lasciateci soli – disse il principe – amici miei. –
I soldati capirono ma si allontanarono controvoglia. Un momento dopo, con gli occhi carichi d’odio, si mise di fronte a quel vecchio, era incredibile: quella specie di verme, grinzoso e tremante, quell’essere inutile e debole, aveva potuto, con gli strumenti dell’incanto fare tanto male. Se ci fossero stati degli spettatori, in quel momento, non avrebbero potuto fare a meno di essere increduli riguardo a tutta la storia e, magari, persino provare compassione per il “povero” vecchio, mortificato e abbattuto, solo e abbandonato in quello scenario di morte e desolazione.
‐ Perchè? Cos’altro cercavi, vecchio? – il giovane lo guardò e il mago seppe riconoscere l’odio violento che, adesso, suscitava nel nipote – Bada a come parli, verme, ricorda che questo – e indicò con la mano la devastazione, che in pochi minuti, aveva fatto piazza pulita nella vecchia torre – questo è il tuo tribunale. Questa è l’accusa e questi i testimoni e, io solo, il giudice. –
‐ Per amore di Dio ... – cominciò il vecchio con voce impastata.
‐ Dio non c’è, cane! – tuonò il principe – Per te è finita ogni alleanza ... non ti aiuta più nessuno, né Dio né Diavolo. Hai gozzovigliato in casa mia. Ti sei ingozzato come un maiale ... hai divorato tutto e tutti. ‐
‐ Perdonami, nipote mio, sono solo un vecchio – riprese il mago – sono stato troppo tempo fuori dal mondo e dai piaceri della vita ... quando venni quì, alla reggia ... tutto quel lusso, tutta quella vita ... mi sono ubriacato. Ho perso il lume della ragione, perdonami. Ho fatto come quei miserabili, che una volta entrati in politica, si ubriacano di ricchezza e potere dimenticando l’etica e l’onestà.‐
Il vecchio leggeva nel viso del nipote la voglia di spargere il suo sangue e, nonostante tutto, cercava implorando di evitare la morte.
‐ Ricchezza, piaceri, potere? Ebbene li avevi avuti ... ti abbiamo dato di tutto a piene mani, senza remore, senza chiederti nulla. – la tristezza velò la voce del giovane – la mia povera madre, accecata dalle tue malie, è arrivata a dare a te, un vecchio lurido e inutile, piacere, onori e persino un figlio. –
Il vecchio s’incurvò ancora di più:
‐ Hai ragione tu, sono un verme ... sono un verme ... il mio bambino – sembrò perdersi nello strazio del dolore.
‐ Il tuo bambino? Eccolo qui ... innocente, stramazzato al suolo per causa della tua mano, maledetto. – così dicendo si voltò per poggiare ancora una volta lo sguardo sul fratellino con cui aveva passato così poco tempo.
Si commosse ... fu solo per un attimo.
Ma bastò.
Bastò al vecchio per agire. Incredibile a dirsi, il mago, che sembrava prostrato dal dolore e dalla paura, scatto fulmineo e, non avendo nessuno strumento per completare la sua azione nefasta, ebbe comunque la forza di strappare lo stiletto dal petto della regina morta. Come una furia si lanciò a testa bassa, le mani giunte, armate e puntate contro il fianco del principe. Nonostante tutto, la sapienza malvagia dell’uomo era ancora lucida e determinata ma fu l’età a tradirlo.
Il principe, avvezzo al corpo a corpo, combatteva sempre protetto da pesanti armature, adesso, vestito da borghese, più da paggio che da uomo d’armi, si muoveva leggero come una piuma. Nonostante il suo rapido scarto, la lama, spinta con tutta la forza, gli ferì il fianco, di striscio. Il dolore e il sangue fecero il resto, Il giovane, invece di contrastare la spinta del vecchio lanciato come una furia, si lascio andare in avanti, assecondando la spinta dell’avversario che si spense per inerzia, facendolo ruzzolare sul manto erboso. Adesso il vecchio malefico era di nuovo steso per terra, il principe si ricompose e si prese tutto il tempo necessario per assaporare il gusto della vendetta.
‐ Grazie, vecchio – disse l’uomo, mentre raccoglieva una grossa spada, che giaceva, inutile, tra le i corpi sparsi nel cortile – mi hai permesso di emettere il verdetto e la condanna a cuor sereno. –
Mentre si avvicinava lento e deciso, il mago ebbe il tempo di vedere l’espressione del nipote, oggi una vena di asprezza aveva pervaso il viso, una volta innocente di colui che dieci anni prima, era stato un ragazzo d’oro, ora era uomo deciso e inesorabile. E quell’uomo aveva decretato che lui, il vecchio che si era fatto re, sarebbe morto in quella mattinata di Pasqua di un anno che nessuno conosce.
Il vecchio chiuse gli occhi. Era steso per terra e allargò le braccia in un ultimo gesto teatrale. Non sapendo a chi raccomandare la sua anima nera, si augurò solo che tutto finisse, e presto.
Tac!
Un rumore sordo e una strana sensazione di pesantezza lo fece riscuotere dal suo stato di attesa. Poi si stupì, rendendosi conto che non era morto. Cercò di capire, di sollevarsi facendo forza sulla mano destra ... solo allora il dolore lo colpì inesorabile, facendolo gridare. Riuscì a sollevare la testa per guardare, per capire…
Il suo braccio destro era steso e muoverlo era impossibile, in fondo ad esso, staccata poco più sopra del polso, la sua mano insanguinata stringeva ancora il pugnale. Il dolore lo rese pazzo ma non abbastanza da non vedere suo nipote che con metodo, con una esasperante lentezza e attenzione, si era posizionato sulla sua sinistra. Alzò la spada e la lasciò cadere con tutta la forza verso la mano sinistra del mago. Il vecchio urlò ancora e il suo grido echeggiò per tutta la valle, procurando i brividi anche a chi non sapeva assolutamente niente di quanto stava accadendo.
Da quell’istante, nel cortile della torre maledetta la luce del sole non filtrò mai più. Il principe lasciò cadere la spada al fianco al mago urlante e perse ogni interesse per lui. Raccolse solo una cosa, l’oggetto che tanto potere aveva avuto sui loro destini: la piccola ampolla che aveva contaminato la sua esistenza negli ultimi dieci anni. L’avvolse nel velo, preso dall’acconciatura della sua povera madre, scarmigliandole i capelli il suo viso sembrò ancora più bello nella compostezza della morte…e finalmente si decise a venir fuori da quel luogo di morte.
All’esterno il sole splendeva: varcando il portone si rese conto che ormai quel luogo non apparteneva più alla vita.
Oltre ai soldati ora si era portata sul posto tanta gente, la chiese del paese si erano svuotate e adesso tutti erano accorsi sul luogo della tragedia.
‐ Riempite il cortile di pietre, – ordinò – lasciate tutto così com’è: i morti e i vivi. – poi accarezzò la folla con uno sguardo triste – Questa torre sarà la tomba della famiglia reale, sigillatela. –
E tutti si misero silenziosamente all’opera, Si passavano le pietre che altri raccoglievano intorno, in poco tempo il cortiletto si riempì e la torre divenne un mausoleo. Infine, il portoncino fu murato.
Mentre lavoravano alacremente furono in molti a sentire i lamenti del mago ma nessuno ci fece caso e nessuno provò per lui alcuna pietà.

Gli Amanti

Il fuoco nel grande camino era diventato brace ormai. Angela e Fabio avevano ascoltato assorti e incantati quella lunga, stranissima storia.
Il vecchio ora taceva, assorto nei suoi pensieri. Il suo volto pieno di rughe era del colore del cuoi consunto, nella semioscurità. Teneva gli occhi chiusi ... o orse si era assopito.
Fabio si riscosse e, rimessosi in piedi, andò verso il portone.
‐ Ehi! – esclamò – la nebbia si è diradata ... e non fa neppure tanto freddo, sapete? –
Il vecchio si riscosse: ‐ Eh si ... ve lo avevo detto. – rise – Li conosco bene questi boschi, io. –
‐ Ma ... ma ... – disse Angela un po’ delusa – e la storia? Come finisce il racconto? –
‐ Oh ... noi dobbiamo andare adesso, che ti prende? – Fabio era quasi arrabbiato, sua moglie non si rendeva conto che erano fuori, in piena notte e in emergenza.
‐ Ah si, ha ragione Fabio! – disse il vecchio, mentre i due giovani si lanciavano uno sguardo titubante, erano certi di non avere mai detto i loro nomi a quell’uomo.
‐ La storia è finita, “angelo” mio, ‐ ecco, così faceva capire di avere indovinato anche il nome di lei.
Ma la ragazza non riuscì a trattenersi: ‐ Ma ... e il Principe? –
‐ Il principe ... il principe ... ecco lui passò un lungo periodo a meditare, a riprendersi, a considerare l’accaduto. Lo sapete, egli per dieci anni aveva visto tutto in modo falsato. Aveva solo occhi per la tumultuosaa espansione dei suoi domini, per i festini dopo i trionfi ma aveva completamente perso il contatto con la realtà. Si chiedeva quanto era costato alla gente la sua campagna di conquista e dominio. Consultò con i suoi fidati consiglieri e si fece aiutare a ricostruire quella parte di ricordi che gli mancava. Scoprì così che, ottenebrato dal filtro, non si era accorto di quanto sangue e sofferenze erano costate le sue gesta. Alle spalle di ogni trionfo si nascondevano villaggi saccheggiati, città sventrate, vite spezzate. Molte madri avevano pianto i loro figli caduti e molti figli avevano trovata vuota la loro casa e le madri massacrate. La pace, anche in povertà del passato era stata piena di vita ora aveva ceduto il posto a una pace effimera, piena di livori, mantenuta con la forza per sostenere il malcontento. Insomma, la pace imperiale era semplicemente il frutto della paura per il controllo dei militari. Il principe capì e sentì il peso di tutto quel male; nonostante tutto era lui il responsabile di quello scempio.
Un giorno fece convocare una donna saggia proveniente da ognuno dei paesi conquistati. La sua decisione sembrò strana e destò scalpore ma le matrone arrivarono e vennero ospitate con tutti gli onori. Un mattino nella grande corte fece approntare tanti carri quante erano le donne che, stupite, si erano ritrovate a corte. Ogni carro fu riempito di ricchezze e doni, e ognuna, scortata da guerrieri fidati, fu esortata a fare ritorno nel suo paese, restituendo un po’ di benessere e la libertà alla popolazione. E la gestione delle ricchezze, per ordine dell’Imperatore venne proprio affidata alla saggezza delle donne che da sempre si erano dimostrate meno avide e più realiste dei vanitosi uomini di potere.
“Questo è l’ultimo regalo del vostro principe – disse il giovane e le lasciò partire con la sua benedizione.
Qualche giorno dopo si presentò a corte vestito alla buona, riunì tutti i suoi luogotenenti, i fedelissimi e li abbracciò, uno ad uno, poi lasciandoli di stuccò li salutò, dicendo loro che sarebbe partito per un lungo viaggio e non sapeva se si sarebbero mai più rivisti. Aveva bisogno di meditare, di espiare e di far pace con se stesso in solitudine. Salutando tutti con affetto, senza attendere risposta né soddisfacendo alcuna perplessità, il duce sparì nel bosco e nessuno ne seppe più nulla.
Mentre avanzava tra i sentieri solitari, voltando le spalle alla civiltà, il principe pensò tra sé che probabilmente non era stata la migliore delle decisioni. Che dopotutto altri avvenimenti si sarebbero verificati ... che forse non tutti i suoi capitani sarebbero stati onesti e giusti, forse non tutte le matrone sarebbero tornate indenni dalla loro missione ... forse, nel mondo, la cupidigia, la lussuria e l’inganno avrebbero trionfato ancora, anche nei tempi a venire. Ma a lui piacque pensare che tutto sarebbe andato per il meglio. Dopotutto era stato costretto a sognare una specie di incubo per dieci anni, adesso poteva pur permettersi un piccolo sogno tutto suo. –
‐ E quindi – disse Angela, mentre Fabio faceva di tutto per trascinarla via – nessuno sa cosa gli sia successo? E ... l’ampolla, anche quella è sparita con lui?
‐ Ah, ah – il vecchio ora rideva con una vena di leggera follia.
‐ Sei completamente uscita di testa – urlò Fabio incazzato nero – io mi avvio fuori, se tu hai perso la testa sono affari tuoi. – e per mostrare tutta la sua esasperazione, uscì nella notte fredda.
‐ Vieni, signora ‐ e lo strano essere fece segno con la mano – vieni a vedere. –
Così dicendo, sciolse il nodo dell’involto di stoffa, appeso al suo lungo bastone.
All’interno dello straccio, un antica boccetta di vetro, opalescente e consunta dal tempo, faceva bella mostra di sé ...
‐ L’ampolla l’ho trovata io, bella sposina ... ah ah – rideva ancora, folle – e l’ho lucidata per bene. Guarda, signora, adesso si legge bene la targhetta ma, all’inizio no ... prima era tutto confuso. Guarda, Angela. –
E lei guardò.
Sull’ampolla una catenina teneva una targhetta d’argento, nonostante la luce fioca, si leggeva distintamente la scritta: “Elixir dell’illusione”.
‐ Capito? ... capito ... ? ah ah – la strana risata del vecchio, diventava sempre più folle ma Angela non lo temeva più ... avrebbe voluto capire, interrogarlo, ma Fabio la incalzava e cercava alacremente di strapparla alla notte. Finalmente raggiunse il marito, fuori dalla torre diroccata.
Ciò che vide ora che la nebbia era quasi scomparsa la lasciò esterrefatta; ecco perché Fabio non strillava più, anche lui era sconvolto da quella inattesa visione.
Fuori, nella bruma che si diradava, l’intricato groviglio di erbacce non esisteva più. Dalla notte oscura erano spuntate le alte mura di un castello medioevale: innumerevoli torce illuminavano gli spalti e l’accesso, poi l’ampio ampio cortile. Sui pinnacoli e sulle torri, garrivano antichi stendardi dai colori vividi. Alcune delle alte finestre coi cristalli d’ambra erano illuminate dall’interno e, dal moto d’ombre in trasparenza, si intuiva che le antiche sale dovevano essere straripanti di vita.
Il tempo di riprendersi dallo sbigottimento e Fabio la prese per mano, tirandola: ‐ Andiamo via di qui ... presto! –
Trascinò via la moglie incantata come da un sortilegio, con la speranza che, l’enorme portale spalancato non nascondesse inattese insidie ma, per fortuna, lo attraversarono illesi e uscirono, correndo a perdifiato, nella brughiera.
La risata del folle riecheggiava nel buio accompagnandoli nella loro corsa scomposta e dissennata. L’obiettivo di Fabio era mettere la maggior distanza possibile tra loro e quel mondo misterioso, assurdo ... inconcepibile.
E…fu accontentato.
Dopo poche decine di metri si ritrovarono nel buio, la notta era tornata fredda e solo le stelle offrivano un minimo di luminescenza.
Si fermarono a riprendere fiato, ad Angela era anche saltato via un tacco che si era perso chissà dove. Si voltarono per orientarsi; Fabio voleva far riferimento alle mura del castello, per cercare di ricordare da che lato ci fossero arrivati.
Ma ora non poteva credere ai suoi occhi: ... non c’era più nessuna muraglia, nessun portale e e men che meno un castello, niente di niente. Eppure solo pochi istanti prima loro stessi avevano varcato quella breccia, entrambi avevano visto le mura, le fiaccole, il vecchio… e tutto il resto. Nonostante fosse buio, era chiaro che di una costruzione così imponente non era rimasto niente. Come poteva essere?
Fabio ebbe un brivido e, in cuor suo maledisse quella notte strana; sperava solo di venirne fuori. Si sentiva impaurito e confuso, e anche in colpa per avere trascinato Angela in questa incredibile situazione. Non era un eroe; loro non erano persone da avventure e misteri: erano persone semplici, con i loro piccoli sogni e la loro vita normale. Che cosa mai gli stava capitando?
‐ Guarda… guarda là, Fabio – disse Angela, scrutando nel buio.
Era buio ma non troppo lontano delle luci variopinte sfavillavano, pulsando in lontananza. Non potevano sbagliare, si trattava di luci: le normali, deliziose, confortanti lampeggianti, si alternavano col giallo e col blu.
Quando si accorsero che, tra i cespugli, si muovevano anche delle persone con in mano delle torce, iniziarono a correre, senza rispettare più alcuna prudenza, gridando per farsi trovare.
Avrebbero affrontato tutto pur di essere certi di tornare nel mondo civile, dove le cose erano ciò che sembravano. Gridarono nella notte e, poco dopo, furono sentiti.