Il canto del lavoro
Mi ritrovai catapultato a un tavolo di un bar con tre entità.
Una aveva la mia età, l’altra era più vecchia di me e la terza molto più giovane.
Con quella che aveva la mia stessa età, se non fosse stato per la barba ben curata e il fisico scolpito, avrei pensato di essere davanti a uno specchio.
Alla sua destra sedeva il vecchietto, con il bastone tra le gambe ed entrambe le mani sopra l’impugnatura. I capelli brizzolati, il volto glabro e pieno di rughe. Alla sinistra il più giovane aveva la testa tra le braccia conserte sul tavolo e dormiva profondamente. I suoi capelli erano di un biondo cenere, dalla mia posizione era quella l’unica parte del corpo che riuscivo a vedere.
Il mio coetaneo stava leggendo il menù, attraverso gli occhiali sottili mi lanciò uno sguardo e richiudendolo disse:
‐ Ti stavamo aspettando…
‐ Scusate, chi siete? Ci conosciamo? E, soprattutto, come sono arrivato fin qui? Non ricordo nulla!
‐ Come, non ti riconosci? Noi siamo te. O potremmo esserlo.
‐ In che senso? – iniziai a grattarmi il braccio destro, lo facevo ogni volta che ero agitato.
‐ Calma, calma, non avere fretta, tutto a suo tempo…
‐ No, voglio andarmene! – risposi, continuando con la mano a graffiarmi.
Mi guardai attorno. C’era una porta a pochi passi da me, da una finestra vedevo il panorama della città addormentata. Provai a muovere le gambe, ma erano come immobilizzate e non riuscivo ad alzarmi.
‐ Stai tranquillo, non ti vogliamo fare del male. Devi ascoltarci e poi te ne potrai andare.
‐ E se non volessi?
‐ Non puoi esimerti dal farlo! Sei stato tu a convocarci qui, e quindi devi!
Rimasi in silenzio, non sapendo cosa fare né dire…
‐ Possiamo iniziare? Prima iniziamo, prima finiamo: non è quello che si dice in queste occasioni? Mi presento: sono il lavoro presente.
‐ Tu sei?
‐ Sì, il lavoro presente, attuale, odierno: decidi tu il sinonimo. Puoi chiamarmi Mo. E ti fermo subito: sì, come il termine in romanesco, ma solo perché deriva dall’avverbio latino, “modo”.
Il vecchietto alla mia destra è il lavoro passato, detto Fu, ma per favore non anticiparlo mai con un “Ei”! È dai tempi di Alessandro Manzoni e di quel suo famoso "Cinque maggio" che 'sta storia va avanti. Meglio che tu non sappia cosa potrebbe succedere. Per farti capire, ti dico solo che le scazzottate di Bud Spencer e Terence Hill sono una bazzecola a confronto delle sue! Lo vedi così vecchio, ma stai comunque attento!
Il bambino che sta dormendo è il lavoro futuro, chiamato Domani, ma con la D maiuscola, ne va molto fiero. Dobbiamo fare piano perché è parecchio agitato e non lo vogliamo far preoccupare ancor di più.
‐ Sarà, ma non ti credo!
‐ Fammi parlare e poi deciderai, cosa ti costa?
‐ In effetti, nulla… Va bene, Mo!
‐ La sede del tuo lavoro è vicino casa, la raggiungi a piedi, non devi prendere la macchina e uscire ore prima. Non hai lo stress del traffico e del parcheggio, non spendi soldi in benzina e fascia blu.
Il tuo capo ti ha scelto perché aveva bisogno di una persona di cui fidarsi, in gamba, responsabile. Lavori dal lunedì al venerdì fino alle diciotto, hai i fine settimana liberi. Non ti porti “il lavoro a casa” perché non sei il responsabile, quando esci dalla porta dell’ufficio sei libero!
‐ Sì, ma…
‐ Sì, lo so! Non hai permessi, malattie ‐ tanto, per inciso, non ti ammali mai ‐ e hai le ferie solo quando chiude lo studio. Ma ti ricordo che sei una partita IVA!
Non sono poi così male, ammettilo! Ti sei mai sentito isolato ed emarginato? Hai subito atti di persecuzione e umiliazione ripetuti e sistematici da parte dei colleghi o superiori? Sai come ci si sente a subire mobbing?
‐ Sinceramente no.
‐ Allora lo vedi che sei fortunato? – Intervenne Fu o il “lavoro passato”, come mi era stato presentato.
Continuai a parlare, fissandolo negli occhi.
‐ Non a quel livello, ma ho lavorato in ambienti limitanti.
In una situazione non avevo possibilità di crescita economica e professionale, pur ricoprendo le mansioni che solitamente dovrebbero svolgere i manager o capi. Purtroppo non ero capace di fare il compitino, come un impiegato semplice o passacarte che dir si voglia. E un po’ per presunzione, un po’ per protagonismo, un po’ per spirito di servizio, ho svolto attività in più: ovviamente non ho ricevuto grandi riscontri in merito, se non a parole. Sempre disponibile anche se l’orario d’ufficio era concluso, se venivo contattato da un’email o da una chiamata urgente mi facevo in quattro! Alla fine dell’anno la società aveva guadagnato grazie al mio impegno ma non mi arrivava nessun bonus, né una tantum aggiuntiva alla gratifica natalizia.
‐ “Ama ciò che fai e non lavorerai neanche un giorno della tua vita”, è una massima attribuita a Confucio, che sottolinea l’importanza di trovare un’attività lavorativa che appassioni e che non sembri un peso. Non hai subìto nonnismo. Non fai parte delle forze armate. Non hai studiato anni e anni per salvare vite. Non hai quasi mai sfruttato la tua laurea. Non ero poi così male, ammettilo! Eri felice e non lo sapevi…
‐ Per favore, non parlarmi come i meme che sui social mi ricordano la mia “bella infanzia”! Anche perché spesso non è così, ogni fase della vita ha le sue difficoltà, ovviamente in proporzione!
‐ Va bene, forse hai ragione. Ma dillo che mi stai ancora pensando! Quanto tempo è passato? Un anno? Cinque? Dieci? So tutto di te, ho una grande esperienza, proprio quella che alcune offerte di lavoro, che hai letto e scartato, ti chiedevano all’inizio del tuo percorso!
TI dimentichi i lavori svolti? Perché? Hai dimenticato il tuo primo lavoro? Io no. Primo maggio, Festa dei Lavoratori. Tu eri in un grande magazzino vuoto, appena costruito, vicino al fiume della città: salendo rampe e rampe di scale hai portato dentro tutti gli scaffali, poi li hai montati e infine riempiti di prodotti elettronici. Questo per quanto? Una settimana? Poi ti hanno proposto di rimanere all’interno del negozio che avevi messo su. Hai firmato un contratto come pulitore, quanto ti davano? Cinque euro l’ora? E poi che è successo?
‐ Mi hanno dato una camicia con i colori del negozio e ho iniziato a lavorare a contatto con il pubblico. La clientela chiedeva a me informazioni su piccoli e grandi elettrodomestici. Ancora sorrido, quando penso alle donne che venivano a chiedermi consiglio sugli epilatori femminili. Passavano le settimane e il nostro staff diminuiva, quindi da part‐time sono passato a full‐time.
‐ E poi?
‐ Si è avvicinata l’estate e me ne sono andato, avevo guadagnato un po’ di soldi per le vacanze!
‐ E qualche mese dopo è arrivata quella telefonata…
‐ Sì, dove mi chiedevano chi era stato a contattarmi, chi era che mi aveva offerto il lavoro… Io ero giovanissimo, ma non stupido. Avevo tenuto da parte tutto quello che mi avevano dato, anche il biglietto da visita del responsabile del primo colloquio. Parlai chiaramente con una signora molto gentile, dicendole che ero passato da pulitore a responsabile del reparto piccoli e grandi elettrodomestici, con un altro ragazzo che lavorava già lì. Non so com’è finita la storia, so che sono andati a processo. Io ho la coscienza pulita, non dovevo stare a contatto con il pubblicò, dovevo solo pulire il negozio, ma tant’è…
‐ Lo hai fatto solamente per soldi?
‐ No, questo non me lo puoi dire: se mi conoscessi almeno un po’, non ti azzarderesti!
Io ho ricoperto vari ruoli e mansioni. Se lavori nel sociale‐ospedaliero, lo fai per le persone! Per veder comparire dei sorrisi sui volti dei pazienti! Se sei una ricercatrice lavori per fare una scoperta che può cambiare il mondo. Se sei in ambito commerciale punti a vedere soddisfatti i clienti!
‐ Avevi un contratto firmato part‐time, con un giorno di riposo settimanale. Cosa volevi di più?
‐ Essere pagato mensilmente, non un anno dopo la chiusura del punto vendita a causa del Covid‐19. Io sarei anche rimasto, a quei tempi ero ancora giovane e potevo aspettare…
‐ E pensare che tu non hai ancora una famiglia! Per chi ha avuto un bebè la vita è più difficile, non si possono portare i neonati al lavoro.
A quelle parole provai un senso di sofferenza.
In lontananza vidi avvicinarsi una ragazzina rom, che subito si intromise.
‐ Ciao, non mi riconosci? E se ti chiedessi un frutto? Più precisamente, se ti chiedessi di darmi una mela o una banana? Me la daresti o, come spesso accadeva, mi diresti di andarmene, lasciandomi a mani vuote?
Caddi dalle nuvole: davanti a me c’era Valentina! L’avevo conosciuta perché abitava vicino alla CAE, la Città dell’Altra Economia, dove avevo lavorato come commesso part‐time nel punto vendita biologico. Potevi sempre contare sulla sua presenza! Con la pioggia, il sole e qualunque agente atmosferico, lei c’era. Sbucava a tutte le ore per darti… fastidio!
‐ E ricordati…
‐ Se fossimo tutti un sogno di Valentina…
‐ Esattamente.
Come arrivò, se ne andò. Mi guardai attorno alla sua ricerca, ma era scomparsa.
Mi accorsi che due occhi mi stavano fissando. Un cliente al balcone mi trasmetteva un senso di timore.
Sapevo benissimo il perché: avevo passato solo un’ora con lui, ma mi era sembrata un’eternità. A quei tempi alla CAE c’erano i “ragazzi” del PID (Programma di Inserimento al Lavoro). Non è l'acronimo corretto, si dovrebbero chiamare Lavori Socialmente Utili (LSU) o Lavori di Pubblica Utilità (LPU), ma comunque erano persone in difficoltà o con condanne penali che svolgevano attività non retribuite.
Lui un sabato pomeriggio aveva finito il suo servizio e, dopo essersi ubriacato con altre persone, era entrato nel negozio varie volte, apostrofandomi con parole che preferisco non ricordare. Fortunatamente arrivarono in mio soccorso i responsabili del programma e lo portarono via. Il giorno dopo mi chiesero se avessi intenzione di denunciare il fatto. Affermava di non ricordare nulla: vedendo in lui un sincero pentimento e sapendo che sarebbe stato un danno per il suo percorso di recupero non feci nulla.
Ancora scosso, i miei occhi caddero sul tavolo dove, come per magia, erano comparsi un bicchierino di liquore, un boccale di birra e un hot dog con la pancetta messa in un modo tale da sembrare che volesse scappare.
Volsi lo sguardo davanti a me, rivolgendomi ad entrambi dissi:
‐ Scusate, ma perché non riesco a muovermi?
‐ Perché la tua volontà è debole. – Fu prese la parola – È tutta una questione di forza, di quanto vuoi metterti in gioco. Prova ad alzarti e raggiungere quel tavolo dove ci sono quelle due donne che stanno parlando fra di loro, credo che ti possa servire. Concentrati su ciò che vuoi fare!
Iniziai a pensare a frasi motivazionali, quasi a parlare con il mio corpo, come se fosse una parte separata dal mio Io, del mio Essere. Provai a muovere un piede e piano piano si mosse, provai ad alzarmi e dopo alcuni tentativi riuscii a staccarmi dalla sedia. Mi incamminai verso il tavolo e accadde qualcosa di particolare: più mi avvicinavo più diventava buio, buio pesto, come se il sole tramontasse. E comparirono la luna e le stelle.
Potevano sembrare madre e figlia adottiva, visto che fisicamente non si assomigliavano affatto, o anche zia e nipote. Una era bionda, con gli occhi chiari e un inizio di rughe, che però quasi le donavano. La più giovane era molto scura di capelli, occhi e carnagione, la vera donna mediterranea. Più mi avvicinavo più mi trasmettevano un grande senso di fermezza, costanza.
Quando arrivai al loro tavolo, le riconobbi! La bionda Rossella e la mora Wanda!
‐ Mi ricordo di voi! Di quei mesi in cui lavoravamo fianco a fianco, anche se solo per pochi mesi ogni anno e per due anni consecutivi.
Smisero di parlarsi e Rossella disse:
‐ Ti ricordi quanto si lavorava intensamente solo per preparare l’evento di una notte? La notte dei ricercatori…
Wanda aggiunse:
‐ In che condizioni sono i nostri ricercatori? Le mamme ricercatrici possono lasciare i loro bimbi in ufficio ai colleghi, mentre loro partecipano a una riunione nell’altra stanza? Quanto sarebbe bello! Ma dalla tua espressione non direi! Quanto dovremmo aspettare? I cervelli scappano ancora all'estero?
Mi sentii inerme, colpito da tutte queste domande, ma soprattutto senza risposte chiare.
‐ È bello il passato, ma è più importante il futuro! Vai ad informarti e quando saprai rispondere alle nostre domande, torna a riferircelo! Noi dobbiamo concludere un discorso lasciato a metà prima che ci interrompessi.
Chiusi gli occhi e prima che me ne accorgessi mi ritrovai, magicamente, al tavolo con Mo e Domani.
‐ Ehi Fu – gridai, perché si era allontanato, non ne sapevo il motivo...
‐ Come, scusa?
‐ Ehi con l'acca...
‐ Ah ok, avevo capito tutt'altro... Cosa vuoi? Sono impegnato!
‐ Ti volevo solo dire grazie, ma grazie di cuore!
‐ Di nulla! Sapevo che ti poteva essere utile ricordare alcune persone che in passato ti hanno fatto vivere momenti importanti. Tutti dovremmo essere persone così, per gli altri.
Mo disse:
‐ Ti sei mai guardato allo specchio? Ti sei mai fatto un esame di coscienza?
‐ Sinceramente, non ci ho mai pensato!
‐ Se me lo permetti ti aiuto io.
‐ Proviamo, anche se non ne capisco il motivo…
‐ Prendiamo in esame due tipi di persone.
Il primo è quello che già da piccolo aveva le idee chiare. Ne fanno parte i bambini che sognano di fare l’astronauta, il calciatore, forse oggi lo YouTuber… "un lavoro da grande" con stipendio fisso, sicurezze e approvazione dagli altri, come la maestra di scuola, l’impiegato di banca o alle poste.
Il secondo è quello di chi nella sua vita ha fatto mille cose diverse: cameriera, promoter, videomaker, cuoca, baby sitter, insegnante d’inglese, giardiniera e badante. A volte due o tre di questi lavori si intersecavano nella stessa giornata! La possiamo definire una persona eclettica. Ogni volta che qualcuno le chiede di che cosa si occupa non sa rispondere. Hai degli esempi in famiglia?
‐ Sai già la risposta, se tu sei me…
‐ Esattamente, le tue sorelle.
Una lavora nella scuola dell’infanzia, ormai da parecchi anni, prima nelle Marche, nel vostro paese d’origine, Sarnano e adesso nel Veneto, a Monselice. Lei quando ha dovuto scegliere la sede per entrare nel mondo della scuola ha preferito il piccolo borgo alla Capitale e, come spesso ti dice, a Roma non riuscirebbe neanche più a guidare!
Si ricorda ancora il suo primo incarico da maestra "ufficiale" dopo la laurea, la prima supplenza. La prima volta in cui era da sola con tanti piccoli "topolini", la sezione era denominata così. Tanti occhi curiosi, tante manine indaffarate, tanti sguardi dolci.
E poi c’era quello di A. Il suo aveva un qualcosa in più, qualcosa di speciale! Era una bimba di tre anni con i capelli rossi lisci e gli occhi azzurri, non parlava con nessuno, si esprimeva solo con la testa, facendo sì o no. La mamma non sospettava nulla, non pensava fosse un problema: A. "era fatta così" anche a casa, con gli amici di famiglia, o per strada con gli estranei. Non comunicava. Poi tua sorella pensò al mutismo selettivo. Facendo un lavoro a piccoli gruppi e coinvolgendola nei giochi, piano piano A. ha preso sicurezza e si è aperta al mondo. La mamma alla fine dell’anno scrisse una lettera a tua sorella per ringraziarla.
L’altra si definisce fotografa, ma “a suo modo”. Dal 2019 svolge laboratori per ragazzi con disabilità. D’estate lavora a Milano in un City Camp per Dynamo Camp, l’organizzazione no profit che offre gratuitamente programmi di Terapia Ricreativa a minori affetti da patologie gravi o croniche, disturbi del neurosviluppo o condizioni di disabilità, alle loro famiglie e a fratelli e sorelle, permettendo loro di ritrovare fiducia in se stessi e migliorando la loro qualità di vita. Vive giornate diverse dal solito: si comunica con immagini e si parla a bassa voce per aiutare i bambini o gli adolescenti a vivere una mattinata di attività. Per di più, in solo otto giorni nel camp ‐ in un’oasi naturale in Toscana a San Marcello Piteglio, in provincia di Pistoia, in un’area di oltre 900 ettari ‐ viene prodotto un cortometraggio. Nel periodo invernale, invece, tua sorella tiene laboratori per i bambini nelle scuole di ogni ordine e grado, crea newsletter per una farmacia, scatta fotografie.
Dove ci ha portato tutto questo ragionamento? Tu di che gruppo fai parte?
La mia forza di volontà, in quel momento, era al minimo, forse perché mi ero concentrato a seguire il lungo discorso fatto da Mo. Riuscii solamente a sbattere la mano sul tavolo e dire:
‐ Si, l’ho capito!
Con quel rumore improvviso il ragazzino biondo, Domani o “lavoro futuro”, si destò.
‐ Perché mi hai svegliato?
‐ Guarda che io non ho fatto niente. ‐ mentii.
‐ Stavo sognando un bellissimo posto e ora mi ritrovo qui con te, circondato da tutto questo… Non hai fatto niente? Allora perché recentemente hai aggiornato il tuo curriculum vitae? Non te ne era mai importato molto in passato!
‐ L’ho aggiornato perché tutti mi dicevano di farlo…
‐ Hai intenzione di mandarlo a qualche ditta o vuoi rispondere a qualche offerta di lavoro?
‐ Non lo so! Voglio solo guardarmi intorno…
‐ Guardati intorno, fuori dalla finestra, cosa vedi?
‐ Il sole che tramonta dietro ai palazzi in costruzione, perché?
‐ Esattamente! Le impalcature sono luoghi di lavoro e morte!
‐ Morte?
‐ Si, non ti ricorda nulla Caparezza?
‐ Sinceramente no…
‐ “Tieni la testa alta quando passi vicino alla gru perché può capitare che si stacchi e venga giù”, ti dice qualcosa?
‐ Se non ricordo male è parte del testo di una canzone…
‐ “Vieni a ballare in Puglia”. Se ancora oggi questa canzone del 2008 viene vista come un successo da ballare d’estate durante le ferie e non un modo per denunciare le morti bianche, l’inquinamento ambientale, gli incendi e lo sfruttamento del lavoro nei campi, c’è qualcosa che non va.
Rimasi senza parole.
Il ragazzino allungò le mani sul panino, che addentandolo si aprì, e l’hot dog sembrò la prosecuzione della sua lingua. Mi venne da sorridere e notai una scritta dentro un quadro: “A volte devi essere onesto con te stesso e dirti: Se qui non sei amato; non sei apprezzato; non sei valorizzato; non vieni nemmeno visto. Allora voltati, e resta lontano!”.
‐ Cercami, trova qualcosa di nuovo con delle caratteristiche che ti piacevano del lavoro vecchio. Tu sei pronto a farmi crescere, ad accudirmi? Altrimenti fammi tornare a sognare!
Mi alzai e, fischiettando, me ne andai dal bar, non prima di dire: “Domani, ci sentiamo!”
Mi svegliai sul mio letto senza ricordare il sogno, ma con in testa il ritornello di una hit passata che ascoltavo alla radio parecchi anni fa.
PS: nessuna intelligenza artificiale è stata utilizzata per comporre questo scritto, solo qualche ricerca su internet per date, sinonimi e termini specifici che neanche sono stati utilizzati. Ringrazio chi mi ha mandato messaggi e raccontandomi aneddoti dei vari tipi di lavoro.