Il presagio

.IL presagio

Nel 1984 (si scoprì dopo) il baldanzoso signor Mario Bianchi agente di Borsa di Milano, di ritorno da un viaggio negli Stati Uniti, una mattina telefonò al suo ufficio comunicando che non si sarebbe potuto recare sul posto di lavoro causa influenza. Si alzò alle 8 e accese lo scaldabagno; ma spogliandosi notò che strane macchie erano presenti nel suo torace e due nella zona del pube, come dei bubboni! Passata la giornata a letto, il giorno seguente prenotò appuntamento col suo medico di base, il quale gli prescrisse delle analisi del sangue. I risultati: carenza di globuli bianchi e annessa mancanza di linfociti T detti CD4: cioè… AIDS. Nel 1982 il professor Luc Montagnier e il virologo statunitense Robert Gallo avevano isolato il virus HIV responsabile della sindrome immunodeficienza acquisita, AIDS, conquistando per questo il premio Nobel. Il signor Bianchi cominciò a manifestare una brocopolmonite bilaterale e le macchie si diffusero, come i bubboni di una nuova peste anche al viso. KS (sarcoma di Kaposi), fu la diagnosi; passarono velocemente i sei mesi e il signor Bianchi si spense all’ospedale San Raffaele un mattino di marzo. Successivamente con l’andirivieni dagli scali aeroportuali milanesi e del nord Italia, inclusa la capitale, si iniziò a delineare anche da noi un quadro isotopico della sintomatologia comune a molti soggetti (al 90% maschi, di trenta, trentacinque, quarant’anni…). Purtroppo la malattia, che già precedentemente si era presentata nell’Africa subsahariana e nel sud est asiatico, andò diffondendosi a macchia d’olio dagli Stati Uniti all’Europa, prevalentemente tra persone omosessuali e tossicodipendenti. Le campagne di prevenzione furono molto alte al livello di massmedia e di assistenti sociali, diffondendosi anche alle piccole realtà locali. Dalla Sicilia alle valli del Trentino Alto Adige si iniziò a temere il contagio, specialmente per chi vivesse in promiscuità sessuale o facesse uso di eroina, o chi, magari passeggiando in qualche remoto angolo, si imbattesse in una siringa infetta, considerata il vettore prevalente di infezione. Purtroppo, visto che il tempo di incubazione del virus è molto lungo, ci si rese conto solo a posteriori del rischio corso da chi avesse già ricevuto sangue via trasfusione negli anni’80 e primi ‘90. Vi fu infatti nel 1992 una vera e propria epidemia di malati di epatite C e Hiv contratti tramite sacche di sangue non controllate, problema che emerse clamorosamente con lo scandalo Tangentopoli, riguardante anche una parte di corrotti rappresentanti della sanità italiana, vedasi Poggiolini e De Lorenzo... Negli anni’90 la vera e propria pandemia da HIV provocò quasi 48 milioni di morti in tutto il globo. Nel Veneto di fronte al dilagare della peste del XX secolo (così alcuni la chiamavano) il patriarca di Venezia con l’aiuto di fondi provenienti da Ministero della Salute e filantropi industriali, decise di aprire nella laguna una RSA assistenziale per i sieropositivi oltre che per disabili anziani con altre patologie. Era l’anno 1993. Nacque l’Opera Santa Maria della Carità, che tutt’oggi accoglie chi è nel bisogno. Oggigiorno i soggetti a rischio sono prevalentemente eteterosessuali, tra i 30 e i 50 anni come fascia d’età. Arrivando agli anni 2000 la medicina però è stata capace di fare un grosso fronte a questa pandemia, grazie non solo alla scoperta di adeguate terapie anti‐retrovirali che inibiscono la proteasi (espansione e moltiplicazione) e trascrittasi del virus nell’organismo, ma anche a un maggior controllo a livello sociale, ottenuto con campagne informative e divulgative… Prevenzione, adeguata cura di sé, comportamento e stile di vita sano e responsabile, sono la base necessaria non solo per curarsi, ma anche per impedire a questo virus di diffondersi. È un dovere civico e morale di rispetto verso chi ci sta accanto e in genere per il nostro prossimo. A causa di una trasfusione infetta io convivo con questo virus da ventitré anni.