L'omicidio di mio fratello in breve

Ho già raccontato l'omicidio di mio fratello tante volte.
A parte il substrato familiare e l'alta sensibilità e cervello molto attivo di mio fratello che hanno favorito lo sviluppo dello stesso disagio di John Nash, il matematico premio Nobel per l'economia che ha ispirato il film 'A Beautiful Mind', tratto dall'omonima biografia di Sylvia Nasar, ho raccontato l'inadeguatezza e il sabotaggio delle cure da parte della stessa famiglia che aveva creato l'ambiente favorevole allo sviluppo del disagio.
[Perché, come ricordo in Psichiatria oggi e domani, se il disagio può anche avere un'origine genetica, è l'ambiente che ne favorisce lo sviluppo].
Troppo tardi, mi sono chiesta se sia stato anche l'arrivo del tizio che mi aveva puntato come sua vittima, presentandosi come persona indifesa, anzi lui stesso vittima, quando mio fratello aveva quattordici anni, a dare il colpo finale allo sviluppo del disagio; di certo non ha giovato.
La prima ad accorgersi che c'era un problema serio fu mia madre. Ciò che mi riferì mia madre era grave, però non si discostava da fantasie che avevo avuto anche io, con la differenza che io sapevo che erano fantasie, mentre mio fratello ci credeva veramente, e pensai che stesse vivendo il disagio del passaggio dal mondo degli studi, dove si era tutti amici, al mondo del lavoro. Non era così, i colleghi ‐ tranne qualche normale eccezione ‐ gli volevano bene e lo stimavano, avrei appreso due anni dopo.
Infatti, solo due anni dopo capii anch'io la gravità della situazione e che occorreva il ricorso ad uno specialista. Intanto, mi ero già fatta mettere l'anello al naso dal tizio che sembrava tanto buono e migliore della parte peggiore della mia famiglia allargata da parte di padre.
Uno specialista, ma quale? Non ebbi consiglio dal medico curante. Inoltre, fin da quando avevo vent'anni ero convinta che i disagi dell'anima andassero curati risalendo e gestendo la causa, non con gli psicofarmaci (farmaci per la psiche, anima, bah) che, anzi, creavano più danni.
Passano quattro mesi e la diagnosi e la cura arrivano praticamente per forza. Mio fratello si adattò alla cura col pensiero: "Facciamo vedere che li assecondiamo". Ciò fu quello che percepii.
Due anni dopo nuova situazione di crisi. Incontro una specialista che usava il logos, non i farmaci. La specialista che cercavo da due anni. La vidi in azione. Era brava.
"Se vostro fratello continua con gli psicofarmaci, ogni due anni si ritroverà in un reparto psichiatrico". Con me sfondava una porta aperta.
Ma il tizio dal quale mi ero fatta mettere l'anello al naso va a riferire al primogenito maschio dei miei genitori, il quale lavora e vive lontano, ma quel fine settimana è in zona perché è il ponte del 2 giugno, e fa saltare tutti gli accordi con la specialista.
E mio fratello rimane abbandonato a se stesso, ai farmaci prescritti dagli specialisti dell'ASL (bravissimi, ma non c'è stata continuità, e comunque non ci si è liberati dagli psicofarmaci).
La parte peggiore della famiglia allargata da parte di padre, dopo avere contribuito a creare quel clima ambientale in cui si è sviluppato il disagio, ha continuato a creare il peggiore clima non adatto ad una cura dell'anima. Dovevano continuare a risparmiare sul condominio (erano abituati a far pagare tutte le spese a mio padre, il quale faceva finta di niente) e magari a farci pure la cresta, e cacciarmi da casa mia, perché si devono divertire e soddisfare la loro avidità.
Tanto per fare un esempio, proprio nel periodo di crisi in seguito al quale avrei conosciuto, inutilmente, la specialista che cercavo, uno di loro telefonò a casa di mio padre protestando animosamente perché l'amministratore aveva comunicato loro di quanto erano in debito, dato che non versavano le quote dall'inizio dell'anno. Mio fratello ne fu molto turbato. Inoltre, anche perché avevo avuto modo di constare negli ultimi quattro anni che razza di falsi e caini fossero, ma mio fratello minore non lo sapeva ("Se vuoi bene a qualcuno, gli dici la verità", dice il giornalista Mario Francese ne 'La mafia uccide solo d'estate ‐la serie'), il tizio che mi aveva messo l'anello al naso riuscì a confondermi: sapevo che casa mia non era un ambiente adeguato a mio fratello con quei parenti come vicini di casa.
Poi, completamente incuranti sia dell'età e della salute di mio padre sia del dramma che stava vivendo mio fratello, hanno continuato a divertirsi infierendo in tutti i modi possibili e immaginabili su di me e su mio marito (il tizio che mi aveva messo l'anello al naso), coinvolgendo anche mio padre e, quindi, mio fratello. Non certo il modo migliore per creare un clima familiare di serenità e corresponsabilità per favorire la gestione di un disagio così grave.