La città marcia

La città marcia.
La famiglia marcia.
Marcia aggettivo, ossia putrefacente.
Non marcia, terza persona singolare presente indicativo del verbo marciare, ossia camminare con andatura regolare e spedita.
La città marcia è riassunta dalle parole che mia zia ventenne pronunciò poco dopo essere arrivata a Battipaglia all'inizio degli anni '50 con sua madre, la sorella (mia futura madre) e suo fratello minori.
Mia nonna, vedova da più di dieci anni, era stata invitata a trasferirsi dal paese del marito a Battipaglia da una cugina che le era tanto affezionata. Con il marito aveva una grossa impresa commerciale e le aveva proposto di assumere il figlio, mio futuro zio, appena diplomato ragioniere.
Le parole che mia zia pronunciò poco tempo dopo essere arrivata a Battipaglia furono: "Ma dove mi avete portato!? Qui non parlano che di soldi! Io me ne vado dai nonni ad Agropoli."
E così fece.
Conobbi queste parole solo nel 2002, dopo che, avendo contratto matrimonio, mi ero trasferita ‐ come era stato desiderio fortemente espresso da mio padre ‐ nell'appartamento destinato a mio padre da suo padre nella palazzina che mio nonno aveva realizzato.
Molto perplessa dall'atteggiamento e dalle osservazioni dei vicini, ne parlai a mia madre. I miei vicini stavano solo a controllare come avevo risistemato l'appartamento, ridotto in condizioni miserrime dall'ultimo inquilino e abbandonato oramai da vent'anni, come lo avevo arredato e sembravano seccati dal riscontrare qualsiasi cosa che apprezzassero.
E mia madre mi raccontò dell'impressione negativa che la sorella maggiore aveva avuto degli abitanti di Battipaglia non appena arrivata.
Mi spiegò che "Non parlano che di soldi" significava che le persone sapevano solo spettegolare: "Quello tiene questo; quell'altro tiene quest'altro", ossia sembravano solo interessati a spiare le proprietà e la ricchezza altrui.
Se avevo capitolato alla richiesta di mio padre di andare a vivere nel vecchio appartamento di famiglia nella vecchia palazzina di famiglia era soprattutto perché mio padre minacciava di venderlo se io, invece di usare i miei soldi per ripristinare l'appartamento, ne avessi comprato un altro.
In quell'appartamento e palazzina c'erano i ricordi dei miei giochi d'infanzia, oltre che mi sembrava un peccato perdere quella testimonianza di storia e di architettura; inoltre vedevo già i parenti e i vicini famelici stare addosso a mio padre per comprarsela per quattro soldi.
Mio padre è un battipagliese anomalo: non gli interessano i soldi, anzi ritiene che averne sia una vergogna. Vive per la convivialità e la condivisione.
Sono stata un'ingenua.
I parenti e vicini famelici non hanno demorso, non mi hanno fatto vivere tranquillamente lì, non ho potuto far crescere le mie bambine lì, altrimenti le avrebbero tormentate e vessate, come avevano fatto con me da bambina, e se lo prenderanno per quattro soldi, se non gratis, alla mia morte, dato che i miei eredi non tutelano e non rispettano i miei desideri e interessi.
E io non l'ho venduto per mantenere il diritto a entrare lì e la possibilità di distruggere l'oggetto del loro desiderio. Illusione, perché non ne sarei capace.
Ma la mia maggiore ingenuità è stata credere nella bontà e nell'altruismo della persona di cui non ero riuscita a liberarmi e, per sfinimento, era riuscita a farmi mettere una firma sull'altare.
Appena sposati, mi scoraggia nel mio progetto di acquistare un bilocale per mio fratello minore, che lavorava da un paio di anni dopo la laurea e nel quale vedevo un disagio, sebbene non ne avessi ancora capito la gravità, e pensavo che avesse bisogno di un suo spazio, lontano dagli invadenti e anziani genitori. Mica intendevo interstarglielo, solo offrirglielo in comodato.
E sono stata un'ingenua nel credere che mio fratello maggiore fosse una persona leale che rispettasse la parola data. Si era trasferito definitivamente a lavorare a Roma e, quando mio padre ne parlava, per anni protestava il suo disinteresse per i soldi, le proprietà e "quella casa vecchia".
Saranno state la moglie e la suocera, interessate a tutti l'asse ereditario dei miei genitori, a fargli cambiare idea?
Nulla di nuovo sotto al sole, certo.
Certo, sapevo che i fratelli bancari di mio padre fossero ladri, ossia facevano pagare volentieri a mio padre, il quale faceva finta di niente, i loro conti condominiali, però non sapevo che, insieme ai loro eredi, fossero anche assassini. Cinque centesimi in più nelle loro tasche sono più importanti della vita altrui.
Assassini. Hanno continuato con i loro imbrogli per far pagare a me le loro spese condominiali e farci pure la cresta, anche dopo la malattia seria di mio padre e dopo che sapevano che anche mio fratello minore aveva un grave disagio e aveva bisogno di serenità e un clima familiare di affetto.
Ma, come dicevo, la mia maggiore ingenuità è stata credere nella bontà e nell'altruismo della persona di cui non ero riuscita a liberarmi.
Solo quando oramai era troppo tardi, ho saputo che aveva volutamente messo mio fratello minore nella mani dell'arrogante, ipocrita e per lo più assente fratello maggiore. Ogni tanto presente solo perché alla moglie e alla suocera era piaciuta la casa al mare dei nostri genitori e ora presente per curare l'eredità. E quella volta era presente perché aveva portato la famiglia a fare i bagni in un lungo fine‐settimana.
E così ho capito che i miei soldi, che avrei voluto utilizzare per anticipare a mio fratello l'autonomia di cui aveva bisogno, lontano dai miei genitori, li avevo dati a lui per i suoi giochi immobiliari, perché di giochi si tratta. Giochi che gli riempiono la vita e il vuoto della sua anima. Sebbene i giochi siano iniziati con la motivazione ufficiale di portarmi lontano da quei parenti e vicini perfidi.
"Stavamo scarsi a scemi", ho pensato quando il tizio, vedendomi andare verso la porta con il trolley, nel disperato tentativo di trattenermi, se ne uscì con le parole: "Senza di me non sai fare niente".
Stavamo scarsi a scemi.
Non bastavano i parenti maligni, fratello maggiore incluso in tarda età, che da quando ero nata avevano cercato di farmi sentire stupida e incapace, con i loro risolini, parole cattive e maldicenze. Tecniche mai abbandonate.
Ci mancava anche questo tizio che mi aveva agganciato con tecniche di stalking ‐ ma non l'avevo capito, poverino, era solo tanto innamorato ‐ e che non ero riuscita a mandare via, prima perché "poverino, ci rimane troppo male", poi quando si era licenziato dall'azienda "perché sembrava brutto". La classica trappola, individuata troppo tardi, narcisista‐ipersensibile.
Questo tizio che ha un contratto a tempo indeterminato, perché io gli ho fatto prendere l'abilitazione all'insegnamento. Ma lui nega, da buon narcisista bugiardo qual è: ha fatto sempre tutto da solo.
Dal 2009, con i soldi della mamma e con i soldi miei, di cui non aveva bisogno, ha iniziato i suoi investimenti immobiliari, sottraendomi i soldi che avrei voluto invece usare utilmente per mio fratello.
"Senza di me non sai fare niente".
Certo, quando ho bisogno, senza di te, chiamo l'idraulico e l'elettricista. E per ristrutturare l'appartamento avrei chiamato una ditta. Avrei speso di più, ma avrei guadagnato la mia anima, la mia vita e la vita di mio fratello.
E, per accompagnarmi da qualche parte, c'era mio fratello. E gli amici. O avrei chiamato un taxi.

Stavamo scarsi a scemi.
Stavamo scarsi ad egoisti.
Stavamo scarsi a tirchi.
Stavamo scarsi a perfidi.
Stavamo scarsi ad avidi.
Stavamo scarsi a ladri di vita.

E, quel che è peggio, condizionata da chi avevo intorno, a volte ci sono cascata anch'io. Tranne che nell'avidità.

Gennaio 2025.
Un avvocato: "Battipaglia è una città marcia. La gente sta a spiare cosa tieni e a vedere come togliertela".