La Fiaba delle Lucciole Perdute
"La Fiaba delle Lucciole Perdute"
© Alessio Carlini 22 agosto 2025
"La felicità non è un traguardo, ma una luce gentile, come quella delle lucciole che, ci sfiora quando smettiamo di inseguirla. È il respiro della natura quando la lasciamo libera, il silenzio che parla quando sappiamo ascoltare, il gesto semplice che illumina l’anima. Felicità è riconoscere la bellezza che non chiede nulla, se non di essere vista."
C’era una volta, in un tempo che non si misura con gli orologi ma con il battito delle stagioni, un bosco che respirava insieme alla luna. In quel bosco, tra le radici umide e i sussurri del muschio, viveva la stirpe delle lucciole: creature minuscole, ma capaci di accendere il buio con una luce che non feriva, che non bruciava, ma accarezzava.
Ogni lucciola nasceva da un piccolo uovo, invisibile agli occhi distratti, ma carico di una promessa: diventare luce. Dall’uovo usciva la larva, silenziosa e affamata di vita, che si nutriva di piccole creature e di sogni nascosti. Cresceva lentamente, senza fretta, come se aspettasse il momento giusto per rivelarsi al mondo. Poi, si chiudeva in sé stessa, diventando pupa, e lì, sospesa tra il tempo e il respiro della terra, sognava il cielo.
Quando finalmente si apriva, la lucciola adulta emergeva con ali leggere e un cuore che brillava. Non brillava per sé, ma per gli altri. Per corteggiare, per comunicare, per raccontare. I maschi danzavano nell’aria, disegnando con la loro luce un linguaggio segreto. Le femmine, nascoste tra i fili d’erba, rispondevano con un lampo. Era un dialogo fatto di attese e risposte, di silenzi che brillano. Ogni specie aveva il suo ritmo, la sua poesia luminosa. E in quel corteggiamento, l’universo sembrava fermarsi.
Ma gli uomini, presi dalla fretta e dall’illusione del progresso, cominciarono a dimenticare. Accesero luci artificiali che spezzavano il linguaggio delle lucciole. Spruzzarono veleni che avvelenavano la terra dove nascevano. Costruirono strade e palazzi dove prima c’erano prati e ruscelli. Così, ogni anno, il loro canto si faceva più flebile, più lontano. Le notti diventavano più buie, anche se piene di lampioni. Perché la luce delle lucciole non illumina solo la notte: illumina l’anima.
Un giorno, una bambina dal cuore curioso spense le luci del giardino. Disse che voleva vedere le stelle camminare. E le stelle camminarono davvero. Una, poi due, poi cento. Le lucciole tornarono a danzare, a corteggiarsi, a raccontare. E gli adulti, vedendo quella magia, si fermarono. Ascoltarono. E capirono.
Capirono che per ritrovare sé stessi, dovevano prima ritrovare la luce delle lucciole. Che non è solo biologica, ma spirituale. È il riflesso di ciò che potremmo essere: creature capaci di illuminare senza ferire.
Da quel giorno, in quel villaggio, ogni notte si spegnevano le luci inutili. I bambini imparavano a leggere il linguaggio dei bagliori. Gli anziani raccontavano storie di quando le lucciole erano ovunque. E la natura, lentamente, tornava a respirare.
Un dì, , se mai ti capiterà di vedere una lucciola danzare nel buio, non scacciarla. Ascoltala. Perché quella luce è un messaggio. È un appello. È la voce di Madre Natura che ti chiede di ricordare. Di proteggere. Di amare.
E forse, se saremo abbastanza silenziosi, abbastanza umili, abbastanza umani… le lucciole torneranno. E con loro, anche noi.