La Tela di Fuoco
"La Tela di Fuoco"
19 dicembre 2025 ©Alessio Carlini ‐ Luce Sciamanica
“Solo chi osa bruciare il proprio specchio può vedere la luce che lo attraversa.”
A volte, ciò che ci attraversa non è un sogno né un pensiero, ma una chiamata. Una luce che ci ferma, ci brucia, ci rivela. Questa è la storia "Vera" di un uomo che, dopo aver suonato il cuore del mondo, ha incontrato il proprio specchio nel volto di Shiva ed ha scelto di distruggere per rinascere:
C’era una volta un uomo chiamato Elian, che suonava tamburi fatti di pelle e vento. Le sue mani, dure come la terra e leggere come piume, battevano ritmi antichi che risvegliavano i sogni nei cuori degli ascoltatori. Una notte, dopo un concerto sotto le stelle, Elian scese dal palco con il cuore ancora acceso. Il sudore gli colava sulla fronte come rugiada sacra, e il mondo sembrava sospeso in un respiro.
Fu allora che la vide.
Una luce, improvvisa e viva, lo trafisse come una freccia di fuoco. Non veniva dal cielo, ma da un angolo del mercato notturno. Elian la seguì, come ipnotizzato, e si trovò davanti a una bancarella solitaria. Tra spezie, amuleti e sete colorate, c’era una tela. Nera come la notte senza luna, ma attraversata da lampi di luce dorata, rossa, azzurra. Al centro, danzava una figura: Shiva, il Distruttore e il Creatore, con occhi che bruciavano come soli e mani che benedicevano e annientavano.
Elian non esitò. Comprò la tela e la portò con sé, come si porta un destino.
Per giorni la osservò. Per notti la sognò. Finché una sera, stanco di cercare risposte fuori da sé, si sedette davanti alla tela e chiese:
"Chi sei tu, che mi hai chiamato?"
La tela prese fuoco. Ma non bruciava. Le fiamme danzavano come le sue mani sui tamburi, e dalla tela emerse una voce:
"Io sono te. Io sono ciò che distruggi per rinascere. Io sono il giudizio che abbandoni, il volto che non hai osato guardare."
Elian vide allora il proprio volto riflesso nel nero della tela. Vide le sue colpe, le sue paure, i suoi amori spezzati. Vide le maschere che aveva indossato per piacere, per proteggersi, per non sentire. E pianse. Ma non di dolore. Pianse come si piange quando si torna a casa.
La tela, ormai cenere, si dissolse nel vento. Ma la luce rimase. Dentro di lui.
Da quel giorno, Elian non suonò più per essere ascoltato. Suonava per ricordare. Per distruggere le illusioni. Per accendere fuochi nei cuori addormentati. E ogni volta che il tamburo parlava, qualcuno, tra il pubblico, sentiva una luce attraversarlo. E capiva.
Che la vera fiaba non era quella raccontata.
Ma quella che iniziava, proprio allora, dentro di sé.
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La fiaba di Elian ci ricorda che ogni visione autentica è un invito a smettere di proiettare ombre sugli altri e iniziare a guardare dentro. La distruzione, quando è sacra, non è mai fine a sé stessa: è un atto d’amore verso ciò che vuole nascere. Come Shiva, come il tamburo che rompe il silenzio, anche noi possiamo diventare strumenti di risveglio, se abbiamo il coraggio di lasciarci attraversare dalla luce.