Sodomia dimenticata
Psicologico , Porno‐erotico. Per adulti. Nuovo e inedito.
Ormai sono passati più di 30 anni dall’esperienza che abbiamo rintracciato grazie a lei… ebbene non so se, dagli stralci di “conversazione”, accennati durante lo stato di ipnosi blanda, lei abbia capito del tutto ciò che mi capitò all’epoca ma le posso assicurare, con grande stima, che sicuramente lei è riuscita a centrare il punto, a “tirar fuori il rospo” per così dire.
In effetti, contrariamente a ciò che si può credere, ricordare ciò che era praticamente occultato nella mia memoria, mi ha fatto solo del bene: ora mi sento molto meglio e inizio a star bene con me stesso, nonostante che, lo confesso, se qualcuno mi avesse detto che questa cosa mi faceva bene non gli avrei creduto, anzi, forse sarei rimasto ancora più chiuso e problematico nei rapporti con gli altri, soprattutto amici e colleghi maschi. Certi imbarazzi inspiegabili non avrebbero mai avuto una risposta, rendendomi ancora più insicuro e restio… anche in famiglia.
Comunque, mi permetta di chiamarla amica mia: domenica sera che ero solo in casa, invece di stravaccarmi davanti alla TV, mi sono rilassato nella penombra, ho ripensato a ciò che mi aveva comunicato e le garantisco che la scelta (anche se lei non era del tutto d’accordo) di permettermi di ascoltare la registrazione di quella nostra seduta si è rivelata provvidenziale. Al buio, ascoltando quelle parole che mi sembravano dette da un altro, esse hanno invece contribuito ad aprirmi la mente, a ricordare tutto.
7 giugno ‘94
Vivevo in una cittadina d’Abruzzo, avevo appena compiuto 16 anni e forse era giugno, visto che era appena terminato l’anno scolastico.
Fin da ragazzo sono sempre stato un tipo curioso, leggevo fumetti di Fantascienza, ero attratto dal mistero (mistero che includeva la voglia potente di incontrare una ragazza per capirci di più sul sesso vero). Come tutti i ragazzi mi arrangiavo e soprattutto mi masturbavo.
Da qualche giorno era arrivato un circo itinerante, con annesse le classiche giostrine e i baracconi che la notte prendevano vita, tra luci e canzoni antiquate, sparate a tutto volume.
Con un paio di amici di allora decidemmo di farci una capatina un sabato sera. Tirammo pugni, sparammo ai barattoli, vorticammo sul “calcinculo”, poi trovammo il classico punto di osservazione strategico, per spiare le gonne svolazzanti delle ragazze fidanzate, e comodo per consumare un panino e una coca.
Approfittai di un’assenza dei compagni per investire le ultime mille lire nel mondo del “mistero”.
Un po’ appartato e lontano dal chiasso c’era una specie di gazebo, però chiuso intorno come una tenda, era circondato da cartelloni colorati, con stelle, teschi e grandi mascheroni di geni e di odalische dagli occhi spiritati. Ne uscirono due ragazze che si confidavano il responso tra mille risatine nervose.
Era il mio turno ed entrai.
Tra tende e veli che complicavano il breve percorso riuscii a raggiungere la chiromante di turno, ora che ho riconquistato memoria di quei giorni la ricordo abbastanza bene: era una donna sicuramente non grassa, sebbene agghindata con veli piume e pareo coloratissimi. C’erano candele profumate dall’odore dolciastro, un tavolino e sopra gli attrezzi del mestiere, carte, la palla di vetro e altre cianfrusaglie per me sconosciute.
La donna non era brutta, aveva il viso lungo e una massa di capelli scuri, raccolti con un fazzoletto rosso, occhi neri e penetranti, una voce roca forse abbrutita dal tabacco.
Mi fece sedere, mi studiò (o fece finta) di studiarmi a fondo prima di parlare, e poi iniziò a “divinare”, tenendomi sotto una decina di minuti, nei quali lei mi fissava, mentre io fissavo le sue grandi tette, estremamente esposte al punto che in certi momenti mi sembrava di scorgerne l’areola.
All’epoca non credo che sapessi bene cosa fosse, le ragazze che conoscevo erano catalogate in bone e racchie, invece la “signora” ti stordiva… non si capiva come catalogarla, quella lì aveva fascino: guardavo le zinne, pendevo dalle sue labbra e il modo in cui ammiccava e come muoveva le mani mi fecero eccitare. In effetti quando mi prese la mano tra le sue, calde, vissute e profumate, ebbi una inaspettata e violenta erezione.
Comunque la “seduta” si concluse con lei che teneva banco e che poi mi lasciò con una serie di frasi a effetto, mentre mi esaltava irretendomi. In poche parole mi disse che ero un ragazzo speciale, che aveva visto delle cose in fondo ai miei occhi che meritavano un approfondimento… se volevo saperne di più, dovevo tornare da lei il lunedì pomeriggio… poi mi scaricò e io tornai, mezzo rimbambito, dai compagni che vollero sapere cosa avessi scoperto.
Dopo le chiacchiere tornammo a casa e io, ancora un po’stordito dagli odori della tenda e dalla malia della signora mi tirai una sega, appena raggiunsi bagno.
9 giugno ‘94
La domenica mi sveglia tardi, ricordavo ben poco dell’esperienza “esoterica”, addirittura scartai già dalla mia testa la possibilità di andare dalla chiromante, ero un bravo ragazzo di paese, più per timore che per scaltrezza diffidavo degli estranei, inoltre per noi un po’ chiusi tra i monti, circo, fiere e mercatini erano sempre guardati con un minimo di diffidenza. Ma la notte passò male, disturbata dalla passione e dall’indecisione, tra mille congetture quasi infantili… tutto a sfondo sentimentale e sessuale.
Ma, gentile amica, come sai i giovani sono costantemente attratti dall’avventura e dalla figa: e se la donna era veramente una strega? Dopotutto mi aveva detto tante cose che sembravano combaciare con la mia giovane vita di studentello; oppure era solo una prostituta e mi avrebbe concesso di vedere e toccare cose che avevo visto solo sui giornaletti… e se poi le piacevo davvero? Dopotutto ero giovane e forte, con gli amici si fantasticava spesso sulle donne adulte, sulle vedove o le separate che cercavano il cazzo di un giovane… insomma, sebbene titubante, non erano nemmeno le 3 che arrivai nello spiazzale in periferia che ospitava il circo.
Un senso di vuoto mi attanagliò lo stomaco: lo spazio era deserto, abbandonato e inutile, proprio come lo era per tutto il resto dell’anno. Stavo quasi per andare via deluso quando mi accorsi di un camper, parcheggiato all’estremo, in prossimità dei primi alberi del boschetto vicino. Niente di interessante, tranne che su una sedia da campeggio c’era un uomo che leggeva un libro, comunque nient’altro che potesse alimentare i miei sogni avventurosi, così stavo per tornare sui miei passi quando quello si alzò in piedi e mi fece cenno di avvicinarmi. Lo raggiunsi e lui tutto sorridente mi chiamò per nome:
‐ Ah eccoti, tu devi essere Gildo…
Lo guardai veramente stupito.
‐ Eh, mi dispiace, ‐ mi disse confidenzialmente – il circo è partito stanotte, domenica era l’ultimo giorno. Ma “madame” ha insistito, voleva aspettarti, ci sperava che venivi…
Invece di diventare più guardingo mi sentii contento, credo che in me agisse un misto di desiderio e curiosità, stimolato poi dalla gentilezza di quel “vecchio”, così innocuo e cordiale.
‐ Vieni, accomodati, noi partiamo stasera, vieni, ‐ poi rivolto verso l’interno – madame, Gildo e venuto, lo faccio passare?
Salii lo scalino ed entrai nel buio (visto che fuori c’era un sole abbagliante a quell’ora). Una voce ormai nota disse:
‐ Bravo, vieni pure avanti e chiudi la porta…
Madame, la signora, era nel cucinino del camper che comunque era bello grosso, in fondo sempre tra tende blu ben serrate, c’era un grande spazio a ferro di cavallo, tutto ricoperto da cuscini.
Lei sorrise: ‐ Ti piace? Quello è il nostro lettone, sai c’è un asse che chiude lo spazio è diventa matrimoniale… Ti preparo un caffè? Hai mangiato? Vuoi un bel the freddo?
‐ Grazie, io… io non sapevo che il circo andava via… ‐ dissi quasi per giustificare l’intrusione in quel mondo così privato. Ci tengo a precisare che in quell’occasione ero molto sbilanciato dalla presenza dell’uomo, la fuori. Scioccamente sarei stato più speranzoso verso un “impossibile” approccio con la maga se fuori ci fosse stata la folla festante del Luna Park. Quello invece, solo ma adulto se ne stava fuori… ma con quali intenzioni: Dopotutto eravamo nel bel mezzo del nulla… Chi era?, Sicuramente non un servo, lei parlava al plurale… era il marito, un amante?
Intanto mi porse una lattina di The al limone e una cannuccia.
‐ Noi abbiamo mangiato presto, ‐ disse stasera partiamo. Domani saremo tutti a Civitanova, sai comincia la stagione…
Io non chiedevo niente, non volevo chiarimenti, ero nuovamente inebetito davanti a quel “femminone” che mi incuteva desiderio, reverenza, specialmente quel pomeriggio. In piedi la signora era più alta di me… si muoveva come se danzasse, ma l’ipnosi che mi incantava era nel suo abbigliamento: un camice da casa talmente innocente e dozzinale che avrebbe potuto indossarlo anche mia mamma, però… era quasi tutto sbottonato, quindi quando si muoveva per il camper per le faccende, svolazzando mostrava la lingerie, che ebbe un effetto devastante sul mio cazzo giovanile. Calze nere, strani zoccoletti con un po’ di tacco, mutandine di pizzo velatissime e un reggipetto che non avevo mai visto tra quelli di casa… nonostante da ragazzino spiassi accuratamente nella biancherie di sorelle e mamma; era color carne ma sosteneva solo metà delle grandi tette, come con mezze lune di pizzo, da sotto, e il seno trasbordava, molle e invitante, con le areole carnicino quasi tutte fuori e i capezzoli fantastici e puntuti, bruni come un bon bon al cioccolato.
Rise in maniera quasi infantile e i suoi anni si avvicinarono ai miei. Poi con astuzia e femminilità si coprì.
‐ Ah, scusami… sei colpito dalla lingerie? Stavo provando questi articoli che ho comprato qualche giorno fa, sai noi per lo spettacolo abbiamo bisogno di questi articoli un po’ osè. Non ci fare caso.
Mi prese per mano e ci accomodammo in fondo, sui cuscini del camper… sedendosi la vestaglia si riaprì, ovviamente, e i suoi coscioni, limitati dalle calze orlate, spiccarono in tutto il loro burroso candore. Inoltre, scoprii in bella mostra un qualcosa di nero che avevo solo intuito: un po’ più su delle mutandine c’era un altro elemento poco noto a un ragazzino come me, un reggicalze, da cui alcune strisce peccaminose disegnavano curve voluttuose sulla mia signora. Confesso che, per quel che ero allora, ciò che avevo visto e annusato in quel camper mi sarebbe potuto bastare come ispirazione per almeno un anno di seghe. Infatti, nonostante le stranezze e i timori, il mio cazzo era talmente duro che la cappella mi faceva male per la pressione, mentre uno strano “filo interno” mi tirava le due palle fino a dolermi.
Madame, invece sembrava ignara di questi miei dolori e si dedicò esclusivamente alla mia mano, al palmo, vito che il dorso era appoggiato sulla coscia, a pochi centimetri dal “pelo” nero, che si intravvedeva dalle mutandine.
‐ Vediamo, vediamo… ‐ e mi teneva la mano tra le sue con una confidenza che esaltava i miei confusi sentimenti, ‐ ecco qua. Sai caro mio era proprio questo che volevo “indagare”, vedi – e poggiò il dito premendo su una parte del palmo, ‐ Vedi questo si chiama “monte di Venere, sai perché, perché è la parte della mano dove posso leggere la tua sensualità, anche i rapporti importanti e se una persona può avere figli… cose così, insomma.
Io non capivo granché… comunque ormai pendevo dalle sue labbra e… dal suo corpo.
Si alzò, accese alcune candele e si recò verso la porticina; sentii un rumore di chiavistelli mentre la mia mente si inebriava di un profumo speziato che, sommato allo spettacolo che vedevo, mi rese allegretto e un po’ irresponsabile.
‐ Vedi, amore mio, con un monte di Venere così, tu farai impazzire le donne, credimi… non vorrei essere nei panni della tua fidanzatina… ‐ sorrise, e poi, quasi sbuffando, fece scivolare via la sua vestaglia, ‐ mamma mia, il pomeriggio fa sempre più caldo…
‐ Io non sono fidanzato, signora…
‐ Signora? – sorrise allarmata, ‐ ma come, ti sembro tanto vecchia?
‐ Noo… voi siete … voi siete …
Ma lei tornò verso di me e le parole divennero talmente inutili da non avere più alcun significato. Guidò le mie mani sulla sua pelle, e le sue seppero dove andare; le bocche si accostarono ed io capii per la prima volta la potenza erotica di un vero bacio. Quella donna era burro fuso eppur sodo sotto le mie labbra, sotto le mie carezze impacciate. Lei stessa mi spogliò nudo lentamente, come se assaporasse la vista del mio corpo appena avviato verso la maturità.
‐ Vieni, tesoro, vieni vicino a me.
Eravamo in piedi e lei mi si strusciava contro ma con metodo, si abbassava di qualche centimetro con tutta se stessa e poi ritornava completamente su, e nel fare questo movimento danzava. Era una danza fatta con anche e pancia, ipnotica… sinuosa come fosse animata dalle spire di un serpente. I suoi occhi mi fissavano e il suo sguardo era voluttuoso come un orgasmo costante. Sentivo la sua pelle, il contatto femminile sognato in centinaia di notti solitarie, pancia, cosce, spalle, il merletto delle mutandine pungeva sul mio membro eretto, premuto tra le nostre pance, eppure non me lo aveva ancora nemmeno preso in mano. A quel punto si girò… la mutandina era un tanga e di conseguenza il suo culo era oscenamente esposto, nonostante il fisico asciutto il sedere della maga era abbonante come le sue zinne.
‐ Ti piace quello che vedi, bambino mio? Sono troppo vecchia per te?
‐ Io non capisco più niente signora… tu sei la donna più bella del mondo.
Riprese a strusciarsi soddisfatta, continuando la sua danza perversa ma adesso erano le sue chiappe mature a strusciarsi sul mio inguine, mentre la mia “varra” mai stata così grossa, rimaneva spesso incastrata nel solco del suo culo e veniva trascinata tra le sue carni calde.
‐ Abbassami le mutandine, tesoro, e vai giù… voglio i tuoi baci.
Non ero certo un esperto ma, inginocchiato, le scesi giù quelle minuscole mutande accarezzando la carne e poi le calze tese e arrapanti, fino a liberarla. Il reggicalze era stato indossato sotto e quelle strisce nere sembravano sferzate sadiche sul suo culo bianco ma peccaminoso.
Senza più freni, per quanto impacciato, abbracciai stretti i suoi fianchi come se la volessi stringere al cuore eppure il gesto non aveva niente di sentimentale, quando la mia libidine usci dal suo recesso, le mie mani si scontrarono inavvertitamente con i suoi peli intimi, leggermente umidi. Il mio naso, la mia bocca, tutto il viso invece erano incollati al solco tra le sue natiche, odori intimi potenti che rendevano insignificante qualsiasi prezioso profumo… la mia capocchia saliva verso su come un barometro, ormai aveva raggiunto e superato l’altezza dell’ombelico, mai successo prima ne ero sicuro.
Iniziai a fare ciò che credevo il meglio e il massimo: baciavo e mordevo la sua carne tenera mentre con i palmi premevo impudentemente sulla sua fessa, sul monticello tenero che sovrastava la figa in sé.
‐ Di più, di più, tesoro mio… dai.
La sua voce era ancora più bassa e più roca; non fece poi molto per farmi entrare in un mondo del tutto nuovo… a me, io che credevo che stringendo, premendo e mordendo stessi travalicando ogni confine del sesso, e lei, semplicemente, si chinò completamente in avanti, contemporaneamente aprì molto le cosce e si poggiò coi gomiti sul letto. Poca cosa? E no, perché davanti a me si spalancarono paradisi che non avevo mai potuto nemmeno annusare, prima. Oscenamente e inaspettatamente mi trovai faccia a faccia con i suoi buchetti, bagnati, dilatati, invitanti.
Era troppo! Scavando nel mio passato avrei pensato che un ragazzo in quella posizione potesse addirittura provare disgusto, per quelle intimità… per me, inesperto ragazzone il buco del culo, ad esempio, sopperiva a funzioni ben poco nobili rispetto all’amore. Bastò che lei, con voce vibrante sussurrasse:
‐ Baciami, leccami… leccami tutta… ‐ e ogni ritrosia lasciò il posto al desiderio di offrire il migliore dei miei servizi di “igiene” fai da te.
Affogai tra le grandi labbra, soffocai nel suo culo non potendo respirare nemmeno col naso, sbavai come un cammello in quella torba, mischiano i miei con i suoi liquidi… uscendo ogni tanto da quello “snorkeling” anatomico, completamente umettato e gocciolante. Ora le mani non carezzavano più impacciate, al contrario con le dita mi aggrappavo dal davanti alla sua figa e la tiravo, per allargarla a mio vantaggio.
‐ Sei un tesoro… sei bravissimo, mi fai godere… vieni saliamo sul letto, voglio farti un regalino… ‐ disse con un pizzico di malizia. ‐ Stenditi!
Lo feci subito e lei mi venne immediatamente sopra ma al contrario, con i piedi verso l’alto rispetto alla mia testa, così compresi cosa fosse realmente il famoso 69.
La sua figa svettava di nuovo su di me e i suoi peli grondavano piacere, nel mentre la maga scendeva lentamente sul mio “pesce”; avrei tanto voluto vedere meglio cosa faceva con la bocca smaliziata, dopotutto era il primo bocchino della mia vita… ma andava bene lo stesso, perché lei era troppo brava per non rapirmi i sensi. Non me lo prese subito in bocca, come credevo si facesse, prima iniziò un gioco di lingua e di labbra esperte che stuzzicavano il glande, poi l’asta e infine le palline, dure come biglie.
Ci stavamo deliziando l’un l’altro quando sentii il rumore dello sportello sbattere e mi irrigidii all’istante, immediatamente qualcuno mise in moto il camper, il cui motore iniziò a borbottare sommessamente.
‐ Non avere paura, caro… tranquillo. E’ solo mio marito che fa andare l’aria condizionata. Qui dentro non si respira…
Da sotto la sua pancia riuscii a sbirciare ed effettivamente era così. L’uomo si era semplicemente seduto al posto di guida ma non fece altro che restare la, tranquillo. Di sicuro ci aveva sentito ansimare e chissà, forse poteva vedere qualcosa dallo specchietto. La maga si accorse della mia riluttanza, non ero certo in grado di concepire un rapporto così estremo tra loro, all’epoca del fatto.
Mi aggirò e si mise al mio fianco, mi confortò e mi spiegò che loro facevano l’amore libero; che il marito più vecchio adorava vederla presa da un maschio, giovane e dotato come me.
Forse a freddo ci avrei pure potuto discutere ma al momento, con quella sirena che mi scaldava l’anima e il cuore persi subito interesse per la cosa, prevalentemente perché la mia “femmina” discese languidamente col viso sul mio corpo, onorandolo di piccoli e caldi baci… infine raggiunse il cazzo e se lo imboccò totalmente; da quel momento iniziò a scoparsi la bocca con un pompino magistrale, era infaticabile…il ritmo, il calore e la passione mi fecero perdere la testa e il controllo, anche perché adesso “vedevo”, vedevo perfettamente il suo viso, tra il sacro e il profano, che ingurgitava per intero il mio nerbo.
‐ Io vengo… vengo. Sto sburrandoooo!
‐ Sì gioia, sì, vieni… caccia tutto il tuo seme in bocca a me… Uhmmm, che buono… com’è caldo… sì, sì… e tanta, tanta, continua.
Ritornandoci col pensiero, credo che parlasse a voce abbastanza alta e sono convinto che lo scopo era quello di far partecipe anche il suo uomo di quell’atto di ...
(continua)