1914-1915

Ti vidi, Alessandria,
Friabile sulle tue basi spettrali
Diventarmi ricordo
In un abbraccio sospeso di lumi. Da poco eri fuggita e non rimpiansi
L'alga che blando vomita il tuo mare,
Che ai sessi smanie d'inferno tramanda,
Nè l'infinito e sordo plenilunio
Delle aride sere che t'assediano,
Nè, in mezzo ai campi urlanti,
Sotto una cupa tenda
Amori e sonni lunghi sui tappeti. Sono d'un altro sangue e non ti persi,
Ma in quella solitudine di nave
Più dell'usato tornò malinconica
La delusione che tu sia, straniera,
La mia città natale. A quei tempi, come eri strana, Italia,
E mi sembrasti una notte più cieca
Delle lasciate giornate accecanti. Ma il dubbio, ebbro colore di perla,
Come avviene nelle ore di tempesta
Spuntò adagio ai limiti,
E s'era appena messo a serpeggiare
Che aurora già soffiava sulla brace.
Chiara Italia, parlasti finalmente
Al figlio d'emigranti. Vedeva per la prima volta i monti
Consueti agli occhi e ai sogni
Di tutti i suoi defunti;
Sciamare udiva voci appassionate
Nelle gole granitiche;
Gli scoprivi boschiva la tua notte;
Guizzi d'acque pudiche,
Specchi tornavano di fiere origini;
Neve vedeva per la prima volta, In umili virgulti ormai taglienti
Che orlavano la luce delle vette
E ne legavano gli ampi discorsi
Tra viti, qualche cipresso, gli ulivi,
I fiumi delle casipole sparse,
Per la calma dei campi seminati
Giù giù sino agli orizzonti d'oceani
Assopiti in pescatori alle vele,
Spiegate, pronte in un leggiadro seno. Mi destavi nel sangue ogni tua età,
M'apparivi tenace, umana, libera
E sulla terra il vivere più bello. Colla grazia fatale dei millenni
Riprendendo a parlare ad ogni senso,
Patria fruttuosa, rinascevi prode,
Degna che uno per te muoia d'amore.