Cinque Cento Due

Venere e ciechi, stelle a
perdifiato lungo la gobba blu,
rodeo di luci e notti per
mandriani e pescatori sospesi
al mento della donna che li
attende  arenata
sotto le coperte, capodoglio
e capelli.  Di spalle.
Come ci si saluta sulla Costa
è diseguale al buongiorno di
tutta la terra: noi tratteniamo
i fiori fra le labbra, zingari
e zagare appesi ai muri,
se vendono bene.
E tu che vuoi studiarmi nell'habitat
a me congeniale, fra il battaglio
espulso dei sandali e la sventagliata
di plissè abbronzati, non sorprenderti
di quanto mi ha invasa ogni
tuo tendine, di come mi sfilasti
la casa che portavo: numero di magia
o destrezza da esperto.
Adesso nuda, le ossa
con il tuo specchio, mi vedi meglio
e più ferma di tutti gli scogli
imburrati dal mare.