Due Cento sessantaquattro

Quando faccio il tuo nome grida un battaglio
che non distingue le ore: alle labbra viene il
nodo di un fischio, stringendosi estinguono
il debito con la penosa distanza, sfittano
l'anfratto in cui trasloca il mio desiderio.
Poi curvano in un' onda di carne, primo
piede del metro che sloga la resa.
La mia bocca è sconsacrata ad
altre cerimonie, riapre solo per
inarcarti, guarita la tempesta della
dolce, voluta apnea in cui la  mia lingua
si immerge parlando un fondale proibito,
predato da vergine, e sbatte la pinna
non potendo urlarti più di una volta,
più del dovuto.