L'inno del rancore

E oggi il sole, in alto là,
di una strana luce
raggiava,
quasi la porta, da qui sembrava,
fra il pallore e il gelo,
fatta schiava,
di quell'istante di fioca luce,
di pace dal cielo,
di rugiada.
Ed io quasi venni rapito
dalle giostre ariose.
Cantava...
... nel passo lento,
un uomo scuro in volto,
parole strane,
che ben non riuscivo a udire,
ma...
suonavano come
un inno al rancore,
per tutto il rumore subito in quegli anni,
per tutto il dolore, per tutti gli affanni,
che sulla schiena ha dovuto portare
senza mai l'ombra di un grazie.
Per la miseria e per tutto la fame,
e tutta la pioggia in un cappello vuoto
per solo il colore di un soldo bucato,
senza mai l'ombra di un sorriso.

E sulla strada ormai se ne va,
con una strana luce
che l'attorniava,
e la magia della mattina,
subito, di ratto si spense,
già pioveva,
ancora l'uomo, la che cantava,
piano, piegato avanzava...
Cantava...
nel passo cupo,
quell'uomo scuro in volto,
parole secche come un rombo di tuono,
parole fredde,
come la morte fredda,
come l'inverno che adesso arriva
a noi...
suonavano come
un inno al rancore,
per tutto il cielo che ha visto passare,
e per le donne che non ha saputo mai amare
per tutto il dolore di un cuore spezzato,
per un suo cane ammazzato...
Per tutta la gente che ha visto morire,
per tutte le mamme che ha visto pregare
Dei che non hanno mai avuto pietà,
per tutte le mine sulla città.

... Urlava al buio, il buio aspettava,
nell'ultima ora, quella fatale,
diceva: "Io, morso ormai dal rancore,
io oramai che posso fare?"
Diceva "Qui, qui sdraiato per strada,
vedrò passare le mie ultime ore!"
e mentre cantava, nel ventre cresceva
grande una rabbia, grande un magone,
"Mi piacerebbe sai, vedervi morire
mentre gridate ‐ Avevi ragione! ‐"