Quattro Cento Trentadue

Hanno detto di me in stanze in sottana, scafi di muri ingrugnati come le nuvole prossime al catarro . Opache, febbrili figure discorrevano sul cattivo impiego fatto del tempo, sui grumi formatisi nella mia carne mai correttamente mantecata. Grande poi la dissertazione sullo scempio adottato ad esempio, sul catasto di parti che meglio sarebbero state fra i deportati del macero. Io origliavo del mio deragliamento con la scompostezza di chi si cerca in corpo un alibi. Che so un asso nella farcia del costato, l'anca della vittoria sotto il colletto, una punta spezzata di stella ancora appiccata al mio fianco . Sigillo, lentiggine e voglia, reliquia di un'antica , celeste collisione.