Bonifacio VIII

(Anagni, 1235 ‐ Roma, 11 ottobre 1303)

Quale maestosità ci offre San Pietro, con il suo cupolone e il suo interno sfarzoso! Quale ricettacolo per dipinti e affreschi, sculture e mausolei! Una gioia per gli occhi e per lo spirito! E se il visitatore sa osservare bene, si accorge che qui dentro sopravvivono incontaminati duemila anni di Storia.
Come riuscire a rimanere indifferenti dinanzi alla Pietà del maestro Michelangelo? O alla Trasfigurazione del divino Raffaello? I turisti di tutto il mondo ci invidiano questa meraviglia e noi romani, che ce l'abbiamo dentro casa, praticamente l'ignoriamo.
Entrare in Vaticano è un po' come entrare nella Storia dell'umanità, con i suoi pittori, i suoi scultori e i suoi architetti che nei secoli si sono alternati, dando vita a qualcosa di unico e inestimabile, dove la spiritualità ti entra nelle ossa e rimani letteralmente schiacciato dalla sua ineffabilità; ed è lì, mentre osservo la bellissima cappella Caetani che, seduto su un sepolcro, lo vedo, con quella sua aria altera e sprezzante, più degna di un dio che di un suo umile servo.
«Ma tu sei papa Bonifacio VIII!» esclamo.
«Proprio io, al secolo Benedetto Caetani.» si presenta con manifesta alterigia.
«Una tra le più potenti famiglie romane.»
«Esattamente. Ti piace San Pietro?» domanda facendo un gesto con la mano guantata, dove spiccano anelli con gemme preziose grosse come noci.
Mi guardo attorno e mi soffermo a esaminare i passanti, che neppure mi notano.
«A chi non piacerebbe?» rispondo elusiva, allungando una mano per toccare un turista.
Con sorpresa, mi accorgo che la mia mano lo attraversa, come se avessi solo tagliato l'aria e sussulto spaventata. Sono, infine, morta anch'io?
«Non temere.» mi previene con noncuranza, toccandosi il triregno e sistemandoselo meglio sulla testa. «Sei ancora viva.»
«Tu sei il papa che ha indetto il primo giubileo della Storia, nel 1300.» mormoro, ancora perplessa.
«Sì, è così.» ammette con straripante orgoglio. «Un esodo come mai si era visto prima. Migliaia di pellegrini si sono riversati a Roma per pregare e ottenere le indulgenze.»
Esito un attimo, dinanzi a quest'uomo che non ho mai amato, che è stato un papa terribile, blasfemo e simoniaco e correggo sprezzante:
«Vorrai dire che venivano sì a pregare, ma le indulgenze le pagavano a caro prezzo.»
Alza le spalle, come se la cosa lo toccasse in modo trascurabile e replica:
«La gente ha bisogno di sicurezze.»
«Diciamo pure che erano le tue casse ad aver fame di soldi, visto che Filippo il Bello di Francia aveva tassativamente proibito ai prelati francesi di versare le decime nelle casse papali!»
Arrossisce suo malgrado, impreparato al mio attacco e si inalbera, illividendo subito dopo di rabbia.
«Come osi insultare così un uomo di Chiesa?»
Avvampo indignata e, con sguardo furente, porto le mani sui fianchi e ribatto:
«Tu un uomo di Chiesa? Mai udita bestemmia più colossale. Non hai mai creduto in Dio, giungendo a dire che, se Cristo non era riuscito a salvare se stesso dalla morte, neppure noi mortali avremmo potuto salvarci: te escluso, ovviamente, giacché ti consideravi un dio e ti credevi imperatore oltre che papa! Ti sei sempre circondato di amuleti, portavi al dito un anello strappato al cadavere di re Manfredi, giocavi ai dadi e bestemmiavi se qualcuno osava vincere; non ti sei mai fatto scrupoli nel perpetrare tutti i peccati capitali, anzi, li eseguivi alla lettera e per certo non avevi esitazioni nel portarti a letto fanciulle e paggi!»
Mi lascia sfogare alzando di tanto in tanto gli occhi al cielo e, quando intravede una possibilità di controbattere, non esita a sibilare minaccioso:
«Tu, misero essere senza valore, hai l'ardire di giudicare un papa che tanto ha fatto per Roma? Cosa sai tu di cosa ho fatto io?»
Indispettita e furiosa, faccio un passo verso di lui e l'accuso con tono che pare una scudisciata:
«Mi è sufficiente sapere che hai brigato e ucciso il tuo predecessore, Celestino V!»
[Bonifacio‐VIII] «Ah!» esclama alzando una mano, irritato per essere stato costretto a rimembrare un simile episodio. «Io non ho mai ucciso nessuno!»
Suppongo che, se mi fosse concesso, lo afferrerei per il collo e lo strozzerei senza tante cerimonie; purtroppo per me è già morto e non godrei questa soddisfazione.
«Tu sei un uomo che non ha mai avuto una coscienza. Il povero Pietro da Morrone era un semplice e pio eremita che si è visto eleggere papa perché a te occorreva un uomo cuscinetto da porre sul trono di Pietro, quel tanto che bastava per riuscire a corrompere i cardinali per la tua elezione. Una volta certo che avresti ottenuto i voti necessari, hai condotto il mite Celestino al rifiuto e ti sei insediato sul trono con fasto e pompa magna.»
Sogghigna divertito e incrocia le braccia sul petto, fissandomi con condiscendenza.
«Era così che si faceva.» commenta lapidario.
«No, non era così che si faceva.» replico indignata. «La bramosia di potere ti ha indotto a far rinchiudere Celestino nel tuo castello a Fumone, per timore che il popolo e i baroni, scoperta la pasta di cui eri fatto, reclamassero il ritorno del sant'uomo. Tu dici di non aver ucciso nessuno, ma lasciare che il frate morisse di stenti in prigione a me sembra un omicidio studiato nei minimi particolari.»
«È morto e basta. Che colpa ne ho io?»
Stizzita per la sua totale indifferenza, continuo:
«Eri un giurista eccellente, tra i migliori del tuo tempo e hai stilato un rifiuto magistrale che hai portato a far firmare a Celestino: ammetto la tua bravura ed è proprio questa tua destrezza che mi porta a credere che hai fatto sì che la colpa della sua morte non ricadesse su di te. Ne eri all'altezza.» gli riconosco.
Un gruppo di turisti si avvicina a noi, interrompendoci momentaneamente e quando ci passa davanti, mi rendo conto che continuo a vedere il mio interlocutore anche attraverso i loro corpi. E mi rendo conto altresì che ha piegato le labbra in un ghigno beffardo, come a volermi turlupinare.
«Vedi, mia cara virago,» mormora accarezzandosi distrattamente il pallio, «il mondo si divide in due categorie, che tu lo voglia accettare o meno: coloro che contano e coloro che non contano nulla. Purtroppo per te, io ho fatto parte della prima categoria e sono passato alla Storia. Tu ci passerai alla Storia?» insinua mellifluo.
Stringo i pugni e serro i denti per trattenermi dall'avventarmi contro di lui e rispondo glaciale:
«Meglio non passare alla Storia e rimanere un perfetto signor nessuno, che leggere le tue infamie sui libri.»
«Sei impertinente e indisciplinata! Se potessi ti farei abbassare le piume!»
«Con i tuoi metodi poco ortodossi che hanno contribuito ad allontanare il papato da Roma? Oh, conosco la storia di quell'ambasciatore al quale hai rifilato un calcio rompendogli il setto nasale solo perché ti girava storto.»
«Servono anche questi metodi.»
Rimango un attimo in silenzio, fissando quel papa eretico e bestemmiatore ma che aveva, nonostante tutto, coraggio da vendere. Come quando il messo di Francia ‐Guglielmo di Nogaret‐ insieme al capo della potente famiglia Colonna, Sciarra, imbeccati dal re di Francia, assalirono il palazzo pontificio di Anagni, dove si era rifugiato Bonifacio. E qui lo trovarono, abbandonato persino dai suoi servitori, lasciato in balia degli eventi. Gli intimarono di consegnarsi prigioniero se voleva salva la vita e lui, fiero e indomito, rivestito con tutti i paludamenti sacri, aveva alzato il mento gridando con spavalderia:
"Ecco la mia nuca, ecco la mia testa!".
«Hai avuto fortuna quando il Nogaret ha bloccato la mano omicida di Sciarra Colonna.» gli rammento.
Lo vedo aggrottare le sopracciglia e risponde con freddezza:
«I Colonna non hanno avuto mai buon animo verso i Caetani.»
«Eravate sempre in guerra per il predominio su Roma. Ma la rivalità ha toccato l'apice proprio contro di te, inviso anche dalle altre potenti famiglie. Persino la tua ti si è in sostanza rivoltata contro, evitando di correre in tuo aiuto quando Sciarra è entrato in Anagni. Gli stessi tuoi concittadini non hanno alzato un dito per salvarti.»
«Poi lo hanno fatto.»
«Certo, ma solo perché temevano la scomunica. Neppure Dante è stato clemente con te.» gli ricordo.
«Dante era solo uno sciocco, che non capiva che il papato era superiore a tutto e a tutti. Tu,» accusa avvicinandosi con sguardo omicida, «cosa puoi sapere della grandezza della Chiesa? Hai forse vissuto in quei tempi oscuri, dove l'eresia rischiava di prendere il sopravvento, dove potere temporale e potere spirituale si scagliavano l'uno contro l'altro per la supremazia e dove ogni papa avrebbe dovuto fare come me per ridonare il primato alla Chiesa di Cristo? Come osi tu, venire ad accusare me, che sono stato papa, mentre tu sei una nullità e che tale rimarrai?»
Indugio un attimo in silenzio, fissando quel volto iracondo, quel corpo rivestito con paludamenti sacri riccamente ricamati in oro e argento e tempestati di pietre preziose ‐alla faccia del voto di povertà e di umiltà‐ e mi rendo conto che il suo è un deliberato tentativo di turbarmi.
Con tono pacato rispondo:
«Hai vissuto fuori del tempo. Il medioevo era agli sgoccioli, eppure tu non hai saputo guardare oltre, non hai saputo adeguarti. Hai solo fatto quanto era nelle tue possibilità per mantenere la Chiesa in uno stato di supremazia che ormai non le competeva più. Non hai saputo vedere la nascita delle nazioni e non hai capito quanto effimero era diventato il potere spirituale. Le scomuniche avevano fatto il loro tempo: gli uomini erano più eruditi e non credevano più ciecamente.»
«Male!» urla rabbioso, gli occhi che mandano scintille. «Gli uomini hanno sempre avuto bisogno di qualcuno che li guidasse con polso fermo.»
«E tu ti ritenevi la persona in grado di farlo.» commento mordace.
Mi fissa con malcelato rancore e posso solo intravedere l'uomo battagliero e gaudente che ha condotto la Chiesa al tracollo, facendo sì che, dopo soli due anni dalla sua morte, il suo successore riparasse in Francia, dando inizio alla cattività avignonese.
«Tu non hai idea.» sibila scuotendo la testa.
Sì, probabilmente ha ragione, bisogna esserci stati per valutare; tuttavia io non voglio giudicare, voglio solo sfogare la mia rabbia contro l'uomo che ha lasciato Roma allo sbando, incurante del male che le avrebbe causato nei secoli a venire.
«Per quanto mi concerne, hai avuto un solo pregio: quello di indire il giubileo. Indipendentemente dalle cause, è stata l'unica tua mossa che ancora oggi sopravvive e che rende a Roma la sua supremazia spirituale. Per il resto, auspico che il Cristo in cui tu non hai mai creduto, ti abbia fatto marcire all'inferno, facendoti espiare le tante e innumerevoli colpe, in primis la morte di Celestino.»
Sogghigna divertito e si volta, avvicinandosi di nuovo al sepolcro.
«Tu, per me,» sentenzia sprezzante, «sei nulla di più della semplice polvere che i miei piedi calpestano.»
Non ribatto, evito la sfida e rimango in silenzio a fissarlo, mentre la sua immagine svanisce lentamente, confondendosi con il sepolcro ed io torno di carne e ossa, di nuovo viva in mezzo alla folla silente dei turisti.