Canti in umido

Disoccupato e divorziato vivevo il mio quarantesimo compleanno. Un calore impressionante.
Un’umidità soffocante. Mi svegliò quel dannato telefono, “fidati, ascoltami, svegliati”. Le uniche parole che il mio cervello bloccò. Ex moglie, incomprensibili litanie mattutine sulla mia probabile indifferenza verso la sofferenza altrui. Caffè nero e tre biscotti. Nel giro di mezzora mi trovai un taxi: alla spiaggia di cemento. Mi sedetti all’inizio della piattaforma dove si inclina di circa venti gradi, deserto, il vento soffiava leggero nelle mie orecchie, stetti per un po’ ad occhi chiusi.
Disturbato da deboli urla mi destai e vidi un uomo di robusta corporatura trascinare una donna per i capelli lungo la riva di cemento. Si fermò, una mano tenne stretti i capelli e l’altra gli entrò in gola.
Banconote, non so quante ne tirò fuori ma alla fine gli aprì per bene la bocca e ci sputò dentro, mollò la testa che cadde violentemente sul cemento e se ne andò.
Aspettai dieci minuti, venti, un’ora.
Mi avvicinai a lei e notai che guardava fisso il mare. Si voltò, mi vide, e i suoi occhi si riempirono di angoscia. La rassicurai sulla mia identità ma i suoi occhi non cambiarono.
“Che ci facevi con della banconote in bocca?”
Balbettando mi disse: “Erano anche in gola, erano nella mia voce, erano la mia voce”
“Che significa?”
“Canto ogni fine settimana al club vicino alla stazione, quello con le insegne blu. Mi danno parecchi soldi a serata ma un certo Big Rado vuole sempre l’ottanta percento minacciando a morte me e la mia bimba, ieri notte non ho retto e mi sono ficcata tutti i soldi in gola. Lei, è lei che merita quei soldi, la mia voce, non io, non la mente o la mia mano, la mia voce cazzo, mia figlia è malata e la malattia sono io capisci”
Un calore impressionante. Un’umidità soffocante.
Mi tuffai.