È tutta colpa mia [1]

Con tutte le massime che trovo postate su FB, FB è diventato per me maestro di vita:   “Le azioni che gli altri compiono fanno parte della loro storia, come tu reagisci fa parte della tua”. [Da FB] “Chi sa perché, se agisci come loro, poi a loro non piace”. [Da FB] Tutte frasi che sembrano scritte apposta per ricordarmi che “È tutta colpa mia”.
Frasi che mi riportano, insieme ad altre frasi che trovo nei libri che leggo, alla stupida, squallida, meschina storia che ho vissuto e che ancora vivo.
“... della perfidia, della cretineria, di tutto ciò che rovina il miracolo e la gioia d’essere nati.”
[Da “Un cappello pieno di ciliege” di Oriana Fallaci, parte 3, capitolo 7]
Fino a quando non ho fatto vincere l’esasperazione, fino a quando sono rimasta me stessa, ho reagito secondo il mio modo di essere.
Quando l’esasperazione ha raggiunto (e superato) il livello di guardia, ho agito imitando il loro modo di essere.
E non potevo che uscirne perdente: non si può tradire se stessi.
La maleducazione, la prepotenza, il pettegolezzo, il vandalismo bisogna lasciarli a chi ci è nato e vi stato educato.
Aggiungo un’altra frase: “Secondo me, il condominio è la prova che Dio non esiste” [detta da una mia giovane vicina nel nuovo condominio dove sono andata a vivere].
Mi permetto di correggere la frase della mia giovane amica: ‘‘Il condominio è la prova che il diavolo esiste’’.
Perché questa è una storia condominiale intrecciata ad una storia familiare.
Un racconto privo di poesia.
Un racconto di squallore, di miseria, di meschinità.
Di stupidità. O cretineria che dir si voglia.
Da ambo le parti.
Una storia in cui nessuno si può dire esente da biasimo.
Tragedie come quella del condominio di Erba e tante altre tragedie che ci vengono raccontate dalle pagine di cronaca accadono perché ci sono persone vanitose, frustrate, invidiose, forse psicopatiche, che sentono il bisogno di affermare la loro supremazia sugli altri e trovano nel condominio il terreno a loro più congeniale per affermare la loro vanità e brama di predominio e di possesso.
Persone lontane anni luce dalle “persone miti, che non hanno bisogno di dimostrare la loro superiorità sugli altri”, a cui accenna Pippo Franco nel suo “La morte non esiste”.
Persone che aderiscono appieno alla descrizione che ne fa Guareschi nel suo “Don Camillo ed i giovani d’oggi”: “La gente è stupida: non è contenta quando sta bene. È contenta quando vede gli altri stare male”. Mentre, sottolineo, si rode d’invidia se vede che tu sei contenta e stai bene.
Persone che si sentono minacciate o offese nel loro amor proprio perché il vicino o il parente possiede qualcosa di bello.
E la tragedia arriva quando lo psicopatico o il prepotente/vanitoso ritiene di essere stato infastidito, oltraggiato o non sufficientemente omaggiato. O quando la vittima di turno, vuoi in un momento di distrazione vuoi perché l’esasperazione ha superato il livello di guardia, risponde o reagisce male.
Magari esplode.
E qui inizia il mio racconto.
PROLOGO
Non so dire quando inizia questa storia.
Potrebbe cominciare quando sono andata a vivere nel condominio di via Vattelapesca numero 0, ma in realtà è cominciata prima.
Quando avevo 9 anni ed i miei genitori decisero di trasferirsi dall’appartamento in via Vattelapesca n.0 in un appartamento più grande ed al centro. Lasciando vuoto l’appartamento in via Vattelapesca n.0.
Ma in realtà comincia molto tempo prima. Quando io non ero ancora nata e nemmeno ero in progetto.
Ma partiamo da quando ho fatto la stupidaggine di accontentare mio padre e di andare a vivere nella palazzina di famiglia per tentare di tenerla in piedi.
2001
Mentre Pino, il mio futuro marito, ed io ristrutturavamo l’appartamento dove saremmo andati ad abitare, mio padre dovette correre al comune per dimostrare che tutte le carte erano a posto.
Secondo Pino, era stato mio zio Furio, mio futuro vicino di casa, a fare una segnalazione.
Non mi alterai. Sapevo che mio zio era capacissimo di cattive azioni avendo portato la sorella in Tribunale, anche lei per dei lavori di ristrutturazione.
Poi Pino si vide portare via dal carro attrezzi l’auto che aveva fermato davanti alla palazzina. “Si è trattato di pochi minuti!” soleva ripetere. “Sono sicuro che è stato tuo zio a chiamarli!”. Sarà. Ad ogni modo sono certa che pochi anni dopo fu mio zio, proprio per seminare zizzania, a chiamare il carro attrezzi quando un altro vicino lasciò l’auto per pochi minuti davanti al cancello automatico che non funzionava.
Mio padre aveva consegnato a Pino tutte le chiavi in suo possesso, ma tra quelle la chiave del catenaccio del box in cantina proprio non c’era. “Non so chi possa avere la chiave”, diceva con un sorriso mio zio. Pino scassinò il catenaccio e ne mise uno nuovo. Quando lo disse a mio zio, a questi quasi veniva un accidenti.
Ma non mi alterai. E continuai la mia vita come nulla fosse.
2002
Ci sposammo e ci trasferimmo.
Fui iniziata al folklore locale dalla vicina che abitava l’appartamento sotto il terrazzo: uscivo di casa alle 06:50 per recarmi al lavoro ed a quell’ora trovavo la vicina appostata a mo’ di agguato per ordinarmi che la luce fuori il portone di notte doveva essere spenta.
E venne la prima riunione di condominio.
Occorreva pitturare le scale condominiali. Il vicino che aveva comprato l’appartamento di zio Alfredo, quello sotto il terrazzo, disse che conosceva uno che avrebbe fatto il lavoro per un milione e mezzo. “Noooo”, s’infuriò mio zio Furio, “per pitturare le scale ci vogliono 16 milioni e ci vuole l’ingegnere!”. E non se ne fece niente. Da precisare che il condominio era costituito da 5 appartamenti e 2 rampe di scale.
Nella stessa riunione mio zio presentò un preventivo per lavori di impermeabilizzazione del terrazzo.
Feci finta di non notare che quel preventivo era scritto con una Olivetti portatile uguale a quella che possedeva lui. Coincidenze.
La mia quota, come quella degli altri, era di 600 euro da versare in comode rate di 200 euro l’una.
Non battei ciglio. In quel momento la mia unica domanda era solo se zio Furio avrebbe trattenuto tutti i 600 euro o solo 400 o solo 200. Nient’altro. A mio vedere, se un pensionato, ex‐bancario, con rendite da proprietà e da oculati investimenti sentiva il bisogno di sottrarre denaro ad una metalmeccanica che per sbarcare il lunario usciva di casa alle 7 e rientrava alle 18 o alle 19 percorrendo 50 km all’andata e 50 km al ritorno per 5 giorni a settimana, era lui ad avere un problema non io.
Nella stessa riunione l’ing.Ferruccio Soldini, che aveva comprato l’appartamento di mia zia Liliana e la vicina che occupava l’appartamento sotto il terrazzo mi fecero capire che zio Furio cercava di farci pagare alte quote ordinarie in modo che a fine anno rimanessero più soldi inutilizzati. Soldi che non avrebbe mai né restituito né utilizzato per il condominio.
Pagai la mia prima rata di 200 euro. Versai la mia seconda rata di 200 euro ed a metà anno alla fine di un’assemblea, posi una domanda sui lavori al terrazzo di cui non avevo saputo più niente. Inaspettatamente zio Furio si mise ad urlare come un ossesso. Mentre io rimanevo a bocca aperta per lo stupore, mio cugino Poldo, altro mio vicino di casa ed anch’egli nipote di zio Furio, scuoteva la testa e diceva: “Ecco, lo sapevo”. Mi tornò alla mente che avevo sentito dire che zio Furio alle riunioni condominiali urlava spesso. Mi montò dentro un moto di ribellione: che diritto aveva quell’uomo di seminare il terrore intorno a lui? Ed allora venne anche a me di alzare la voce e gli urlai in faccia: “Ma che ti urli?”. A quella mia uscita Poldo si zittì e fece una faccia sbigottita. Ed io, sempre ad alta voce, mi rivolsi a lui dicendo: “Ma che si urla? Sapesse che se lui urla, io so urlare più forte di lui!”. Ma rivolgendomi a mio cugino Poldo avevo voltato la testa ed entrarono nel mio campo visivo sua moglie Andreina e sua figlia di due anni sedute sul divano più dietro. Andreina con la sua solita aria di non capire cosa stesse succedendo, mentre la bambina sembrava ponderare seriamente la situazione. Così tornai in me. Mi misi le mani davanti alla bocca e dissi in tono normale: “Andreina, scusa. Ho urlato in casa tua”. E, mentre quello continuava ad urlare da solo, andai a sedermi accanto alla bambina e le dissi: “Stiamo scherzando”.
Io mi scusai per aver urlato, dietro provocazione, una volta. Il signor Furio non ha mai sentito l’esigenza di scusarsi per questa sua abitudine, né d’altro canto i vicini sembravano aspettarsi che lo facesse.
Dopo quell’episodio, zia Susanna, moglie di zio Furio, trovò più spesso il modo di bussare ai vicini, cosa che già faceva abitualmente, per infilare alla fine la frase: “Siamo sempre stati tranquilli!”.
“Ma che tranquilli!” ebbe modo di commentare ridendo mio cugino Poldo “qui sono volate anche le sedie!”
Arrivò la fine dell’anno e mio cugino Poldo, amministratore ufficiale mentre in realtà zio Furio si occupava di tutto, disse che la ditta dei lavori sul terrazzo aveva presentato la fattura ed io pagai l’ultima rata di 200 euro, senza che fosse mai apparso un cartello che avvertisse dell’inizio dei lavori, senza che né io né mio marito avessimo mai visto passare un operaio che salisse sul terrazzo, senza che né io né mio marito avessimo mai sentito alcun rumore provenire dal terrazzo.  E, ne sono sicura, senza che mio cugino abbia mai visto nessuna fattura: aveva semplicemente riferito quello che gli aveva detto lo zio.
12 anni più tardi mi recai alla guardia di finanza. La ditta in questione aveva chiuso la sua attività due anni prima e per tutto il suo periodo di attività non aveva mai emesso una fattura. Ma su questo tornerò in seguito.
A fine anno mio marito si reca alla riunione di discussione del bilancio consuntivo. Poco dopo lo vedo rientrare. Mio cugino Poldo lo aveva insultato e cacciato dalla riunione, mi dice. Sembra che mio marito si fosse macchiato di due delitti: 1) aveva chiesto quanti soldi ci fossero in cassa, suscitando le ire di zio Furio; 2) poi aveva detto: “Mi avete fatto venire ad una riunione per discutere di due piante da piantare in giardino mentre ci sta l’intonaco che si stacca dai cornicioni”. Dopo un po’ bussano alla porta. L’ing. Ferruccio Soldini, l’unico vicino su cui contavo per un po’ di civiltà e correttezza in quel condominio, aveva detto a mio cugino Poldo: “Ma ti rendi conto di quello che hai detto?” E lo aveva spronato ad andare a scusarsi. E così l’ing. Soldini aveva accompagnato Poldo alla nostra porta e dopo che mio marito ebbe aperto, lasciò Poldo da solo a fare il suo dovere. Mio marito lo fece entrare e gli offrì un liquore.

2003
Intanto continuavo la mia vita che tra lavoro e problemi di salute nella mia famiglia d’origine già mi prendeva abbastanza tempo e testa.
All’inizio della primavera successiva, la vicina che abitava sotto il terrazzo venne a dirmi che aveva di nuovo problemi d’infiltrazione.
Buono sì, ma fesso no.
Le chiesi: “Scusate, ma la ditta che è venuta che ha fatto? Che garanzie ha lasciato?”. “Ah, beh. Sì, mah…” fu la risposta che ricevetti e se ne andò. E per qualche anno non ne sentii più parlare.
Intanto passa il secondo anno di mia permanenza in quel condominio con misteri sulla gestione del giardino, della pulizia scale ed il cancello automatico sempre rotto. Continuo la mia vita senza darvi peso. O almeno così credevo.
Alla fine del secondo anno zio Furio torna alla carica chiedendo a mio marito di fare l’amministratore. E qui commetto il secondo errore (il primo era stato andare a vivere lì). Ci sono dei pesanti lavori di manutenzione da eseguire. Da anni cadono calcinacci ed io mi illudo che l’unico modo di non avere indebite ed ingenti sottrazioni di denaro è che mio marito Pino prenda in mano l’amministrazione. Così non mi oppongo.
Anzi gli errori sono due. Avrei voluto evitare che le assemblee con gente così esagitata, prepotente e maleducata si tenessero in casa mia ed avrei preferito che si tenessero nell’ingresso del palazzo. Ed invece, stupidamente, non ne feci niente per non sembrare prevenuta e passare dalla parte del torto.
Intanto tento di non farmi coinvolgere dalle chiacchiere. Ferruccio, incontrato in treno, mi rivolge domande tendenziose su mio zio, chiedendomi se era stato sempre così. Io mi sbottonai già un po’ troppo, limitandomi a dire che avevo sentito che c’erano state questioni con la sorella, di cui Ferruccio aveva acquistato l’appartamento, e poi glissai lasciando cadere l’argomento.
2004
Nel frattempo cose più importanti si imposero alla mia attenzione: gravi problemi di salute nella mia famiglia di origine che ad un certo punto dovetti affrontare da sola, con l’aiuto di mio marito. MI ritrovai a decidere da sola dove mio padre dovesse essere operato a tre mesi da un precedente serio intervento.  E il mio impegno fu compensato da mio fratello maggiore con la frase: “Se papà muore è colpa tua”. Il giorno dopo addirittura mi colpì. Due anni dopo avrei seguito un corso sul bullismo ed il relatore avrebbe detto: “Quando i toni sono accesi, meglio lasciar perdere, meglio abbandonare il campo, in quel momento i toni non possono fare altro che alzarsi ulteriormente”. Non avevo ancora seguito quel corso, ma la mia educazione fece sì che non replicassi alla frase di mio fratello e che quando mi colpì reagissi abbandonando il campo. Anche dopo che l’intervento di mio padre ebbe ottimi esiti, mio fratello non ha mai sentito l’esigenza di scusarsi.
Tre mesi dopo, una domenica di settembre, mi sveglio e mi ritrovo a singhiozzare tra le braccia di mio marito esclamando: “Non ho più fratelli!”. “Secondo me, non li hai mai avuti” è la replica di Pino che mi consola carezzandomi la testa. Cosa era accaduto? Dopo aver subito gli attacchi di mio fratello maggiore nel periodo di malattia di mio padre, la sera prima anche mio fratello minore, Alfredo, aveva dato in escandescenze attaccando verbalmente Pino e me a casa dei miei genitori. E quasi fisicamente Pino. Mio padre si era interposto.
Intanto arriva la fine del primo anno di amministrazione condominiale di Pino e Pino prepara il bilancio consuntivo da presentare. Nessuno prima di lui aveva mai presentato un vero bilancio completo di tutti i dati.
Viene da me con aria meravigliata e scandalizzata: “Liliana”, mi fa, “quello sta sottraendo 300 euro!”. Capisco che “quello”, che aveva in continuazione dato fastidio a mio marito durante l’intero anno, era mio zio Furio. Rispondo a mia volta con aria meravigliata, ma consapevole, facendo spallucce e scrollando la testa, intendendo: “Ed allora? Abbiamo sempre saputo che “maneggia”, qual è la novità?”.
Ma Pino forse ha bisogno di aiuto e consiglio su come agire e chiama Ferruccio per fargli vedere i suoi conti e le sue conclusioni. E lì comincio a sbagliare. Quando Ferruccio aveva tentato di farmi parlare sulle peculiarità di mio zio, avevo sempre fatto la gnorri. Ma adesso mi sento in dovere di far vedere che sono mortificata per le azioni del mio parente. Ingenua. Avessi continuato a fare la gnorri!
2005
Pino, dopo il primo anno di amministrazione, vedendo che le spese non giustificavano quote condominiali così alte, le abbassò. Ci fu chi si vide abbassare le quote da 40 euro mensili a 20 euro mensili. Ma i vicini, inspiegabilmente, pensarono bene di ringraziare mio marito smettendo proprio di pagarle. Sono convinta che chissà zio Furio cosa avesse messo loro in testa per indurli a comportarsi così.
Ed io dovetti anticipare le mie quote per pagare le bollette condominiali. Fino a quando, nuovamente, si ruppe il cancello automatico. Mio marito mi proibì di anticipare ancora ed informò i vicini che protestavano che in cassa non c’erano soldi per riparare il cancello e provvedessero a versare le loro quote.
Il risultato fu che mio zio Furio telefonò a mio padre per protestare contro l’operato di suo genero.
Forse fu allora che cominciai veramente a detestare mio zio.
Ma come? Sai cosa aveva passato tuo fratello un anno prima, sai che malattia tiene, sai che suo figlio minore che vive ancora con lui non sta bene e tu vai a disturbarlo per le tue questioncelle di quattro spiccioli?
E proprio in quel periodo successe un fatto per me grave. Mio fratello minore, Alfredo, da due anni seguiva in maniera discontinua una cura. Forse proprio perché la seguiva in maniera discontinua aveva periodiche ricadute, ma non potevo biasimarlo di non essere costante perché comunque la cura implicava pesanti effetti collaterali.  Ed in quel periodo mio fratello ebbe una pesante ricaduta. I medici individuarono in me il parente in cui mio fratello avesse più fiducia e mi proposero di ospitare Alfredo in casa mia e seguirne la cura. Per pura combinazione mio marito ed io conoscemmo una dottoressa che proponeva una cura alternativa, più lenta ad agire, ma, se funzionava, con efficacia più duratura e senza effetti collaterali. A queste condizioni, sì. Ma mio fratello maggiore si oppose con veemenza e disse che poteva occuparsene lui ma continuando la solita terapia. E così i medici decisero di affidare Alfredo a mio fratello maggiore.
Solo che accadde un imprevisto: la sera prima mio fratello maggiore venne a casa mia. Non mostrava più la baldanza che aveva mostrato davanti ai medici. Era spaventato e mi chiese se nostro fratello poteva venire a casa mia. Repressi la collera. “Se non avevi intenzione di prenderlo con te, perché ti sei offerto con tanta sicumera davanti ai medici?”, pensai, ma non lo dissi. Sì, risposi, ma se viene curato dalla dottoressa. No. Non gli andava bene. Dovevo occuparmene io ma con la terapia che diceva lui. A queste condizioni no. Più volte in seguito mio fratello maggiore mi ha aggredito dicendo che io me ne ero lavata le mani. Così portò nostro fratello a casa sua per un mese per poi riconsegnarlo ai nostri genitori.
Non avevo provato rancore quando l’anno prima mio fratello mi aveva detto: “Se papà muore è colpa tua”. Non avevo provato rancore quando mi aveva aggredita fisicamente. Solo sgomento. Adesso cominciai a provare risentimento contro mio fratello maggiore e la sua compagna che come rinoceronti avevano imposto la loro strada.
Anche mio marito espresse risentimento: “Io ho fatto sempre tutto alla luce del sole!”, si lamentava, “E lui, senza consultarci, telefona ai medici per levare di torno la dottoressa ed imporre la sua strada? A loro interessa che Alfredo non occupasse la casa di Paestum!” [la casa al mare dei nostri genitori, nda].
E, pensando alla malattia di nostro padre, cominciai a provare risentimento anche quando mio fratello maggiore e la sua compagna non mostrano il dovuto affetto e deferenza verso i miei genitori. Come quando scendevano da Roma, dove vivono e lavorano, per andare alla casa al mare e non si fermavano a salutare e far vedere il bambino ai nostri genitori. È stato stupido da parte mia. Vedevo che i miei genitori soffrivano per il loro comportamento, ma per il bene dei miei stessi genitori avrei dovuto far finta di nulla. Col mio risentimento, che era percepito, creavo uno stato di malcontento di cui soffrivano anche i miei genitori.
Nel frattempo zio Furio non desiste dai suoi giochi. Dopo che il primo vero bilancio consuntivo della storia di quel condominio era stato approvato all’unanimità, si mette a protestare che non si trova e gli mancano 200 euro. Mio marito vede che zio Furio ricorre al vecchio trucco di attribuire la stessa spesa per due volte ai bilanci di due anni successivi. Ma zio Furio è veramente esasperante ed insistente, tanto che mio marito dice: “Io glieli darei pure ’sti 200 euro. Basta che mi dica a chi devo levarli. I soldi mica sono miei, sono dei condòmini!”. Mio zio arriva a chiedere l’opinione di mio padre su questa questione. Mio padre gli manda la risposta per iscritto. Pare che quando zio Furio abbia letto la risposta di mio padre si sia fatto prendere da un accesso di furore ed abbia telefonato a mio padre urlando e minacciando. E questo nel giorno di Natale.
E qui feci altri due errori: 1) mi esasperai definitivamente verso mio zio che si era permesso di rivolgersi in quel modo contro mio padre e che faceva perdere tempo prezioso a mio marito con le sue indebite infinite richieste di rivedere i conti. Ed invece avrei dovuto lasciarmi scivolare tutto addosso: io avevo avvertito mio padre di non dare udienza a suo fratello per questioni di condominio. Non mi aveva dato retta? Fatti suoi; 2) errore di omissione. Alla successiva riunione avrei dovuto prendere 4 fogli da 50 euro l’uno (il bancomat mi dava solo banconote da 50 e 20) e sbatterglieli in faccia. Eufemisticamente parlando. Glieli avrei sbattuti davanti sul tavolo intorno al quale ci riunivamo in casa mia. Non lo feci perché pensavo avrebbe preso il vizio di ricevere facilmente soldi da me. Ma fu un errore. Avrei dovuto farlo.
2006
Un sabato pomeriggio suonano alla porta. Ero in casa quindi credo che si trattasse di un sabato. Vado ad aprire ed è la vicina che abita sotto il terrazzo. Vorrebbe parlare con l’amministratore, mio marito. Vado a chiedere a mio marito se è disponibile. “Falla entrare, tra poco vengo”, è la risposta. Così faccio accomodare la signora in salotto.
Non avrei mai immaginato che quell’atto di cortesia mi sarebbe costato tanto caro in termini di serenità, di salute, di denaro e di lavoro.
Io mi siedo sul divano, la signora preferisce sedersi su una sedia vicino al tavolo. Era mia intenzione tenerle compagnia in attesa che arrivasse mio marito, poi me ne sarei andata. Sono mentalmente alla ricerca di un argomento di conversazione, quando la signora sbotta: “Se le cose continuano così, qualsiasi cosa ci sia qui sopra la prendo e la butto per terra!”. In un lampo faccio il punto della situazione. È la stanza dove teniamo le riunioni di condominio. Da poco avevo sostituito sul tavolo un vaso molto particolare, regalo di mio marito, con un’alzatina d’argento, regalo di nozze di una coppia di nostri amici. E penso che la signora si sia stizzita nel constatare che ci potevamo permettere di sostituire un soprammobile. Nello stesso lampo ho anche il tempo di fare dell’ironia nella mia mente: “Meno male che ho sostituito il vaso con l’alzatina d’argento. Almeno se lo butta a terra non si rompe!” Ma tutto questo in un lampo e nello stesso lampo penso che devo invitarla ad uscire. Purtroppo nello stesso lampo mi assale la collera di fronte a quell’esplosione di maleducazione e prepotenza gratuita. Sento la collera montarmi dentro e stringermi la gola. Se l’avessi invitata ad uscire la mia voce avrebbe tradito il mio stato di alterazione. Capisco che di fronte a me non ho una persona normalmente educata e civile e se si fosse rifiutata di uscire temevo che la situazione avrebbe potuto precipitare. Raccolgo le mie mani, che forse tremano per la collera, in grembo ed aspetto di riprendere il controllo di me stessa. La signora di fronte a me trasalisce avvertendo il cambiamento del mio umore, forse si rende conto di quello che ha detto, ma non si scusa. Mentre sto ancora combattendo con me stessa per riprendere il controllo, arriva mio marito, ignaro. Avrei voluto dirgli che la signora stava uscendo, ma ancora non avevo il pieno controllo di me. E così, senza una parola, lasciai la stanza. È stato un errore permettere alla signora di rimanere in casa dopo quell’attacco di prepotenza e maleducazione gratuita in casa mia. Ed errore ancora più grande quello di permetterle di rientrare in casa nostra alle assemblee condominiali senza pretendere prima le dovute scuse. Da quel momento in poi le riunioni avrebbero dovuto tenersi nell’androne della palazzina. Ma l’errore più grande è stato quello di non continuare a mantenere la calma e l’indifferenza come avevo fatto per i primi tre anni di permanenza in quel condominio.
Un altro sabato pomeriggio suonano di nuovo alla porta. Questa volta sono il sig. Ferruccio e mio cugino Poldo che sono venuti a controllare tutte le ricevute e tutti gli scontrini di spesa. È evidente che sono stati mandati da zio Furio.
Qui faccio un altro errore. Erano venuti a parlare con l’amministratore ed io avrei dovuto lasciarli soli. Invece, dopo il comportamento prepotente dell’altra vicina, rimango. E, dopo che hanno verificato che tutte le spese dichiarate hanno la corrispondente pezza d’appoggio, nasce una discussione con mio cugino, non ricordo da cosa. Ma sulla porta di casa mio cugino se ne esce con la frase: “Tu sei venuta ad abitare qui per vendicarti!” E qui trasecolo e faccio un altro errore. La replica che mi si era affacciata alla mente era: “Vendicarmi? Vendicarmi di cosa? Cosa mi avete fatto che avete sulla coscienza?” ed invece persi l’occasione di chiarire la faccenda. [segue]