Eppure sto bene...

Ventidue sigarette; otto pacchetti di crackers. Tutto nel giro di mezz'ora. Ora, però, mi tocca vomitare. Sento di essere in difetto con me stessa, ma non chiedetemi perché; non saprei cosa rispondervi. Spero solo che insieme ai crackers, dentro allo scarico finisca pure questo fottuto senso di colpa.
Eppure sto bene. Non c'è niente che non vada.
Devo solo vomitare e poi mi sentirò meglio.
Sicuro.
Non è difficile, ve lo garantisco. Basta solo ficcarsi due dita dritte in gola ed il gioco è fatto.
Nessuno sa di questa mia pratica quotidiana, né tanto meno delle sigarette che tengo nascoste nella tasca di un orrendo cappotto color cammello smesso ormai da anni. Mi chiedo ancora come abbia fatto a comprarlo e, soprattutto, ad indossarlo. Ma intanto è lì, che mi fissa dall'anta aperta dell'armadio. Mi fissa, ostinato ed esterrefatto, con quei suoi bottoni d'oro vagamente kitsch.
"Cos'hai da guardare ?"gli chiedo sbuffando. Ed ecco che attacca con la solita paternale: mi ricorda che non dovrei fumare viste le mie condizioni di salute (sono asmatica, per la cronaca).
"Questo lo so anch'io" ‐ gli rispondo senza batter ciglio."Lo so, lo so che mi fa male, ma intanto non riesco a smettere". Ad un certo punto un pensiero attraversa fulmineo la mente: che sia proprio questa, in fondo, la vera ragione per cui abbia preso a fumare?
Eppure sto bene. Non c'è niente che non vada.  "Se stai così bene come dici" ‐ mi chiede ‐ "allora perché passi le tue giornate a discutere con un vecchio cappotto come me? Ti sembra normale tutto questo? Perché, piuttosto, non ammetti che ti senti uno schifo e che ti serve aiuto?".
“Non ho bisogno dell'aiuto di nessuno, io” rispondo scocciata. “E poi non è vero che mi sento uno schifo... semmai non mi sento e basta..." ‐ aggiungo facendo spallucce. Quindi cerco di convincerlo che una volta vomitati quei maledetti crackers tutto tornerà a posto. Ma lui si ostina a non volermi credere. Per dimostrargli che si sbaglia, decido di varcare la soglia del bagno.
Benché viva tutta sola in questo immenso appartamento, chiudo sempre la porta a chiave. Non chiedetemi perché lo faccia; non saprei cosa rispondervi.
Mi avvicino al lavandino. Raccolgo i capelli in una lunga coda dietro la testa per evitare che si sporchino (sapete, ci tengo all'igiene). Apro il rubinetto. Sento lo scroscio dell’acqua. Mi Infilo due dita in gola. Più in fondo che posso. Non è difficile, ve lo assicuro.
Osservo con attenzione la poltiglia giallastra che scompare a poco a poco, inghiottita dal buco nero dello scarico.
Missione compiuta.
Sciacquo per bene il lavandino per non lasciare tracce. Il senso di colpa è svanito. Un sorriso si allarga sulle labbra. Ma lo vedo dileguarsi non appena lo sguardo si posa sullo specchio. E la vedo. Eccola lì, con quei suoi zigomi appuntiti, le guance scavate, le labbra rinsecchite. Gli occhi scuri e infossati risaltano sul fondo cadaverico del volto. Le sputerei volentieri in faccia, ma mi trattengo: non mi va di sporcare lo specchio.
Giro la chiave in senso antiorario e varco l’uscio. Intanto, una voragine s’è aperta dentro allo stomaco. Torno a rifugiarmi sotto le coperte. Ma anche da lì sotto lo sento sentenziare. Gli dico di piantarla, ché non sono in vena di chiacchiere. Ma non mi dà retta.
Così, dopo avergli sfilato le sigarette dalla tasca, chiudo l’anta per farlo zittire.
Ecco il fumo delle sigarette svolazzare per tutta la camera.
Dopo aver finito il pacchetto, mi ritrovo in cucina: la luce giallognola del frigo mi ferisce gli occhi ridotti a fessure. Faccio fuori un intero barattolo di marmellata.. maionese banane crackers philadelphia light birra grissini biscotti funghi sottolio… … Dopo, solo un ciabattare confuso e lo scatto familiare delle chiave nella toppa.