Equilibrio

Sul bilico d’un cordolo di cemento, pronto a cadere dall’alto giù, fino a baciare l’asfalto e dunque, fino a ritrovarmi riverso sul grigiore che ormai m’attornia, opprimendomi in una morsa che sa di tristezza e di morte dell’anima. Braccia larghe, volto avanti e piedi sulle punte, muovendomi lungo al filo che mi separa dal morire dentro e fuori, senza altro che il mio equilibrio, il mio volere primordiale d’andare avanti e reggermi ancora; come un bambino, come un equilibrista avventato, saltello avanzando verso l’ignoto.
Senza pensiero: così, anche solo per rischiare qualcos’altro una volta tanto.

Rannicchiata contro ad una panchina, poco distante sempre sullo stesso filo ti guardi le mani, per poi portarle alla guancia e dunque, dormire su un giaciglio di pura immaginazione, con un sorriso compiaciuto; ti guardo e quasi perdo l’equilibrio. M’avvicino, deciso a capire cosa ti fa sorridere così beata, anche se non hai null’altro che la tua guancia sulla tua mano; m’avvicino, ma tu vai via pur restando immobile. Come la felicità che ti scivola dalle mani come sabbia tu, adesso, scivoli dai miei occhi con la stessa dolcezza, con la stessa eleganza: ancora non comprendo e tu fuggi lontano da me, soltanto perché non riesco a vedere oltre i miei piedi, perché la paura di cadere mi attanaglia il cuore stringendolo fin quasi a farmi svenire.

Allora capisco che il solo modo per raggiungerti è questo: ruoto il busto e salto nel buio, cadendo verso il grigio delle strade, dell’indifferenze, delle bugie fin quando non è la tua guancia a parare la mia. Mi ritrovo con te rannicchiata sulle mie gambe, col mio giubbotto a coprirti come la più calda delle coperte e tu a sorridere beata, felice spero, soltanto perché ti sono vicino.

E’ allora che ritrovo il mio Equilibrio.
Amo: non manco di nulla.