Giacinto e Rosa

Scemava l’azzurro del giorno riflesso negli occhi di Giacinto quando il cielo cominciò a piangere l’arrivo delle ombre nel cuore: stava perdendo Rosa.
Giacinto e Rosa si amavano perdutamente, ma la sua famiglia nulla sapeva o faceva finta di non sapere credendo che fosse un’infatuazione passeggera di gioventù.
Col passar del tempo però, si accorse che l’amore si era profondamente radicato nel cuore di Rosa e cominciarono allora ad osteggiarlo: ritenevano, secondo il loro lume, che Giacinto non era “un buon partito” per Rosa perché non possedeva niente e non aveva un lavoro stabile. Il giovanotto era figlio di “N.N.” ed era a pensione presso una famiglia d’operai. Doveva continuamente cambiar lavoro anche se il suo impegno e il suo rendimento erano ottimi. Egli, infatti, lavorava duramente e più del dovuto, ma non riusciva mai a guadagnare i soldi che potevano permettergli di uscire dalla vita mediocre e di stenti che conduceva. Di buono c’era il suo credo  in qualcosa di migliore che doveva arrivare, e l’amore di Rosa.
Accadde un giorno di pioggia. Si erano riparati sotto la pensilina dell’autobus. Le lacrime del cielo suonavano un motivo molto triste. I loro due cuori lacerati si misero a piangere col cielo: Rosa aveva avuto dalla famiglia l’aut‐aut di non incontrare più il suo amore. Il perché è presto detto: c’era un altro molto ricco che si era innamorato di Rosa e l’aveva fatto presente alla famiglia, e se è vero che i soldi fanno acquisire la vista ai ciechi, la mamma di Rosa ci vedeva poco, il padre ancora peggio e il fratello peggio che peggio. La situazione, dunque, anche se dolorosissima e inaccettabile, era chiara: Rosa era minorenne (a quei tempi la maggiore età si raggiungeva a 21 anni) e doveva sottostare alle decisioni della famiglia. C’è anche da far presente che in quel tempo di “padre padrone”, i figli per cultura,  dovevano ubbidire e ubbidivano ai genitori.
Vissero ancora alcune ore di gioia e di pianto, ma gli incontri nascosti dei due innamorati furono scoperti e Rosa dovette subire le più cocenti  angustie da parte dei suoi. Fu reclusa in casa  e costretta a sopportare le visite dell’uomo che non amava.
Giacinto non si dava pace. La sua respirazione fu un perpetuo sospiro e intorno a lui tutto divenne buio dove la mente vagava senza  sosta. Qualsiasi pensiero cozzava con violenza contro i muri di cemento armato eretti dalla perdita del suo unico e solo spiraglio di luce. Non resse allo sconforto e al dolore e un giorno, nei giardinetti pubblici, si tagliò le vene.
Si svegliò in ospedale. La prima cosa che vide fu il volto di un canuto signore che lo fissava intensamente. Scorse pagliuzze di gioia nei suoi occhi e con un filo di voce chiese:
“Dove sono e chi è lei?”.
“Bene, bene giovanotto! Sei in ospedale ed io sono l’angelo che ti ha salvato”, rispose, con voce calda e dolce il canuto signore.
Giacinto: “Credevo che gli angeli avessero le ali e fossero più giovani. E  perché mi ha salvato?”
Il canuto signore: “ Gli angeli non hanno età e non hanno ali, almeno qui sulla terra. Ti ho salvato perché la vita è un bene prezioso e nessuno, per nessun motivo, deve porne fine. E questa non è una frase di circostanza”
Giacinto: “ Non io ho cercato di porre fine alla mia vita, ma altri. Vivere o morire per me è lo stesso”.
Il canuto signore o angelo: ”Giacinto conosco la tua storia e l’ho fatta mia anche perché è successo qualcosa d’incredibile, di magico. Il giorno dopo averti portato in ospedale sono andato, come mio solito, a passeggiare nei giardinetti e …dove hai commesso il folle gesto la terra, che aveva bevuto il tuo sangue, ha germinato dei bellissimi e profumatissimi fiori rossi. Da non credere, vero? Eppure i fiori erano lì, reali. Superato lo smarrimento iniziale, mi sono imposto di andare a fondo dell’accaduto. Le mie ricerche mi hanno portato a conoscere la tua storia. Ho raccolto i fiori e li ho portati personalmente a Rosa a nome tuo chiedendo un colloquio con i genitori. Quello che n’è sortito te lo racconterà …”
(pausa) Rosaaa, chiamò a voce alta l’angelo.
La porta si aprì e Rosa entrò nella stanza. Giacinto sgranò gli occhi e cominciò a boccheggiare. Rosa gli s’avvicinò in tutta la sua bellezza circondata da un alone di luce, proprio come un angelo.
Dalle sue labbra, Giacinto, bevve la dolcezza infinita dell’amore e della vita.
Quando il battito impazzito dei loro cuori si calmò Rosa espose a Giacinto la magia che Angelo, di nome e,  di fatto, aveva operato. Si era presentato a casa sua  con i fiori per lei  dicendole: “Questi giacinti per te da Giacinto”. Aveva poi parlato con i suoi convincendoli a lasciar correre il fiume del loro amore perché tu saresti diventato suo figlio. Figlio di un ricco e nobile signore.
“Vuole adottarti ed è tutto pronto, manca solo il tuo consenso”.
Calde e copiose lacrime di gioia solcarono il volto di Giacinto che esclamò:
“Esistono gli angeli, altrimenti come si spiega questa  magia o miracolo che dir si vuole? Come posso chiamarla mio salvatore?”
Angelo rispose: “Chiamami semplicemente papà”.
Prima di scrivere la parola fine di questa storia, chi legge deve sapere che nel bellissimo e grandissimo giardino della villa dove Giacinto e Rosa andarono ad abitare, una volta sposati, vi era un’estensione di aiuole colme di giacinti di color rosso, bianco, e…