Il gabbiano di Piero

Abitavo, con una gabbianella affettuosa, in riva al fiume che si snoda come un serpente tra i palazzi di questa grande città.
Avevo un nido intessuto con foglie e rami ma anche con dei pezzi di carta che trovavo a terra davanti ai negozi... gli “scontrini”.
Questi “pezzi di carta” ricoprono le strade tanto che non capisco perché gli umani li prendano per poi disfarsene appena sono fuori dalla vista di chi gliel’ha dati.
Ho detto “abitavo”, perché da quando sono rimasto solo, ho abbandonato quel nido e ne ho occupato uno già bell’e fatto in un vicolo, una stradina stretta e maleodorante, su uno di quei palazzi austeri del centro storico, con tanta pietra bianca per vestito.
Da quando sono rimasto solo sono sempre un po’ triste. Così ogni giorno, ali distese e vento tra le piume, parto da lì e planando arrivo sopra questa piazza brulicante... da quassù mi godo sempre la stessa scena, uguale da anni…
Fiumi di persone scorrono veloci per le strade, lasciando rifiuti di ogni genere. Sembra marchino il territorio come facciamo noi animali ed è forse per questo che alcuni, pochi per fortuna, schizzano qua e là un po’ di urina e ... depongono escrementi!
Due giri, come gli aerei sopra le piste d’atterraggio prima della discesa, e poi scendo in picchiata:
“Uhhh! Largo. Fate largo, arrivooooo!” M’inebrio… mi piace quell’esaltante sensazione di libertà e di possesso degli spazi aperti. Punto un posto adatto dove posarmi a riprendere un po’ di fiato,  uhm… un po’ d’aria inquinata, volevo dire!
Non vado diritto alla meta, con gli umani è meglio essere prudenti… non si sa mai.
La prima tappa mi piace sceglierla molto alta, scelgo sempre la larga campana sostenuta dai pali altissimi che si innalzano dal suolo, i lampioni. Questi lampioni si illuminano di sera e tanti anni fa per il mio amico Piero erano un posto sacro per gli incontri.
Sto a guardare, voglio individuare un boccone gustoso, qualcosa di esotico.
Vengo qui proprio per questo, passano di qua tanti cristi provenienti da ogni parte di questo mondo enorme, visi diversi dove puoi leggere disagio, dolore e umiliazione … e negli occhi fissi, affetti lontani. Ho visto anche giovani allegri che vengono a conoscere a scoprire; li sento ridere e pronunciare ogni tanto la parola “gita”.
Da giovane anch’io ho fatto tanti di quei viaggi: dietro battelli piccoli, sulla scia di transatlantici, ho risalito fiumi e poi li ho discesi fino dove mischiano le loro acque con quelle del mare; ho attraversato valli e mi sono fermato nei porti.
Che vita! Ora però sono fermo, fermo per modo di dire, qui in questo posto caotico, in questa città bella, Roma come la chiama Piero.
Piero. Eccolo laggiù, seduto a terra, accovacciato su dei cartoni, fermo davanti ad un barattolo raccolto dai secchioni, appoggiato a terra e davanti ai suoi piedi un bel cartello … insomma proprio bello non è, ma ha il pregio di essere scritto senza errori.
Piero è come me, non ha un mestiere o meglio non ce l’ha più da quando se n’è andato di casa perché non sopportava la voce autoritaria, dice lui, della  moglie. Mangia o meglio ingoia qualcosa,  si compra un panino con le monete lasciate da qualche passante. Nemmeno li guarda e non ringrazia, mi viene un dubbio che sia stato lui ad essere autoritario e siccome nessuno se lo filava…è scappato!
Nel suo cartello ha scritto che ha fame e non ha lavoro, ma tante volte spende tutte le elemosine per comprare qualche buon boccone per quel bastardino di cane che è sempre con lui ed è tutta la sua famiglia (bèh!  Senza contare me). Quindi tanta fame …
Anche a me tira qualche pezzo di pane di quando in quando.
Ultimamente sono un po’ preoccupato per la sua salute, lo vedo dimagrire sempre più. Quando è arrivato era un uomo dalle spalle diritte, guardava avanti e litigava per difendere il posto migliore dove il fiume di persone è sempre fitto.  Ho cercato di dirglielo in tutti i modi: guardo il pezzo di pane e poi lui, quando penso che abbia capito con il becco glielo rilancio.
E che fa Piero? Sorride, scuote la testa e mi rimprovera:
“ Gabbiano …Gabbiano,  mangia tu che io ho mangiato.”
A volte mi chiedo “Ma chi me lo ha prescritto un amico che è così testardo?”
Da qualche giorno ho visto che gli si avvicina un uomo alto, sembra scuro di carnagione, ma potrebbe essere solo sporco, che gesticolando alza la voce, ma non ho capito ciò che urla perché quando scendo si allontana sempre.
Forse, semplicemente, finisce il suo show e se ne va.
Sapeste quanti cristiani strani, si aggirano, si fermano e svernano (veramente alcuni ci passano tutto l’anno!) o semplicemente sono di passaggio in questa grande piazza. 
La gente esce numerosa da questa immensa costruzione piatta, bianca da cui sporge una pensilina enorme che viene in avanti sollevandosi, poi si riabbassa e nell’ultimo tratto ha un’impennata: sembra un’onda enorme più grande di quelle che ho visto viaggiando dietro le navi nel mare aperto. 
Sono sempre stanchi, gli occhi gonfi e si trascinano dietro scatole e scatole con le ruote, “valigie” o “bagagli” li chiamano.
Ora è tempo di andare un po’ più giù, mi potrei fermare su qualche albero perché finalmente non ci sono più. Chi? Gli storni! Pensate che erano quasi quanto tutti gli abitanti di questa città, compresi quelli delle periferie sud, nord … insomma più di quattro milioni! Quando arrivavano, alla fine della loro giornata in giro per la campagna romana, si finiva di vivere in questa grande piazza. Prima di tutto si oscurava il cielo, il chiasso … il chiasso assordante dei milioni di trilli acuti e poi la m…. non termino per decenza, ma era proprio cacca di storno, moltiplicatela per il loro numero e avrete l’immagine di come diventavano le strade, i marciapiedi e le auto parcheggiate, i passanti, tutto. Insomma una nevicata colossale che invece di essere bianca e soffice era sul marrone tonalità “cacarella” e mai termine fu più appropriato.
Avrei voluto avere una di quelle… come le chiamano, ci vorrebbe Piero lui sa tutto, quelle macchine per rivedersi, una volta hanno ripreso pure me.
Mi sono visto sui giornali appesi alle edicole.
Con una di quelle c’era da divertirsi: immortalare chi correva per evitare di essere colpito da questi proiettili espulsi dagli storni, chi scivolava e cadeva sul quel mare profumato e chi si puliva o cercava di farlo perché non c’è altra cosa che sporca appiccicandosi come i nostri escrementi (naturalmente parlo dei nostri, quelli di noi uccelli). Qualche esemplare che si è salvato ed era tra quelli che hanno soggiornato qui, mi ha raccontato che per liberarsene  in certi paesi hanno usato la dinamite!
Qui, a Roma, sono stati più umani (e come potrebbero essere gli uomini?) con enormi megafoni hanno provato a scacciarli con diversi suoni diffusi all'interno dei loro dormitori, l’ultimo era il loro verso di allarme, quel verso emesso in natura da individui del gruppo che si trovano in situazioni di pericolo. Tutto il gruppo immediatamente abbandona il posatoio e si allontana dal luogo che è pericoloso. Ora non ci sono più e non mi dispiace affatto!
Allora sosto un po’ o no? No, oggi voglio scendere subito.
Giù, sono a terra, mi ricompongo, mi pettino qualche piuma fuori posto, mi stropiccio gli occhi, stiro i muscoli…
Eh! La vecchiaia! Una volta non dovevo perdere tutto questo tempo, scendevo, afferravo il boccone adocchiato e via di nuovo in volo.
All’inizio è meglio che rimanga un po’nascosto dietro un cestino o un auto o un albero per guardare intorno: osservo la postazione di Piero, controllo...
Sembra tutto tranquillo, Piero ancora dorme,  è sotto il tetto di cartoni e il bastardino gli è seduto vicino e lo guarda… che amico! Mi preoccupa questa sua apatia, se non mette il barattolo … anche oggi non avrà monete per comprare il pranzo!
“Ehi! Sveglia, sveglia! Non sente o non  vuole sentire? Bastardino chiamalo anche tu, dobbiamo svegliarlo.”
Non otteniamo nulla, ora lo becco, vediamo che succede.
Finalmente si è mosso, torno a respirare, cominciavo a…
“Ahi, che colpo, che dolore alla zampa, mi sanguina… che è stato? Ho sentito una botta tremenda al fianco e sono stato scaraventato lontano. Chi è stato? Chi mi ha dato un calcio?”
Ho una ferita, sto male, aiutatemi!
Ora capisco, è stato quell’uomo alto, quello scuro a darmi il calcio ed ora urla…  “Te ne vai o no?”
“No! Lascia stare Piero, finiscila!!” urlo cercando di recuperare le forze…
Ce l’ha con Piero! Lo sta riempiendo di calci e nessuno lo ferma.
“Uomini, ma che fate, perché passate dritti, non avete cuore! Aiutatelo…” urlo mentre cerco di camminare...
Se solo riuscissi a volare.
Se continua lo uccide. Il bastardino è a terra anche lui sanguina, non fa nulla, sicuramente è svenuto.
“Forza gabbiano, anche fosse l’ultima cosa che fai…”mi ripeto e ce la sto mettendo tutta veramente…
Come ai bei tempi, apro le ali e spicco il volo. Bello, mi piace, acquisto velocità, sono una scheggia…
Il mio becco aperto affonda nell’occhio di quell’umano che smette di dare calci al mio amico Piero.
Mi sento afferrato e di nuovo scaraventato lontano.
Il dolore questa volta è terribile ed è all’altezza del cuore...
Le forze mi abbandonano, chiudo gli occhi… no!
Voglio ancora vedere e, davanti ai miei occhi socchiusi,  passano gli ultimi fotogrammi di questa storia: l’uomo che urlava  è a terra e con le mani si copre il viso insanguinato, sento il suono di una sirena, vedo correre gente in divisa e … il mio cuore batte per l’ultima gioia.
Piero si è tirato su, mi guarda, ha gli occhi lucidi:
“Gabbiano, gabbiano…”