Il violino

Anche se la strada che scende dall’alto è infangata dalle piogge recenti e, in qualche tratto sembra torrente sottoposto al capriccio dei rigagnoli, raggiunge senza troppa difficoltà il punto dov’è saltata la macchina di Ester. Ci sono ancora le impronte della gru per issarla e gli arbusti spezzati, indicano il tragitto della caduta.
Per un animale urbano come lui, la trasparenza dell’aria alta, l’esuberanza dei boschi ogni giorno più fitti, cambiano forma e volume con gli alti bassi della prospettiva, l’umidità del paesaggio gli procura  euforia e nostalgia.
Una piacevole, inspiegabile nostalgia, perché prima d’ora non era mai vissuto in montagna e dopo due anni, non riesce ancora a sentire reale questo contatto con la libera natura.
Ester è stata sepolta ieri mattina.
Avevano acquistato il piccolo chàlet con i tetti in ardesia, fenomenali nella protezione della neve. In quella zona, d’inverno, la neve è molto di più di un effetto ottico: una pellicola subito ghiacciata, blocca per tutta la stagione il biancore sulle cose.
Ester aveva trentacinque anni, una bellezza sciupata e nei lineamenti conservava una malizia ammiccante, particolarmente concentrata sulle labbra, anche da morta.
Lui, crede di averla amata oltre ogni possibile previsione.
Ha l’intera geografia del cervello occupata da quella sua ultima espressione nella bara, prima che la chiudessero.
Ferma il pick up all’inizio della discesa.
Lo sterrato finisce lateralmente all’improvviso.
Prima che gli arbusti fossero abbattuti dalla jeep di Ester, il burrone rimaneva mascherato e il costone delle rocce invisibile. Le cime emblematiche del Massiccio, sfidano il cielo più cupo che mai. Un volo di trenta metri, il volo di un’aquila reale che spiega le ali e scende in picchiata, invertendo la traiettoria.
Ester amava questi suoi monti dov’era nata. Voleva tornarci, era stato il suo più grande desiderio negli ultimi anni.
Lui, crede di aver amato Ester oltre ogni ragionevole dubbio, oltre ogni altra sua possibilità.
Ha amato il suo corpo, la sua mente, la sua anima. Ha amato la sua musica.
E’ dentro ogni sua cellula, in ogni luogo segreto del pensiero. Sua,  come nessuna donna mai.  (Abbassa questa voce interiore, cazzo. Ti stai facendo del male) E’ stato l’incarnazione del fallimento fino a quando non ha incontrato Ester.
Si innamoravo di ragazze forti che non lo notavano mai. Erede di un patrimonio familiare, non ha mai saputo mettere a frutto gli studi. Ester racchiudeva il plusvalore del denaro: ha bevuto la sua musica, i suoi dischi, i suoi successi, sciolti nell’acido muriatico.
Bisognerebbe non essere mai nati, per quanto abbiano fatto i suoi, non lo ripagheranno mai del brutto tiro di averlo messo al mondo.
Se l’umanità si mettesse d’accordo per non fare più figli, in mezzo secolo la terra finirebbe spopolata e restituita alle sue forze più innocenti: gli animali, l’acqua, il sole.
Ester amava il suo violino, la musica, Mozart.
‐ Per lei non sono stato che uno snob intelligente e ricco. Nulla più.
Mi sento mutilato senza di lei. Erotomane‐Folle‐Affettuoso‐ Null’altro per lei.‐ (Scopri queste cose solo ora? Le sapevi da sempre. Cos’è? Una nebbia frutto di possibili evaporazioni di lacrime occulte?)

Ester è morta. E’ come se si fosse mutilato.
Inizialmente si era sentito felice con lei. Dopo, si è  trovato di fronte una sfilza di barriere emotive.
E’ stata lei a portare all’insoddisfazione, il virus ignoto che provoca disgrazie agli altri e a sé stessi.
Parcheggia con l’angoscia . La casa è vuota. Sarà vuota per il resto dei suoi giorni. (Manomettere i freni della jeep, lasciare al destino il giorno e l’ora della tua morte Ester. Erotomane‐Folle‐Affettuoso‐ Lo sono stato fino alla fine.) *  *  * David, chiude la porta di casa dietro di sé. Il camino acceso cattura il suo sguardo.
Appoggia i pensieri su una musica che non aveva mai udito prima e non avrebbe udito mai più.