L'ultimo bicchiere

Ieri ho chiesto a Luigi un favore. Odio farlo, lo odio da sempre ma ho sentito la necessità di chiamarlo per chiedere lui del vino, del formaggio e qualche salume. Ho vissuto di terra e dei suoi prodotti da quando ne ho memoria e invece ora, per esplicita richiesta e imposizione di un medico che avrà si e no trent'anni dovrei rinunciare a ciò che amo di più. Al mio vino, ai miei salumi, ai miei formaggi. A tutto ciò che mi riporta indietro negli anni, a tutto ciò che mi fa sentire giovane, agli odori e ai sapori che mi tengono in vita. Muoio male così, muoio male.

Ho quasi novanta anni io e secondo un giovane medico dovrei rinunciare a ciò che più amo. Per cosa poi? Per qualche mese in più? No. Se devo morire almeno lo farò felice. Almeno morirò con il gusto e il sapore della mia terra, dei suoi frutti. Morirò sazio.

<< Antò, sono franco con te perché potresti essere mio padre. Antò ti resta poco. La malattia è peggiorata e si è estesa velocemente>> mi disse il dottore non guardandomi nemmeno in faccia.

E poi << Antò, da figlio, segui attentamente ciò che ti scrivo così almeno potrai goderti questi ultimi mesi. Vabbuò Antò?>> sempre senza guardarmi. Sempre con lo sguardo fisso sul foglio di carta.

<< Certo dottò, certo. Come dici tu>> risposi seccato.

Ci salutammo con una fredda stretta di mano e, uscendo dallo studio, pensavo a quanto possa essere stronza la vita e a quanto possano essere glaciali certi uomini. Certi giovani d'oggi.

In pratica mi aveva detto che era arrivato il mio tempo. In pratica mi aveva detto addio e lo aveva fatto senza battere ciglio, senza far trasparire alcun sentimento. Senza neanche guardarmi in faccia.

<< è il suo lavoro>> mi direte voi

<< è la mia vita>> vi risponderei io.

Misi il foglio in tasca senza neanche leggerlo e piano piano me ne tornai a casa.

Lo senti quando è il tuo tempo. Lo senti addosso. Almeno noi uomini di terra e di sud le avvertiamo immediatamente certe cose.

<< Ho quasi novanta anni, c'è d'aspettarselo, ma chi mai può essere pronto? Chi mai? Che si abbiano cento o venti anni. Chi mai>> bisbigliai tra me e me a voce bassa mentre aprivo la porta di casa.

Appena entrato gettai il foglio del medico sulla credenza e lì rimase forse per una o due settimane almeno,


<< Luigi, mi raccomando, il primitivo che mi piace a me sai? Quello che ci beviamo da sempre. Quello di Manduria>>

<<Certo Antò, che mica posso sbagliare>> rispose lui ridendo di gusto. << Antò e che devi farci con il vino, i salumi e i formaggi Antò? I festini? E non mi inviti? Ti devi divertire con Lena no?>>

continuando a ridere di gusto.

<< Ma no, ma no. Lena l'ho anche licenziata. Non mi serve la badante a me Luì. Quella un'idea di mia figlia di Torino è stata, io neanche la volevo>> risposi.

<< Scherzo Antò. Peccato però, era una bella signorina. E che devi fare? Scende tua figlia con i bambini Antò?>>

Mentre parlavamo guardai l'orologio. Dovevo prendere la cardioaspirina e tutto il resto delle medicine. Dovevo riscaldare il brodo per cena e a momenti sarebbe iniziato il telegiornale sul primo canale. Io guardavo sempre e solo quello sul primo canale. Abitudine credo.

<< Luigi, per favore. Ma che dici, quella non scende da anni e anni. Mica le ricordo le facce dei miei nipoti Luì, mica le ricordo. Quella lì non scende da anni. No, no>> e continuai << se mi accompagni alla masseria e mi riprendi in serata è un problema Luì? Vorrei passare una bella giornata in campagna che non ci vado da tanto>>.

<< A disposizione Antò lo sai. Tu sei solo, io sono solo. Se vuoi resto con te pure io>>

<< No no>> risposi << mi porti e mi riprendi in serata, devo solo vedere se sia tutto apposto, non ci vado da molto e spesso entrano i ladri. Poi vorrei pulire il giardino e godermi la giornata. Mi raccomando Luì, il vino. Ti aspetto domani mattina>>.

Luigi scoppiò in una grossa risata e concluse la chiamata con il suo solito << Antò, ti posso dire di no a te? A domani.>> e riagganciò.


Non lo sapeva nessuno ma in realtà la badante l'avevo mandata via dopo meno di una settimana. Ogni mese davo lei un pensierino affinché non dicesse nulla a mia figlia che viveva da anni a Torino. L'altro mio figlio viveva in Germania da più di trent'anni e nessuno dei due scendeva giù da me da anni. Lina, mia moglie, era morta da troppo e da troppo mi mancava. Io ero solo, ma solo stavo bene. Non avevo bisogno di nessuno se non di Luigi con cui da sempre bevevo vino e giocavo a scopa al bar. In realtà ormai neanche al bar ci andavo più a giocare a carte con il caro Luigi. I solitari sì però, quelli sempre, non me li facevo mancare mai mentre la tv accesa in cucina mi faceva compagnia mentre io ricordavo il passato.


Mi alzai, come facevo da anni, alle cinque. Preparai il caffè, metà d'orzo per renderlo meno pesante, presi le solite pillole e aspettai il fischio della vecchia macchinetta. Versai il caffè velocemente nella tazzina, i soliti tre giri tre con il solito cucchiaino. Niente zucchero; lo preferivo così, e mi avvicinai alla finestra. Era bello bere il primo caffè guardando nascere una nuova giornata nel mio salento. Era un rito giornaliero il mio.

Goduta la nuova giornata appena nata tornai nel cucinotto, lavai con cura la macchinetta, la tazzina e il cucchiaino e mi spostai nel vecchio bagno di servizio. Quello dove mi radevo quando Lina era ancora viva; mi radevo lì per non sporcare quello grande. Lina lo voleva lindo per gli ospiti, anche se in realtà raramente avevamo ospiti e ancor più raramente usavano il bagno, però lo sapete, mai contraddire una donna del sud.

Mentre passavo con il vecchio pennello la schiuma da barba sul viso mi guardavo allo specchio e le lacrime solcavano il mio volto stanco e segnato dagli anni. Sgorgavano sole ma non ne capivo il perché. Le asciugai con cura e portai a termine la rasatura. Lavoro perfetto. << Sono sempre bello>> esclamai a voce alta ridendo.


Come sempre Luigi fu puntuale. Due colpi di clacson dalla sua vecchia panda per avvisarmi. Ero però già sulla soglia di casa.

Percorrendo la strada sconnessa di campagna parlavamo del più e del meno. Ai lati della carreggiata sulla destra il grande vigneto di Monteleone e sulla sinistra invece gli ulivi di Cavallo “Il Senatore”.

<<gira a destra alla prossima>> dissi

<<Antò>> rispose sorridendo Luigi. Lo sapeva da sempre dove era la masseria.

Ci salutammo velocemente dandoci appuntamento per le diciotto e trenta al cancello. Presi la busta con il vino, i formaggi e il salame e mi incamminai verso il porticato percorrendo piano il vialetto, senza voltarmi. Mi resi conto però che Luigi rimase lì qualche minuto osservandomi, e solo dopo, facendo retromarcia e suonando i soliti due colpi di clacson andò via.

Appena fui solo apparecchiai il tavolo esterno con una vecchia tovaglia che mi ero portato da casa. Presi un piatto, una forchetta e un coltello, il mio bicchiere dalla credenza del salone e li portai fuori. Aprì il cassetto del tavolo e presi il vecchio tagliere, lo ripulì alla buona e sistemai tutto per bene.

Finalmente ero seduto nella mia masseria e guardavo gli alberi che avevo curato per una vita, riempì il primo bicchiere di primitivo, assaggiai il salame e il formaggio e brindai a loro. E giù il primo bicchiere.

Quasi meccanicamente ripetei l'azione più volte e ogni volta brindavo a qualcosa o a qualcuno. Il secondo brindisi fu per mia moglie, il terzo per i miei figli, il quarto per Luigi. Il tagliere era ormai vuoto e la bottiglia anche. Versai il vino rimasto e riempì il bicchiere, presi il foglio e la penna che avevo nella tasca della camicia e scrissi due righe. Buttai giù il mio ultimo bicchiere di vino brindando a me e sorridendo di gusto.


Luigi come promesso fu al cancello alle diciotto e trenta. Due colpi di clacson d'avvertimento ma Antonio non lo vedeva. Scese dalla vecchia panda e dopo aver percorso il vialetto arrivò sotto il porticato. << Antò andiamo?>> nulla. << Antooò>> ancora nulla. Solo un cane che abbaiava da sotto gli ulivi. Luigi vide il tavolo imbandito, il tagliere e la bottiglia vuota. Il bicchiere anche. Sotto il bicchiere un foglio, ma di Antonio nessuna traccia. La porta di casa era aperta; prese il foglio e iniziò a leggere:

“ Grazie Luì, ho brindato anche a te e alla tua amicizia e ti ringrazio per tutto. Salutami i miei figli e i miei nipoti di cui non ricordo neanche i volti. Non scendono da anni loro, salutameli. Salutami tutti, saluta i miei alberi e le mie vigne. Dì a tutti che ho brindato e bevuto anche per loro. Salutami anche il dottore. Fammi un ultimo favore luì, sai che odio chiedere favori, ma con te posso permettermi. Salutami tutti e dì loro che sorridevo. Dì al dottore che noi uomini di terra decidiamo dove e quando salutare. Dì ai miei figli che la solitudine può essere bella, l'abbandono no. L'abbandono no. Perché pur non facendo trasparire nulla a me mancavano loro, i miei nipoti, i miei figli, mia moglie Lina. Ma un anziano non dovrebbe elemosinare presenza. Dì loro che però non li colpevolizzo e che li ho amati e li amerò sempre e comunque.

Ps: Ancora grazie Luì, ancora grazie. Ricorda di dire a tutti che sorridevo e che sono andato via davvero felice. Ricorda di dire a tutti che però l'ultimo bicchiere era per me. Che ho brindato alla mia solitudine, alla mia vita e al mio primitivo. Che ho bevuto il mio ultimo bicchiere felice e senza rimpianti”

Grazie Luigi.

Antonio “Cin cin”

Luigi entrò in casa e Antonio era seduto nel grande salone sulla sua vecchia poltrona di fronte al camino. Aveva gli occhi aperti, spalancati e felici. Aveva un grosso sorriso sul volto.

<< Antò, Antoooò>> esclamò Luigi e continuando << Sei sempre il solito>> e sorrise piangendo anche lui.