La bambina

In una giornata di settembre, riscopro nel grigio della mia soffitta tanti oggetti riposti e dimenticati: foto in bianco e nero, un vecchio diario, una bambola con la veste sdrucita e la chioma dorata, l’orsacchiotto di quand’ero bambina, uno specchio, una spazzola, il cavallo a dondolo, la borsetta rosa con dentro occhiali rotti, un portamonete colorato, vecchi pastelli. Apro la cassapanca dei ricordi e spolvero i miei sogni: sarò dottoressa, ballerina, pianista, attrice, pittrice, stilista… Da bambina mi aggiravo per la casa con invidiabile disinvoltura, una grande casa in lento rifacimento, indossando la sottoveste, sei collane di mia madre tutte contemporaneamente che mi davano un certo tono, tacchi naturalmente altissimi. Tanti fermagli di varie forme geometriche rendevano la mia acconciatura a dir poco singolare, difficilmente ne avreste trovata una simile in tutto il paese… e dire che non si tratta di un paese piccolissimo.
Posto sulla collina, quarantamila anime, anima più anima meno, ogni tanto qualcuno muore ed è necessario sapere chi è, come sia potuto succedere, se per cause naturali o eccesso di alcol e sostanze di vario genere o magari un forte dispiacere.
È fondamentale conoscere la verità e parlarne bene da morto se non lo si è fatto da vivo.
Una forma di espiazione per tutte le maldicenze di cui è stato sommerso, ma per fortuna non potrà mai più sapere. Dicevo che se per qualcuno è giunto il triste momento, qualcun altro viene alla luce, si spera dopo un matrimonio fastoso con almeno centoquaranta invitati e trascorsi rigorosamente nove mesi nove, a meno che non sia prematuro.
Altrimenti risulterà che è stato concepito prima delle nozze non dopo e l’unione davanti a Dio, ai parenti e ai santi (i parenti in Sicilia sono molto più in vista dei santi) è solo una forma di riparazione al mancato stato verginale della vivace sposa, che finalmente ha coronato il suo sogno... l’amore? No! Il matrimonio, evento atteso da tutta la vita, passo irrinunciabile superati i trent’anni, pena l’accusa di essere rimasta acida zitella. Fine ultimo della sua esistenza, per conseguire il quale si è scelto un ragazzo e si è imposta di amarlo per tutta la vita, fino a che non la lascerà vedova, si sa che i mariti se ne vanno sempre prima delle
mogli, ma la ragione di questo fatto è ancora ignota ai più. Uno del paese il fortunato, affinché mai circolino voci tendenziose: che ha dovuto prendere un forestiero perché nessuno del paese l’ha voluta.
Prima o dopo però, qualcuno nasce e riceve tanti regali da tutti o quasi: gioielli di grosse dimensioni perché possa indossarli anche da grande, abitini, scarpine, giochi, a seconda delle possibilità s’intesta al piccolo anche una casa, raramente un’automobile.
Se il neonato è una femmina è un conto, ma se è maschio allora tutt’altra storia…
Io sono nata femmina con tutto ciò che esser figlia femmina comporta, nel paese.
Ci sono dei doveri a cui non ci si può sottrarre. Da piccina libera di giocare, ma non in cortile con gli altri bimbi, figli di chissà chi (e di chi siano figli lo si sa benissimo, una rete capillare di informazioni consente, infatti, di risalire fino al mestiere dei trisavoli dei nostri vicini). Solo in casa propria e con altri bimbi rigorosamente selezionati o a casa di questi, ma ogni tanto, per non risultar troppo invadenti.
Dunque me ne stavo quasi sempre da sola, figlia unica, agghindata nella maniera anzidetta, poco trucco perché non avevo totale accesso alla trousse di mia madre, ragion per cui mi mettevo in faccia solo ciò che ero riuscita a rimediare nei giorni precedenti.  Assolutamente sicura di me, su trampoli vertiginosi barcollavo e ancheggiavo, passando di stanza in stanza con fare deciso e progettavo il mio avvenire.
In effetti, non sognavo la famiglia, i miei piani erano altri … fare carriera come le donne americane, quelle dei film.  Andar a vivere da sola ben presto, in una grande città, conoscere tante persone diverse, uscire, lavorare, frequentare le amicizie giuste.
Ero già pronta per il debutto in società, quella società che popolava la mia immaginazione.
Non sapevo bene di cosa mi sarei occupata da grande, ma ero certa che avrei scelto di fare ciò che amavo.
Ora sono una trentenne, parzialmente soddisfatta della sua vita, vivo in città, cambio spesso lavoro, provo in tutti i modi ad apprendere il più possibile da ogni giorno che viene, da ogni esperienza, da ogni persona che incontro. Leggo, studio, viaggio. Mi prendo cura di me, proteggo la mia vita, difendo i miei sogni.
Sono distante dal posto in cui sono nata e cresciuta, ci torno ogni tanto, per ricordare gli eventi che mi han condotto fin qui e fatto di me la donna che sono. 
Tutto questo con la pedissequa disapprovazione della mia famiglia e di tutti quelli nati e rimasti nel piccolo mondo, che non è il piccolo pianeta del piccolo principe. È un luogo tanto angusto, pieno di parole.
Io amo le parole, ma ne faccio un uso totalmente diverso. Dimenticavo! Nonostante le frequenti pressioni esterne, non sono ancora sposata e forse non lo sarò mai. Il matrimonio non è nulla di serio al giorno d’oggi (e a noi donne del sud hanno insegnato che dobbiamo esser brave ragazze, “ragazze serie”), dunque non fa per me.
Se un bel giorno dovessi decidermi, allora mi toccherà prima trovar un fidanzato. Per ora mi bastano gli amici, quelli veri e quelli immaginari, gli amici della bambina che ero e che probabilmente sono ancora.
Quella bambina, fortunatamente, parla con me anche adesso e mi ricorda che i sogni sono fatti per esser realizzati e mi sprona tutti i giorni a vivere in modo semplice e genuino, ad apprezzare ogni momento, a guardare i colori con occhi nuovi, ad ascoltare le sensazioni e trovare da sola la strada giusta da seguire.