Lingue di fuoco

Non era stato il falò del solito contadino imprevidente, questo sembrava certo. Per più giorni si cercò di indagare ma, come spesso accade, non si riuscì a scoprire la vera causa di quel disastro.
Era partito nel primo pomeriggio, qualcuno lo aveva notato in un punto della pineta, già a metà costa, e subito aveva dato l’allarme.
Cominciava a snodarsi agile tra le erbe alte, la sterpaglia e il sottobosco. Poi… l’incendio era divampato rapido in tutto il suo furore.
A distanza di ore, lingue ardenti serpeggiavano ancora lungo la collina a diverse altezze e ormai… cercavano di ingoiare anche gli alberi più maestosi. Prima un lieve odorino di resina, piuttosto piacevole, poi puzzo soffocante di brace e di carbone.
Alimentato dal vento, il fuoco si propagò spietato verso est. Stormi di uccelli impazziti provenivano da quella direzione. Lanciavano disperati richiami. Tentavano di mettersi in salvo e forse ci sarebbero riusciti. Ma gli uccellini più piccoli, e quelli ancora intenti a covare le uova nei nidi, o ad allevare la prole… E poi, quelli còlti di sorpresa e già accerchiati da tutte le parti… come avrebbero fatto? Sarebbero rimasti sepolti nel rogo.
A quelli pensavo con profondo dispiacere. Provavo una stretta al cuore. E mi venivano in mente tutti gli animaletti più flemmatici, più impacciati, più indifesi del bosco: gli insetti leggeri, le lucertole nascoste nelle fessure, i timidi coniglietti selvatici, e i ricci…
I ricci! Per loro era certamente la morte, lentissimi com’erano tanto da finire molto spesso schiacciati dalle auto. Erano le vittime preferite della strada, quelli che maggiormente pagavano il progresso. Durante l'estate, di mattina, si trovavano a decine sull’asfalto: accecati dai fari durante le ore notturne non avevano trovato scampo. A nulla erano valsi i loro dorsi irti di aculei! Come difendersi? L’auto è veramente la maggiore nemica dei ricci. Può compiere stragi.
Insensibili a molti veleni, capaci di combattere perfino con le vipere, eccoli ora di fronte a un nuovo pericolo. Quanti di essi sarebbero stati annientati da quelle terribili fiamme?…
Si fece sera. Mentre preparavo le valigie, vedevo dalla vetrata del balcone un pino letteralmente avvolto dal fuoco, come un rosso fantasma, la sua folta cima bruciava, mandava fumo, sprizzava scintille. Il tronco infine si piegò, crollò.
In pochi minuti spariva una splendida creatura. Era stata allevata dalla Natura con amore per chissà quanti anni! E ora…
Scoppiarono alcune pigne fiammeggianti. Aghi infuocati partirono, ahimè, per colpire nuove zone. 
Quel mostro furibondo non si calmava, non lasciava tregua al bosco, anzi sembrava vanificare la fatica degli uomini accorsi per domarlo. I volontari prima, e ora anche i vigili del fuoco. Tutti all’opera. Giungevano fino a me voci disperate, urla e richiami.
Ecco, una parvenza di tregua? No. Un bagliore rossastro, e in un attimo riprendeva più vigoroso di prima. Bisognava ricominciare tutto daccapo. Aprire varchi. Il cielo aveva cambiato colore. Il mondo andava in rovina.
Suonarono alla porta. Erano Lorenzo e Toni, due ragazzi che dedicavano tutto il tempo libero a organizzare escursioni naturalistiche per l’isola. Durante le passeggiate, coglievano anche la minima occasione per fornire informazioni su questo o quell’animale, su questa o quella pianta, e contribuivano con tutta l’anima a educare la gente al rispetto per l’ambiente. Ce ne vorrebbero tanti di ragazzi come loro.
Lorenzo e Toni venivano dal luogo dell’incendio.
‐ E’ una vera rovina. ‐ dissero ‐ Non avevamo mai visto niente di simile: se le fiamme non saranno domate o almeno isolate, si rischia lo sgombero di tutte le abitazioni più vicine. 
Prima che potessi dire la mia, mi mostrarono una borsa di tela.
‐ Guarda, credo che ti interessino. ‐ continuò Lorenzo ‐ Erano tutti e due sul sentiero, abbiamo pensato di portarteli. In mezzo a quel putiferio, povere bestie, non avrebbero avuto scampo, mentre con te… sappiamo che sono in buone mani!…
‐ Questo sì… è vero, grazie. Solo… che… domani mattina parto, ho l’aereo alle sette per Milano.
I due amici si guardarono non sapendo cosa fare.
Io conoscevo i ricci soltanto attraverso le illustrazioni dei libri e qualche documentario.
Guardai quelle due pallottole spinose e ne raccolsi una. Aveva un colore grigio giallastro, mentre l’altra era marrone e molto più scura. Il riccio era abbastanza pesante e non manifestava nessuna voglia di aprirsi. Sarebbe stato bello vederlo, così da vicino, con il suo grazioso musetto aguzzo e la sua caratteristica “pettinatura” a spazzola! Intanto… mi piaceva molto il suo odorino di selvatico.
Lo rimisi delicatamente insieme al compagno.
‐ Va bene, ora mi organizzo. Ci penso io. Domani stesso li porterò nel giardino di mia sorella. Là credo che staranno benissimo.
Lorenzo e Toni tornarono di corsa a prestare la loro opera come volontari. Non c’era tempo da perdere.
Liberai le due bestiole nella stanza da bagno, chiusi la porta e completai velocemente le valigie. Andai a letto più presto del solito. Ormai non ero più preoccupata per i ricci, il trasporto sarebbe stato semplicissimo e in fondo, anche per loro, si trattava solo di un’oretta di volo…
Durante la notte fui svegliata improvvisamente da qualcuno che picchiava sulla porta. In pochi attimi mi resi conto che il rumore proveniva dal bagno, sembrava un esercito di disperati che si accalcava su quella porta. Erano i ricci. Battevano sul legno con tutta la potenza delle loro zampine, graffiavano con le loro forti unghiette, era come un frastuono stonato prodotto da tamburi, un fracasso di cavalli ubriachi al galoppo.
Mi ricordai che i ricci hanno abitudini notturne, opposte quindi alle mie che amavo concludere le giornate presto e svegliarmi, magari, alle prime luci del giorno.
Pensai che avessero fame, quindi portai loro un piattino con il latte, poi richiusi la porta. Neanche per sogno. Ripresero immediatamente con quel comportamento chiassoso, con quell’infernale baccano. Dormii davvero poco.
All’alba sentii il rombo di un aereo, vidi che si abbassava più volte sul mare per raccogliere acqua e, dopo un istante, la scaricava sulla zona dell’incendio.
La scena ormai era desolante: un’enorme macchia nera si apriva là dove fino a ieri spiccava il bel verde dei pini.
E intanto… gli ultimi tizzoni ardenti erano ancora duri a morire!
Cominciava a cadere una pioggerella leggera. Mi piangeva il cuore a lasciare così, con quella immagine, il bellissimo luogo delle mie vacanze.
Per fortuna c’erano i due ricci a tenermi, si fa per dire, allegra. Tutto il tragitto si trasformò in una specie di combattimento fra loro, che tentavano in tutti i modi di uscire dalla borsa di tela, e me, che dovevo ricacciarli continuamente giù affinché non scappassero nel taxi prima, e nell’aereo più tardi…
Finalmente arrivai a casa. Liberai i ricci, questa volta in cucina. Lasciai loro una ciotolina di latte, e corsi a salutare mia sorella che abitava a soli cinquecento metri di distanza. Volevo darle subito la bella notizia che la sua famiglia di animali stava per arricchirsi! Avrebbe dovuto solo controllare che la recinzione del giardino non desse ai ricci la possibilità di fughe pericolose in strada.
Quando tornai a casa era già buio. Accesi la luce in cucina e rimasi senza fiato: uno dei due ricci si fermò di colpo mentre leccava  una goccina di latte e guardò verso di me coi suoi occhietti brillanti ma un po’ pensosi come quelli di tutti i ricci. L’altro, con cammino pesante, si andò a rifugiare dietro un mobiletto; e sul pavimento… lì, proprio in mezzo alla stanza… tre esserini coperti di aculei biancastri come di plastica o di gomma chiamavano la mamma con una vocina acuta e stridente.
Almeno uno dei due ricci, quindi, era femmina. Quante emozioni proprio appena prima del parto! il pauroso incendio, quelle strane case con i pavimenti freddi e lucidi e, più ancora, il volo ad oltre novemila metri d'altezza…
I piccoli comunque stavano bene.
Spensi la luce e corsi da mia sorella a portarle il nuovo, strabiliante annuncio.