Mondo è stato e mondo sarà

In via Vattelapesca n.0 non era solo questione di tirchieria a causa della quale si procedeva a suon di truffe (e la cosa era considerata normale). 
Non era solo questione di avidità per la quale almeno due o tre nel condominio credevano di avere diritto sulla proprietà del padre di Liliana e poi sulla proprietà di Liliana. 
A capo di meno di due anni, Liliana lì dentro si sentiva come il figlio del Re nella parabola del Re e dei vignaioli disonesti: dopo aver mandato i servi, i segretari a riscuotere il dovuto e dopo che questi erano stati cacciati dai vignaioli disonesti a suon di sassate, il Re mandò suo figlio (avranno rispetto per mio figlio, pensò il Re); i servi, vedendo il figlio, dissero tra loro: Costui è l'erede, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra; e così fecero.
E Liliana pensava: "Ma mio padre cosa credeva: non hanno avuto rispetto per lui, avrebbero avuto rispetto per me?"
Non era solo questione di invidia se l'appartamento o i mobili erano belli (anche se i loro magari erano più belli o più preziosi o più comodi).
Liliana rilevò un'altra verità quando lo zio Casoria si presentò all'ospedale dove il fratello maggiore, il padre di Liliana, doveva essere operato di urgenza una seconda volta nel giro di tre mesi. 
Liliana rilevò che lo stato dello zio Casoria non era di ansia o preoccupazione. No. Lo zio Casoria era eccitato.
"Questo è stato mandato qui dalla moglie per avere notizie fresche e magari essere il primo a riportare la ferale notizia."
Ed a Liliana tornò in mente quando si era operata lei undici anni prima. Era stata in ospedale un mese in attesa dell'intervento e nessuno era venuto a trovarla, mentre il giorno dell'intervento, dopo l'intervento apre gli occhi nel suo letto nel reparto, ancora mezzo addormentata e con la ferita che le faceva male, e vede Dorina, la figlia maggiore di zio Casoria, e Leopoldo, figlio maggiore dello zio Giulio. Liliana accennò un sorriso, fece un cenno con la mano, poi riadagiò la testa sul cuscino e si riaddormentò. Non prima però di avere visto la smorfia sul volto di Leopoldo che avrebbe voluto essere un sorriso di solidarietà e di incoraggiamento. Sì, Liliana si riaddormentò, ma non prima di aver pensato: "Ma guarda questi! E' un mese che sono qui e questi si presentano il giorno dell'intervento?".
Adesso Liliana credette di capire: erano stati mandati dalla madre di Dorina a vedere come era la situazione non per partecipazione e solidarietà, ma per mero e puro pettegolezzo. Mera e pura mania di impicciarsi, di dover sempre sapere i fatti degli altri.
Comunque l'intervento del padre di Liliana riuscì e lo zio Casoria ed i suoi accoliti rimasero con un palmo di naso.
Ma quella vittoria di Liliana fu solo una vittoria di Pirro.
Sì. Perché quella vittoria Liliana la considerava un suo successo.
Quando il padre era stato ricoverato d'urgenza a distanza di tre mesi da un precedente intervento, Liliana aveva fatto la spola per tre giorni tra due ospedali per capire cosa stesse succedendo e cosa fosse meglio fare. Aveva sfondato porte, aveva costretto un impiegato a fare e consegnarle immediatamente la copia di una cartella clinica (e non tra una settimana), aveva interrogato caposale e primari. E si era calmata solo quando il padre si lasciò convincere a cambiare ospedale.
Ma quello fu l'ultimo successo di Liliana.
Non appena il padre disse: "Va bene, allora andiamo all'altro ospedale", fu piantato il germe per insinuare il dubbio in se stessa, la paura e farla diventare una criminale. 
Una criminale, come e peggio degli altri membri della famiglia.
Non appena il padre disse: "Va bene, allora andiamo all'altro ospedale", l'altro fratello, appena arrivato, di sabato, da quattro giorni che il padre era in ospedale, si volta verso di lei e fa: "Se papà muore è colpa tua". Una mazzata.
Ed il giorno dopo, domenica pomeriggio, l'aggredisce verbalmente e fisicamente.
E così fu piantato il germe perché Liliana un anno dopo abbandonasse il fratello che l'amava, il fratello che si fidava di lei nelle mani dell'altro fratello che si riteneva (e si ritiene) l'unico in gamba della famiglia ed il detentore della verità.
Ma questa è un'altra storia.
Passarono altri tre anni, quattro anni ed i vicini di Liliana si avventarono con ferocia su Liliana ed il marito di Liliana, a suon di lettere di insulti e calunnie, a suon di citazioni per richiedere pochi spiccioli sulla base solo delle loro menzogne ed omertà solidali.
E Liliana capì che il problema non era solo che il padre aveva abituato i fratelli (e poi gli estranei che avevano comprato gli appartamenti che alcuni dei fratelli avevano venduto) al fatto che lui da solo pagasse tutte le spese. E questo era stato un grosso errore di affetto (o di quieto vivere) da parte del padre di Liliana: poi i bambini crescono viziati e quella che era una gentile concessione per loro diventa un diritto.
Quindi, dicevamo, non era solo questione di truffe per mantenere in piedi la tradizione che uno solo pagava le spese condominiali per tutti.
Non c'era solo l'invidia e la bramosia per le cose degli altri.
C'era qualcosa di più.
Da parte di zio Casoria, c'era l'invidia per la posizione ed il rispetto sociale di cui godeva il padre di Liliana.
E da parte del neo‐arrivato, c'era la voglia di rivalsa del villano rifatto contro il signore di un tempo. Quello che una volta era del signore del luogo, ora doveva essere suo.
E Liliana comincia a dare segni di cedimento.
Per poi crollare quando quei signori fanno quello che lei non aveva mai fatto.
Liliana non aveva mai detto al padre che lo zio Casoria le aveva presentato un preventivo fasullo per sgraffignarle 600 euro.
Che il cugino Leopoldo aveva millantato l'esistenza di una fattura inesistente.
Che il neo‐arrivato aveva preteso che a pochi mesi dai fantomatici lavori aveva di nuovo dei problemi.
Che lo zio Casoria non pagava fisicamente le rate condominiali.
Che lo zio Casoria vessava il marito di Liliana.
Che il neo‐arrivato, geloso delle cose belle in casa di Liliana, aveva minacciato, accomodatosi in casa di Liliana, di buttare a terra gli oggetti che c’erano sul tavolo.
Che i vicini avevano firmato tutti insieme una lettera di calunnie ed insulti contro di lei ed il marito.
Che lo zio Casoria aveva citato il marito di Liliana per chiedere 58 euro.
Che ...
E quei signori vedendo che né Liliana né il padre di Liliana (e come avrebbe potuto? non sapeva niente!) erano toccati da tutto quello stillicidio di persecuzioni, pensarono bene di far sapere loro personalmente tutto al padre ed all'altro fratello di Liliana. 
Oltre che raccontare le loro menzogne ai loro conoscenti.
E Liliana dovette vedere l'altro fratello prendere le parti dei suoi avversari.
E Liliana dovette vedere conoscenti comuni che ammiccavano o facevano finta di non vederli.
Liliana avrebbe dovuto continuare ad essere intelligente ed ignorarli. Quelle persone contavano qualcosa per lei? Che se ne importava Liliana se una nota farmacista di Salerno, conoscenza comune, strabuzzava gli occhi quando li vedeva? Erano mai state veramente amiche? No, ed allora?
Già, ma altri tradimenti facevano male. E Liliana avrebbe dovuto capire da questo quanto quelle persone valevano e quindi quanta importanza dare loro.
Una parente di zio Casoria non era andata a riferire quello che lo zio Casoria diceva di loro alla madre di Liliana commentando: "Ma io lo conosco al marito di tua figlia, siamo colleghi (e questo zio Casoria non lo sapeva): non è mica come dice lui!"?
Ma Liliana cede e cedendo fa il loro gioco permettendo loro di ottenere un successo insperato.