Ospite che non vuole andare via

Non so parlare la mia lingua, come uno stolto. Conosco la lingua dello straniero: l'italiano. Sono un ospite permanente che non vuole andare via, non troppo ingombrante, come l'erba selvatica nei giardini poco curati. Mi affeziono, come i cani randagi al nuovo padrone, lo difendo, ma so solo abbaiare, non mordo, non ancora, sono un cucciolo. Non so più coniugare i verbi nella mia lingua e non c'è una lingua abbastanza mia che possa permettermi di omologare le parole alla mia carne. La mia carne è tutto e questo non le permette di essere qualcuno. Mi so adeguare al linguaggio delle persone, al loro stile di vita, tanto da poter essere invisibile, un ospite leggero, con il sorriso sulle labbra. Il mondo è nei miei occhi un libro aperto, prevedibile, apro la porta, preparo gli indumenti per l'occasione che mi si presenterà domani e poi, a fine giornata, li ripiego ordinati nell'armadio, per ogni evenienza. Nella mia stanza c'è un libro per fare esempi ad ogni occasione, conosco la vita dei grandi, sono biblioteca polverosa di esempi da seguire, da ammirare, da invidiare, da compatire e disprezzare. E' leggibile, su di me, la penna di altri. Non sono io stessa creatore con radici solide, ma opera di miscugli, schizzo su cui ci hanno messo mani due artisti troppo diversi, pianta spiantata e ripiantata, colori dell'est e lingua straniera, impeccabile esperimento di una geografia pazza, più bizzarra di certi scienziati.
E' come essere tutto, soffrendo di non essere nessuno, fingendo di essere qualcuno.