Passeggiata con Orman

Camminavo lungo la strada, nel tardo pomeriggio, in compagnia di Orman, il mio cane. Percorrevo la via a passo svelto osservando tutto quel che il mio sguardo riusciva a carpire ed ogni tanto mi voltavo a controllare che lì dietro fosse tutto a posto, giacché Orman ‐ sguinzagliato ‐ non di rado commetteva stronzate a causa della sua natura indomita. La passeggiata mi consentiva di essere piuttosto disteso, rilassato dopo una lunga giornata di studio. Tuttavia non vi era granché di ameno in quel quartiere, se non la quiete del momento che rendeva tutto più nitido. Così, procedendo ancora a passo allegro, mi allontanai dal centro urbano e raggiunsi un campo incolto, privo di recinzione, luogo in cui spesso andavo per lasciar godere il cane di piena libertà, ma che da qualche settimana avevo trascurato scientemente di raggiungere per via delle incessanti piogge. Probabilmente era di proprietà di un privato ma per noncuranza e trascuratezza era divenuto da anni una sorta di parco pubblico ove per consuetudine chiunque, specie i bambini, trovavano spazio in abbondanza per concedersi meglio alle attività ludiche, non meno dei giovani amanti che nelle ore notturne lo occupavano per giacere in riservatezza. Quella volta fu Orman ad anticiparmi, impazziva alla vista di quel luogo e già in lontananza, non appena intuiva che eravamo diretti da quelle parti, correva euforico verso quella direzione anche se le mie intenzioni erano orientate altrove. Era come se si dimenticasse di me, di avere un padrone, e si comportava da liberto. Io lo lasciavo fare, perché in quella zona la città, se non si poteva dir morta, era comunque animata dal respiro di poche anime, la maggior parte delle quali conoscevano il mio cane e non avevano alcuna paura della sua mole imponente.
A mano a mano che mi avvicinavo verso il parco, cominciai a scorgere fiori colorati che ammantavano quello che l'ultima volta era sola arida terra, di colore beige, molto simile alle pietre che lo abbellivano, unico ornamento di quel suolo brullo. La mia attenzione mi distraeva continuamente. Guardavo sempre più giù, in prospettiva verso gli alberi, anch'essi truccati dal verde delle folte chiome. Accesi una sigaretta, mi piaceva tutto ciò, e avevo l'animo leggero. Mi inoltrai ringalluzzito nel campo, ma solo per qualche metro giacché non potei fare a meno di fermarmi a constatare quel che d'un tratto stava accadendo: sorprendentemente mi trovavo in un posto fiabesco, era da poco primavera, la vedevo e desideravo persino odorarla. Continuai a camminare per il campo, ma questa volta procedendo lentamente, attento, avendo quasi la sensazione di essere impegnato. Ero circondato da margherite, viole, papaveri e da tanti piccoli animaletti di ogni specie che si muovevano freneticamente senza che io potessi capirne, se non vagamente, il senso.
Mi ero accorto di avere intorno a me cose meravigliose, le quali però m'impedivano di poter correre senza fare a meno di calpestarle. Quel pomeriggio fu la bellezza della natura a sensibilizzarmi, nessun'altra ragione. E così mi immedesimai in quell'ecosistema, e restai a guardare attonito, forse anche quasi un po' preoccupato, quanto stesse facendo il concitato gioco di Orman in tutta la sua innocente, distruttiva, indifferenza.