Quadro svedese

Stamattina mi sono svegliata e mi sono messa a cercare di ricordare cosa avevo sognato. Una specie di incubo. A forza di pensare mi è venuto in mente. Santo cielo, la Vetrini, la professoressa di educazione fisica in prima superiore. Da quali meandri della mente sia saltata fuori questa qui, è tanto inspiegabile quanto spiacevole. La prima lezione dell'anno, tutte in fila, noi studentesse, passate in rassegna come militari, dal suo sguardo ostìle che non faceva presagire niente di buono. Chissà perchè io diedi una fuggevole occhiata all'orologio che, stranamente, portavo al polso. La cerbera se ne accorse.
"Signorina Boccardo, ha frettta? Qualche impegno, per caso?"
indirizzandomi un'occhiata che avrebbe sciolto e fatto evaporare all'istante un iceberg.
Io, da ribelle quindicenne, alzai il mento in evidente atteggiamento di sfida.
E fu subito odio.
Cominciò a detestarmi prima ancora di constatare che io e la ginnastica eravamo maledettamente incompatibili. Ma c'erano giorni in cui mi odiava di più, e allora mi spediva al quadro svedese. Devo ancora capire adesso come ci si debba arrampicare su quel coso. E chi mi metteva a fianco? La Silvia: snella, carina, mai un capello fuori posto, ottima ginnasta, non sudava mai, sempre fresca come appena uscita dalla doccia. Anch'io sembravo appena uscita dalla doccia, ma da quanto ero intrisa di sudore. 
"Guardi la sua compagna, e impari."
La Silvia in un attimo si "faceva" il quadro in tutte le direzioni con la velocità di una lucertola su un muretto, mentre io rimanevo ipnotizzata a guardarla, appesa a un legno come un macaco a un ramo, e aggrovigliata come un gomitolo di lana dopo che c'ha giocato il gatto. Ci sarebbe voluto il foglio con le istruzioni per districarmi. Perchè, bisogna dirlo, ero anche "robustella".
C'è un lato positivo nel sogno di stanotte. Che tutto ciò è passato. Se la incontrassi oggi, la Vetrini, saprei io cosa dirle.