Sabato 18/04/2015 È tempo di passione

Siamo quotidianamente in balia di messaggi inquietanti, preoccupanti e caotici: sembra quasi che interpretare il mondo circostante diventi sempre più difficile, sempre più complesso. Dalla nostra, abbiamo una sola consapevolezza, quella di vivere in un'epoca di crisi, in un lungo, interminabile tramonto di grandi ideali e sogni, dove un inestinguibile grigio si è impossessato di tutto e ci impedisce di vedere i colori con la stessa lucentezza di qualche generazione fa. La parola crisi (segue)
rimbomba spesso nelle nostre teste, riecheggia spesso nei nostri discorsi e, lentamente, diventa l'alibi per non andare oltre, per giustificare stancamente ciò che di storto ci capita, quasi come una patente di accettazione e rassegnazione con cui proteggerci, con cui falsamente rassicurarci. Nessuno, però, spende un po' del suo tempo a spiegare come sia questo rumore di fondo pessimista e martellante, questo ritornello ormai irrinunciabile per tutti noi a cominciare la crisi, ad avallarne lo sviluppo e a rinforzarne la cupa presenza nelle nostre menti, nei nostri cuori. La crisi comincia soprattutto quando la si percepisce dentro di sé, quando si sente, nella "pancia", che ormai la battaglia è persa e che il mondo è troppo corrotto e contaminato per essere ancora quel bel giardino fiorito che ci immaginavamo da bambini. La crisi siamo noi, con i nostri dubbi e i nostri sconforti, con quel velo che annerisce tutto e non solleviamo mai per vedere da vicino ciò che ci circonda e che pensiamo, a torto, di conoscere bene. Crediamo ci sia sempre tempo per controllare statistiche poco rassicuranti, per alzare la voce e prendercela contro lo stesso sistema che ci ha reso quali siamo tuttora, ma mai per dare un po' di speranza, mai per dar voce alla bellezza di un tramonto, di una canzone o di un incontro fortunato. Sembra che non ci sia spazio per tutto questo e, lentamente, cominciamo a farne a meno e a pensare che davvero non ci sia più nulla di cui rallegrarsi, che i bombardamenti mediatici hanno ragione e la nostra vita scorrerà implacabilmente rinchiusa nei binari della crisi e della recessione. Cosa succederebbe, invece, se ognuno di noi perdesse qualche minuto prezioso per raccontare qualcosa di bello, qualcosa che lo ha appassionato, qualcosa che lo ha emozionato? Continuiamo a dire che nulla, nella decadenza contemporanea, può stupirci più, ma, in realtà, l'uomo è nato per meravigliarsi, per guardare l'ambiente circostante, senza smettere di farsi domande e scoprire, spesso, come ci sia più gusto nel porsi interrogativi, che non nel rispondersi. Perché, allora, non prendersi qualche minuto, in treno, per appoggiare la schiena allo schienale ed osservare un sole nascondersi nelle montagne o le onde infrangersi contro una spiaggia ancora deserta? Certo, all'apparenza sembra meno interessante, perché ormai ci siamo abituati a  ricordare gli innumerevoli ritardi di Trentitalia, a lamentarci per la scortesia degli altri passeggeri e a sbuffare frequentemente pensando a quante ore ancora ci aspettino. Eppure, è proprio un gesto così semplice, così puro nella sua ingenuità, a poterci ridare, anche se per pochi minuti, quel sorriso che, magari, latitava da tanto sulle nostre labbra, una gioia inebriante ed appagante di cui siamo sempre alla disperata ricerca. Mentre ci angustiamo, mentre siamo chini a curarci di noi e guardare solo alle nostre quotidiane disavventure, il mondo, là fuori, continua: il sole continuerà sempre a tramontare con la sua bellissima luce arancione, le montagne innevate continueranno a stagliarsi in lontananza, il mare continuerà ad abbracciare il cielo azzurro in un nodo inscindibile. E se questi spettacoli, invece di scomparire, sono ancora vicini a noi, davanti ai nostri occhi un po' disattenti, perché non ne siamo grati? Perché continuiamo a parlare di crisi, invece di parlare di luci, colori, emozioni?

Tutti hanno paura della recessione, della disoccupazione e della precarietà, con dei motivi troppo validi per essere respinti, ma c'è un altro bene, assai più grande, che nessuno di noi sembra abbia timore di perdere o sembra ricordare nei suoi pensieri: la passione. La passione è la forza che continua a spingere ancora questo mondo, pur con le sue storture e i suoi stanchi ingranaggi: è la passione del falegname che intaglia nel suo legno e lo sente vivo al suo tocco, è quella dell'insegnante che, nonostante lo abbia ripetuto milioni di volte, continua ad emozionarsi leggendo per i suoi alunni la storia dell'Innominato, è quella del ballerino  a cui bastano poche note per sentirsi bene e lanciarsi nella pista, incurante dei giudici pronti a misurarne minutamente ogni movimento. Siamo noi a non darle mai spazio, a trascurarla sempre nei nostri discorsi, a fingere che non esista e che, nella vita, sia il guadagno o l'avidità a spingerci. Eppure, la crisi vera sarebbe questa: non incontrare persone dallo sguardo sognante, con gli occhi vivaci ed il sorriso evidente, perché certe di aver trovato uno scopo, una intima ragione per alzarsi ogni mattina ed affrontare continue sfide e prove. E mentre tutti controllano strani indici numerici ed urlano alla perdita di valori, io sento la speranza, sento la gioia di essere viva e di sapere che, ancora oggi, ognuno di noi può fare la differenza ed accendere il mondo di bellezza e luce. Perché la passione non è morta, ma, anzi, scorre veloce nelle nostre vene e, finché ci saranno scrittori ispirati, medici devoti alla loro causa o maestre contente dei progressi dei loro bambini, nessuna crisi potrà davvero fermarci o farci desistere dall'amare questa vita.
Cecilia Cozzi
http://aspasiachannel.blogspot.it/2015/04/e‐tempo‐di‐passione.html