Stropicciato e taciturno

Stropicciato e taciturno, pelo ispido, sguardo magnetico da mulo, aria da redentor martire, ex reginetto di notti stupefacenti, artista moderno, poeta, musicante, esperto viaggiatore, amante saltuario, chef panciutamente goloso. Stampato da capo a piedi come una cartina geografica fatta di pupazzetti colorati che chissa cosa narrano del suo passato a me sconosciuto. La storia non mi è mai piaciuta, le date il mio più grande incubo, eppure di quel bell’ amante tenebroso avrei voluto saperne di più, almeno per dare un volto o una misera carta d’identità alle mie rivali in amore o sue ex, almeno per comprendere se quella sua natura di orso bruno fosse vena vera e propria del suo dna o semplicemente il riassunto di quei 40 anni di cose finite a metà. Tutta la mia curiosità finiva strangolata da quei suoi occhi gonfi come laghi color del ghiaccio, mi spalmavo con la faccia sulla facciata della sua schiena definita e dormivo nel profumo del bagnoschiuma, contenta e arresa al fatto che non avrei mai avuto il coraggio di chiedergli di più. A me bastava infondo, ero cambiata in quell’anno e mezzo, avevo avuto paura e temevo di non averci capito un bel niente di quel fottuto quadro animato…ma dietro c’era scritto più o meno tutto. Era come una ricetta, il bugiardino nascosto nelle scatole dei medicinali, il fascicolo delle istruzioni di uno di quegli arnesi tecnologici, dovevo fare tutto quanto era scritto in quel retro. Se solo, se solo avessi saputo decifrarlo, forse troppo giovane, pigra e artisticamente corrotta decisi di inventare ciò che non sapevo decifrare. Lo amavo a modo mio, in tutti quei ritagli di tempo riuscivo a infilarmi come acqua nelle crepe dei suoi ghiacciai, iniziavo ad abitargli dentro senza invadere troppo, senza chiedere né pretendere. Costruivo il mio palcoscenico su cui mettere in piedi la trama delle mie sceneggiature. Abitavo nella sua vita come Geppetto nella pancia della balena, tutto veniva sballottato di qua e di là durante le maree, ma stavo bene alla luce della sua ugola, scrivevo, disegnavo e studiavo, dormivo rannicchiata sulla base della sua lingua e mi svegliavo agli sbuffi del suo sfiatatoio, nuotavo con lui nel grande mare del tempo e dei guai, un dolore ci accomunò e piangemmo impiastricciati in piedi contro lo stipite della porta del bagno, la mia crema colorata dipinse di chiazze la sua maglietta bianca e mi sentivo in colpa per aver macchiato la sua corazza,non sapevo se fossi stata in grado di sostenere anche la sua battaglia, ero tutta rotta come le conchiglie vomitate dalle maree sulle labbra delle spiagge. Dopotutto ero lì e avrei fatto di tutto, me l’avesse chiesto. Sapevo di non sapere e questo mi faceva consapevole e seppur inesperta mi rendeva un amante niente male, lui mi meritava più di chiuque altro. Ero finalmente nel posto giusto al momento giusto, e la vita faceva meno paura di quello che temessi.