A Carlo

Quando ti invitai l’ultima volta
Mi dicesti una bugia:
nel tuo cuore forse troppo grande
non riuscisti a metterci un buon filtro.
E vi entrò anche quella:
vi entrò la tua filosofia, la tua follia.
Le evanescenti, imposte compagnie,
che tua moglie raccattava
dai cimiteri falsi o veri.
Erano prive di odore prive di peso
e tu nel vederti non ti odiavi offeso
anzi ora ti piaci anche
mentre, come un ingordo,
sei diventato obeso.
Guardi i gerani che non vengono bene,
i pini che crescono storti
e guardano te i tuoi figli, e le vostre scene.
Stai per morire in bilico,
come chi non ha partito:
segue il soffiare del vento,
e chi non lo chiama.
Sei come quella puttana che conoscevamo.
Come quell’aquilone della tua figliola
che quando le volò lontano pianse inudita.
Ora ridotto a brandelli,
o forse neanche a quelli.