Alle finestre vuote

Oggi siamo insonni, i festeggiati al muro controtempo come un abuso o un solo odore di vecchia mercanzia

stonati

al radunarsi frettoloso di quei suoni che il nostro mare ha già perduto, disattento,

le consonanti piccole e marroni gettate via a traboccare il fondo della fretta quando è di morte il sole e non acceca.

La comunione, era, la linea rossa sui palmi aperti pronti agli spergiuri e noi l’abbiamo frantumata sull’ostia resa in salve al bando di un altare scorticato

e già la pelle si fa viva, viva e ci confonde e brucia il tarlo dentro i falò nascosti freddati da una luna oltre le ascensioni.

Ti ho dato un ramo, aveva il sangue nostro sulle punte, lo ricordi? E tu mi mescolavi una passione ignota tra le gambe buie mentre cadeva il nylon morso dall’animale in vetro resuscitato sul brivido d’agosto

e il perdono misurava i passi sulla porcellana, i denti radi e bianchi da succhiare lampi di grotta sulla cenere smurata via dall’acqua in due battute

tra Sanlorenzo e il mare

notte di carta gialla e stelle triturate dall’ossessione di un solo corpo bianco e una catena in croce senza offerte

e io che ritornavo, sempre, al fischio rovinoso di quel treno.

Ci siamo mossi verso la montagna quando era tempo di grattarsi il sale sopra vie di sabbia perdute a noi come la scocca di un delirio senza nome e abbiamo generato senza la protezione degli abissi nudi e crepati al sole, assenti di quella goccia che ci muovesse statue sulla prua, serpenti soli di un inganno che mi resta.

Ad ancorarci notte alle finestre vuote e una pena per l’acqua che Ti ho amato.

  06/05/2006