Cento 61

Prima la carne, poi anche la voce:
le dosi vanno sfilate, sono steli in marciume,
sbavature moleste. Troppo in fretta è passata
la sua ombra alla mia tavola: due pasti senza
saziarsi e sedie scostate in attesa di leva,
come ancore del tuffo. Forse se  gli avessi
trattenuto un polso o costretto lo sterno, o magari
inciso la pelle con un grido, forse sarebbe tornato,
quantomeno a reclamare il suo posto. Invece ho fasciato
bene le mani e punito la bocca: non si parla mentre si mangia.
Non ho più ospiti e la mia porta sono io, ho girato il cartello
che mi diceva felice con un chiuso per fine. Dentro preparo
pietanze discrete che non fumano e non corteggiano le
gole di passaggio. Di tanto in tanto solo alzo
lo sguardo e mescolo i giorni: da qualche parte
deve essere rimasta la macchia del nostro sapore.