Cento 98

Sono impiegata nel laterizio dei versi, la mia casa è buca
per compagne di parole arruolate: arrivano come spose
che temono il lutto, ognuna infila una missiva pesante
di presagio. Sembrano numeri con in alto la potenza
e la portata del loro messaggio. Venite! Edito dolore!
Spedisco segreti senza la noia di trovare una bottiglia
ed un'onda a favore, spennello sulla pagina un unguento
che fa rima con inchiostro ma che ha orribili fattezze, che spaventa
i sogni buoni, che viene meglio se ripreso al buio.
A volte mi chiedo quanto ancora dovrò essere vuota per
fare da recipiente, ho notato che niente si abita meglio
di un vano predato. Io sono quasi sempre la noce senza
gheriglio, quella che al tatto potrebbe ingannare una sorpresa
ma che, spaccata, presenta due covi cavi, due letti analfabeti
di peso. Smettetela di agitarmi per sentire il mio rumore:
le mie ossa non fanno musica, ho sbagliato intonazione.
Ho una sola corda che mi attraversa in lungo, un binario senza
raccordo: inutile percuotere la morte  per chiederle come è nata.