Cinque Cento Ventinove

La bambina sta bene:
cresce che è un canto,
cresce che è luna.
Ha già gonne e
corredo, somiglia al
papà ma l'ala è di mamma.
La carne frollatura di nord,
battuto di caselli e
confini, province con l'altitudine
in dote e gengive di fabbriche
intorno alle case. Ma la pelle
è tutta un Mezzogiorno, estuario
di limoneti, forchetta di faraglioni,
massicci erosi da una lingua
blu più della notte. Ha dimestichezza
con i ramarri, rivolta gechi , sgambetta
felice fra i muri e le edere, cappelli
di boschi per gnomi. La bambina è
morta, deragliato lo sterno,
la slavina gonfiata sul cuore con
uno starnuto, rovinò sulle
rotule molli. La bambina si è
spenta più sabato che domenica
scivolando calda dalla culla,
cocomero di legni violati, zattera
con il contagio della groviera.
La bambina è di cera: dalla
teca del sonno si intravedono
ferme le vene, tubicini sedotti
al riposo, bicchieri dalla posa
accanita, cannucce intasate.
Papà e mamma le lasciano
un bacio: sulla crosta che
hanno tutte le cose raffreddate
per non scottare, due paia
di labbra, rossa sigillatura.
" C'era venuta così bene:
era un gioiello, una pesca,
un Rosario". Il papà raccoglie
le spalle, un'aquila spillata
sul ramo, post it di piume,
la mamma controlla la bacatura
del ventre da cui colò
il suo rosa.  La bambina è morta
nelle ore del festivo: era tutta suo
padre, era tutta sua madre, il femore
ago del settentrione, la scapola
un Golfo. La pozione perfetta,
le dosi mirabili. Ma l'incantesimo sciolto.