Dialogo

"Ateantu commotae Erebi de sedibus imis
umbrae ibant tenues simulacraque luce carentum."
Siamo sporchi di guerra e Orfeo brulica
d'insetti, è bucato dai pidocchi,
e tu sei morta. L'inverno, quel peso
di ghiaccio, l'acqua, l'aria di tempesta,
furono con te, e il tuono di eco in eco
nelle tue notti di terra. Ed ora so
che ti dovevo più forte Consenso,
ma il nostro tempo è stato furia e sangue:
altri già affondavano nel fango,
avevano le mani, gli occhi disfatti,
urlavano misericordia e amore.
Ma come è sempre tardi per amare;
perdonami, dunque. Ora grido anch'io
il tuo nome in quest'ora meridiana
pigra d'ali, di corde di cicale
tese dentro le scorze dei cipressi.
Più non sappiamo dov'è la tua sponda;
c'era un varco segnato dai poeti,
presso fonti che fumano da frane
sull'altipiano. Ma in quel luogo io vidi
da ragazzo arbusti di bacche viola,
cani da gregge e ucecui d'aria cupa
e cavalli misteriosi animali
che vanno dietro l'uomo a testa alta.
I vivi hanno perduto per sempre
la strada dei morti e stanno in disparte.
Questo silenzio è ora più tremendo
di quello che divide la tua riva.
«Ombre venivano leggere.» E qui
l'Olona scorre tranquillo, non albero
si muove dal suo pozzo di radici.
0 non eri Euridice? Non eri Euridice!
Euridice è viva. Euridice i Euridice! E tu sporco ancora di guerra, Orfeo,
come il tuo cavallo, senza la sferza,
alza il capo, non trema più la terra:
urla d'amore, vinci, se vuoi, il mondo.