Dove il cuore non ha smesso di abitare

Poi venne il silenzio più crudele,
quello che non chiede permesso
e spegne una voce amata
in un solo istante.

Mia madre se ne andò così,
come una luce spenta all’improvviso,
lasciandomi tra le mani
un mondo che non riconoscevo più
e una vita costretta
a reinventarsi dal dolore.

Dopo di lei tutto cambiò direzione,
come un fiume deviato con forza
lontano dal suo letto naturale.
Io, che avevo appena imparato
il sapore fragile della serenità,
mi ritrovai straniero
nella mia stessa storia.

Ricominciavo da zero,
senza mappa,
senza bussola,
con il peso di un’assenza
che nessuna parola
avrebbe saputo colmare.

Scelsi di partire,
di andarmene lontano,
anche se il cuore restava là,
tra i luoghi che mi avevano visto crescere,
tra le strade della mia infanzia ritrovata,
tra i silenzi e i sorrisi
dei miei anni più veri.

Me ne andai,
ma non per dimenticare.
Me ne andai
perché restare faceva troppo male,
perché ogni angolo
parlava ancora di lei,
di noi,
di quello che non sarebbe più stato.

Dietro di me lasciavo
il bambino del collegio,
il ragazzo che aveva finalmente respirato,
il figlio che cercava ancora
uno sguardo materno
dove posare il proprio smarrimento.

Eppure, in quella fuga necessaria,
ho imparato la forma del coraggio,
quel camminare tremando
senza sapere dove si arriva,
ma continuando a vivere
nonostante tutto.

Ora so
che alcune radici non si strappano,
restano silenziose nel profondo
e continuano a nutrire
anche da lontano.

Il mio cuore è rimasto là,
tra la terra e i ricordi,
ma la mia anima
ha imparato a camminare altrove,
portando con sé
il suo nome,
il suo amore,
e una nostalgia
che è diventata forza.