E lei, più dolce di Afrodite

Nel tuo cuore il mio cuore s’è sparso,
vieni, e quieta prendi queste neglette mani,
poggiale al petto, udrai fatue bufere,
bisbigli nostalgici, un po’ di grazia ancora
in me perdura, e puerili innocenze chiuse
dove solo tu puoi entrare, vieni intreccia
antiche promesse alle tele dell’ Anima,
ho messo una primula intinta di Sole nelle
tue stanze, nella tua bocca amata gelsi e
deliziose bacche,possa tu rinascere pregna
di sapori alle fatiche, possa sorgere in te
un ricamo d’amorose fantasie.

Australi gemme ho colto nei montani declivi,
oltre bagliore, e presso sorelle aurore scorte
genuflesso ho pianto,e il cuor mio ha pregato
per ore un sovvenir di pace placando.
Nulla ti ha svelato,e segreta mi hai risanato,
ortensia celestiale,tanto buona al mondo che
febbre al tuo pallore s’è commossa lacrimando.
Era l’Annunciazione nella tua voce, era in ogni
mio grido la tua visione, e un sorriso a destare
turbata frazione.

Speranza dei tuoi sguardi, sguardi che vita han
dato, sradicate parole lontanissime come tormenta
vanno,nettare d’orme versando,solchi dove fresco e
chiaro questo fiume che riguardi passa e passera’,sotto
ponticelli cari,ricorderemo bianche lune,bonta’ d’estive
passeggiate,e un correre gaio verso il mare,sotto
firmamenti lattei, sotto umbratili fronde,e prime
foglie adunate, sotto cime pervase di vita che con dita
tocchiamo. O io sento scorrer il prezioso tuo sangue,
sento per arbusti uno scorrer di linfa uguale!

Nel suo fluir taciturno,ora greve,ora ancor
piu’ lieve l’acqua in noi screziando discende,
l’anima candeggiando,e uno spander da luoghi
discosti melodie sorte mai, sviolinar da cerule
orchestre,che l’udir nostro trastulla, e vento,
e soffi d’eterno promana su colli, divaga nel sogno
il ginepro, vacillar d’anemone romito che le
tue ciglia di fuliggine tinte ad armonie vellicando
sommuove. Parlami, dei tuoi pensieri ti prego
parlami, voltati ai miei sguardi, lasciarmi solo
se m’ami, se a morir mi ami? Non farlo.
Perdonassi l’abbandono di un pazzo,mi ami
io sento che mi ami! Perdona il duolo arrecato,
compassione serbi in te o divina, fai nuovo l’amore
e tutte le nostre cose. Sei buona tanto!

Nella veglia un cullar di fronde s’ode,nei sospiri
venerandi delle tue labbra venate un richiamo,
alabastrino, forte,il mio destino sepolto in te riposa
e la mia sorte,porto nel profondo ogni tuo lento
gesto,la chioma folta pettinata da un raggio,ogni
cupo affanno, piega su viso segnato da incerte scritte,
e marchiati sussurri sui polsi che non scompaiono.

Sognare un sogno piu’che si possa sognare,
in questo tepore d’ombre silenti, e carezzevoli
venticelli che da brine maghe c’innalzano,
e da erbe e galatee umide dissetate da
piogge cadute ieri, miti, vivi, han giorni di maggio .

Abbracciami, casto viso, dal torpore torno
di spezzati affetti rifugiati in ogni tuo bacio,
l’aria indistinta trasporta,manca il fiato,la bruma
evanescente avvolge un treno a fuggevoli
rimembranze sviato. Io veda, come un sogno,
tutto come in un sogno infinito io veda, il viola di viole,
il bianco di gelsomini, il marrone delle tue iridi,
l’effonder rosa delle labbra tue sui meriggi,
io veda l’oro delle ultime albe brillare sui lidi,
e il balsamo in te soave d’illuminate margherite.

Cosa è chi siamo stati ogni momento? Dove,
quando ci avremo? In qual posto, in quale luogo?
Tutto tacendo confida, il sentiero perduto,la strada
solatia,il portone d’attesi incontri,il piover mezzo a
sfavilli,l’eco dei tuoi vicini sempre nuovi passi. Batte
il cuore,batte imperterrito Amore, lacerando.

Tace la terra,turba e riflette le memorie degli
anni che inceppa,sventola Vita foglie d’ippocastani,
cristallo di verdi prodigi,sorte da rami ambrati,
e terre aventi segni piu’che mai sacri, cui benedicendo
piegata ti sei,fatta libellula,orto, petalo, pioggerella.
Sia nostro l’impeto di chi morir sente su vene fiamma
rappresa, amor che l’avvampa. Piove,da finestra aspetti
tremula e pavida,indugiano i giorni,i mesi,le ore,caduti
sui vestimenti, caduti sui nidi , su ornielle febbrili,
cadute su radici, e gli innesti, cadute sul vago sibilar
della fioca voce, e sul garrire svanito degli uccelli ad
aprile.

Cenerino cielo al vespro declini, contiamo stelle
solitarie, guardiamo reami di pace, la piu’ lucente
a Ovest porta segreti rari,quando l’Infinito veste
occulti misteri inesplicati alle menti, guardo attonito
specchiati nelle tue iridi vortice e lucore dun Dio
nell’Universo. Tempo dispare, stringimi,nulla bramo
piu’ che soffocare per forte innocente abbraccio, sia
possente l’afflato,nudo amore di corpo che si disfa
nell’altro. Noi pelle bagnata,noi lave di fuoco,languido
spasimar lamenti sulle sete nere di vestigia cosparse.
Scende polvere di stelle sulle ghiaie, e il borgo travolto
da fulmine nelle notti,e barbaglio onnipotente illumina
le case, aggiorna indorando flutti del lago.

Scivola una tua lacrima su fragile petalo,acqua
di ruscello idilli canta, s’affacciano pesciolini
boccheggianti che nel profondo allieta, sorridi e
rallegrati,esplose primavere d’improvviso sotto
piedi ignudi rinascono.

Bianca s’è fatta la veste, alla luce entro vele traspare
turgida la mela dei gemelli tuoi seni,naviga in noi il
fuoco su pelle rapita,spinti corpi esplosi straripar
nel groviglio, stretti da vischio, le membra congiunte
inondare corolla che s’ apre a volte illuminate.
Duri la memoria, letizie di una bocca imporporata,
scimitarra fulgente di una Dama, scaglia ferita d’arco
al cuore incauto, e sangue per Amore da visibilio cola,
me dolce soffrire sotto padiglioni d’uve mature e issate
viole,me dolce ricordare stesa su pianoforte le aggraziate
bramosie delle tue pose.

Un riso si disperde nella tua bocca, che occhi
abbassar fanno innanzi ai tuoi belli, privi di
ritocchi della donna a cui appartengo, che a
voce bassa va parlando al cuore che solo gaudio intende, guarda scorgar l’infinito che si estende.
L’ho giurato, sulla mia vita ho giurato, solo lei,
col suo petto sul mio petto,quando in braccio presa,
apparve alta diffusa rosa immensa e linda lampeggia,
di canzoni una rosa per tutto un cielo,le nostre vite
cantando,suona tempesta oltre monti, lontano, siamo
un liuto d’usignoli,radure in cristallo,brinosi pendii,
quel zefiro ignaro,protesi a un gregge di nuvole,
e felicita’ beviamo.