Elegia

Pullula invano la sera di dolente
verde e di tardi monti,
la tua terra si vela di amori profondi,
fiumi e vallate divengono memoria;
sta la mia sorte con te, con la tua
che già di grigie note punge i capelli stanchi,
e fervono i pianeti dal colore d’arancio
oltre mozze rovine pei cieli invernali,
celebra il vuoto dei cortili scoperti
le ardue nozze delle colonne e dei colli.
Questo è il talamo tuo che precorre la selva
quello è il vitreo giaciglio delle brina,
e Vespero, natura umana,
e una stella di pace e di volontà buona
tocca i primi terrori, soggiace
alla fosca vigilia che in sé già ci distrae.

Tu stai, né più cura hai dell’umile
palpito ovino che ha la tua strada
se da notte a notte la guardi languire,
la tua nuca non cura
me e l’oriente ove vibra
l’illusorio vigore del frumento;
le tue spalle cui preme l’oblio
la tua mente che infrange altra legge
già da tanto giacquero, e trema e s’abbassa
l’oro natalizio della stella
di Vespero tra i capelli
tuoi che nota furtiva la morte.

Non puoi dirmi la ruvida pioggia
che di sé ci stordiva
e che improvvisi spazi e primavere
ci rovesciò vive negli occhi,
non puoi dirmi la grandine fresca
che in fuga volò dalla nube
a pettinare paesi frettolosi,
né l’erba grande nei giardini
né i grandi pomi dell’agosto,
nulla puoi dirmi nulla so nulla vedo;
ma di quel cibo ora il seme perduto
lungo cieche ansie notturne ricerco
nel campo dissestato e le ore anno e nera
sarà più l’alba che i grumi dei monti,
l’alba nera con acide palpebre
ci secernerà nella valle del mondo.

E da ghiacci orgogliosi a iride levando
Spoglierà il vento le nari,
le viscere stente, la tosse,
e tra poco lo stretto petroso
focolare che ignora la fiamma
rabbrividirà di lumache e id crete
cerule all’orlo della solitudine,
gemerà di stanchezza la campana
che offesa trapela dal cielo,
l’iride irrisa tremerà
tremerà nell’inverno
su chine e chine avide di paesi.

Ho coinvolto sole e luna nella mia sorte,
ho seguito le aperte promesse dei fiori
e la stagione che tutto presume, la bocca
rossa, gli occhi e il profilo che stimola e schiara
il mutevole margine delle radure
ed il pesco boschivo,
ho seguito la tua
piccola casa dall’ombra
riconosciuta familiare
anche tra i denti raggianti impetuosi
delle estati che saranno,
tra i pensieri implacati
tra le moltitudini e i giorni. Ma stanche
ora le mani sul parapetto a luci
di logge s’esalano, inverno
senza requie logora presagi
e moti d’alberi tristi lungi affila.