Il respiro del bosco
Prima che il cielo si spezzi, il bosco tace.
Un velo caldo trattiene il respiro,
le foglie immobili imparano l’attesa
e l’aria pesa come una frase non detta.
Gli uccelli restano chiusi nei nidi,
il canto sospeso come un rito antico.
La terra, umida e segreta, diffonde
un odore scuro di cambiamento imminente.
Poi un lampo lacera il margine del cielo,
il tuono chiama per nome la distanza.
Il vento si alza, parla una lingua remota,
e le prime gocce cadono, dense, decise.
La pioggia percuote rami e cortecce,
il torrente si gonfia di voci profonde.
Il bosco non sussurra più:
si piega, vibra, si lascia attraversare.
È una danza selvaggia, una forza che scuote,
un sipario di nebbia e battiti primordiali.
Ogni foglia trema, ogni stilla risponde
a un richiamo più antico della paura.
Poi, lentamente, il fragore si ritrae.
Il tuono si allontana, la pioggia si assottiglia.
Resta un silenzio nuovo, fertile,
che ristora la radura e le radici.
L’aria si fa limpida, carica di profumi,
ogni foglia trattiene una luce intatta.
I raggi filtrano tra i rami
come sentieri appena disegnati.
Gli uccelli ritrovano la voce,
un canto semplice inaugura il ritorno.
La terra respira, lavata e presente:
non è rinascita spettacolare,
ma quieta continuità.
Il bosco, custode di antichi segreti,
torna a sognare —
non perché il pericolo sia passato,
ma perché la vita, ancora una volta,
ha imparato a restare.