Inno a Nisyros

Inno a Nisyros

I: Laggiù nella bocca del vulcano

Giù verso il fondo del cratere
pronto senza fatica e lestamente
alla fin del  tondo vaso giunto
così al cuor alla vista e mente
quali emozioni e sentimenti:
una bocca muta semispenta,
sacra vision  un tempo quando
di  fiamme vive fuoco ardente
di boati e gemiti nutrivasi sì che
alle ingenue antiche genti temuto
richiam era  a divine mitologiche
figure: ecco di Efesto il dio la fucina
fumante ardente negra poi quello
i Ciclopi  operosi chini  a lavorar
metalli, così cantavano  ancor
cantano i versi  di cantor  sì noti e cari.
Nel silenzio della distesa ampia
di fine terra fatta cristallina bianco
bianco‐cinereo il suo aspetto aspro
il sapor fumigante anco bruciante
per il nascente zolfo e suoi composti
ultima lenta a respirar fatica
rantolo agonizzante di quello
un tempo vivo e tonante fuoco
ecco tutto di colpo lì m’accolse:
storditi mi furon magicamente i sensi.
Così  estasiato  ilare degli affanni
dimentico del presente del tempo
quotidiano il pensier  ad altri tempi
corse, al ribollir del magma ardente
al crepitar di  fiamme rumor funesti
al timor della gente di allora alle ansie
loro al presagio forse di una cattiva sorte,
questo poi un tempo avvenne: spenta
sotto la cenere e sepolta  di Nisyros la vita,
caducità del tempo delle cose…

II: Il carrubo e la casa abbandonata

A distrar quei  filosofici ardui pensieri
caducità del tempo delle cose, sepolta
sotto la cenere di Nisyros fu la vita,
della mente l’errar  in altri sogni trasse
la salita,  la vista tolse il cuor scoppiare
asciugò la bocca di vita svuotò i polmoni
annebbiati  i pensieri fuorché uno:
cercare vivo o morto di risalir la china.
Così per dura risalita affranto corre
lieto il ricordo ad un carrubo stanco
che a una bianca  casa sola abbandonata
faceva  solitaria  struggente compagnia.
Nel silenzio dell’ora muto l’aria afosa
scanno gradito un  duro gradino
di granito sbriciolato dell’androne
frescura dolce all’accaldato corpo
quel tremolante  incerto per  rade
foglie dal vento mosse al sole forte
dell’Egeo filtro discreto della pianta.
La stanchezza languente quel silenzio
il sussurro del mare lieve da lontano
nuovamente portaron alla mente
a quel tentar del filosofare sognante mio.
Pensieri in libertà pura sciolta fantasia
scese poi rapida nell’ombra mobile la sera
una barca alla spiaggia sapevo mi attendeva
uno sguardo alla casa a quel carrubo
con me quattro carrube prese per ricordo.

III:  Un gatto grigio e una lucertolina

Nella brezza marina della sera l’onda
calma fendeva la barca, svelta da Nisyros
scivolando via una allegra boema compagnia
Skoda làsky cantava il verso di un gabbiano
lì giunto sopra in volo il canto accompagnar
parea altri i pensieri miei le riflessioni mie.
Lontano portavan le carrube acerbe nella mano
da poco colte là vicino dal carrubo stanco amico
della casa bianca da tempo ormai abbandonata.
Occhi spenti di quella le finestre marcescenti
dal tarlo tormentato della porta il legno suo
non metallo la serratura  ma ruggine ferrigna
qual rintocco funereo che timore al cuore dava
sbatteva lì pendolo dando colpo sopra colpo
al consunto palo di chiusura un cancelletto,
qual sentinella disarmata ad un orto un tempo
fitta qui sterpaglia disseccate erbe qualche cardo
raro, dentato: lignei frammenti, parte dei suoi
denti, a terra sparsi non più ritti storti al tocco
tremolanti i pochi tre o quattro sol i rimanenti.
Un grigio gatto  furtivo solitario che tra  l’erbe
arse qual segno di non spenta vita passò veloce
e fuggì via e quel danzar poi leggiadro sui muri
tormentati dal giallo‐verde color d’una lucertolina
che pur essa ratta ratta poi sparì entrando tra le crepe.
Nel luogo nel momento non segni di mera morte
lor solo e quel carrubo fisso senza movimenti
se non le foglie smunte da tempo per le latenti
spente cure a fatica mosse a toccar  più alto
il sovrastante cielo, solo secche carrube ai piedi
d’anima svuotate semimorti semi, non morte
ancor di vita vive davano segnale  quelle carrube
dal color acerbo poche che meste dai rami suoi
la residua linfa suggendo al tronco negavano
sostanza. Nisyros già lontana di Kos la spiaggia
più vicina cessato il boemo armonioso canto
quelle vite viventi la mente ancor portaron
a quel tentar voler filosofare sognante mio.
Di quel vecchio gatto grigio quali i suoi pensier?
Dove finita quella  lucertolina variopinta serpegiante?
Quali i legami e le  memorie loro forse un tempo
con chi  lì vi abitava lontano  poi  migrato penso
in cerca di  fortuna?  Si sarebbero un giorno
ignoto ritrovati  quale poi  la sorte qual il lor
futur destino? Pensieri in libertà pura sciolta
che allor vagava tanto fantasia e solo mia.
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Nisyros una picola isola della Grecia , situata a sud di Kalymnos e Kos e e a nord di Tilos, e stata formata da eruzioni vulcaniche con la quale s'intreccia la sua storia. Primi abitanti dell'isola furono probabilmente i Kari ma hanno lasciato tracce anche altri abitanti provenienti da Kos, Tessalia e Rodi.