L'uomo che lasciava cadere le parole

L’uomo che lasciava cadere le parole

Quando la notte respira di nascosto
ansimante
soffocando i vagiti ingenui del giorno
la baldanzosa alterigia dei pensieri lascia il posto alle ombre
esili presenze al cospetto del buio.
Le ombre sono come le increspature delle onde
può scorgerle solo l’occhio vigile, attento
a distinguerne il contrasto con il riflesso argenteo della luce
che dopo  il crepuscolo esala dai lampioni
o  promana dagli ultimi tenui raggi solari.
Procedeva assaggiando le strade con il suo passo cadenzato e lento
un vecchio dalla  barba bianca, umile
ma dignitoso nell’aspetto
che pareva avere singolare confidenza con le ombre
quasi fondendosi con esse.
Parole lasciava cadere
dal suo zaino lacero di anni
ma non se ne avvidero i passanti di turno
immersi nei meandri indefiniti dei loro labirinti.
Su tutto vegliava l’uccello sacro a Minerva
impassibile e distante dalle vicende umane.
L’uomo, avvezzo a vivere di notte
avvertì una presenza alle sue spalle
o piuttosto un tiepido calore
così diverso dalla gelida scia lasciata dai viandanti.
Dai delicati riccioli biondi
come spuntato dal nulla
un bambino gli apparve
che raccolte da terra due parole gli tendeva
con timido gesto di restituzione.
“Mettile in tasca” disse l’uomo
altrimenti si dissolvono nell’aria
perle preziose  poco avvezze a questo tempo.
Sono tue, se le vuoi – continuò il vecchio –
e puoi prendere anche le altre
tanto i passanti non sembrano curarsene
hanno sguardi fissi e menti così sature
come i loro computer pieni di virus.”
“A cosa servono?” chiese il bambino.
“Dentro di loro c’è la nostra memoria”
egli rispose
“per questo appaiono di notte
nella frenesia del giorno non potrebbero
sorelle come sono del silenzio.
E’ da là che veniamo, dalla terra del silenzio
mentre gli uomini sono smarriti nell’assenzio
di gorghi in cui annegano esausti
riflettendovi le loro iridi di pietra.
Se nessuno le raccoglierà
le parole resteranno sospese nella notte
confuse nella nebbia, come rugiada
che lieve al mattino si dissolve.
Ma tu chi sei, bambino
alieno dalle chiacchiere arroganti
scagliate al cielo da un delirio paranoico
che sfida i venti e i flutti degli oceani
e violenta le cifre della vita
confondendo vocali e consonanti
sacrificate all’altare di una lingua storpiata?”
“Vengo anch’io da una terra lontana
e martoriata dalle cicatrici della guerra.
Per questo vanno raccolte le parole
prima che la notte concluda il suo viaggio
e affidate alla pazienza di qualcuno
che con cura sappia cesellarle
strappandole ad una roulette da giocatori di dadi.
Angherie e mostruosi gesti, deportazioni e sguardi persi
di poveri spettri vaganti nel nulla
hanno visto questi occhi
in una terra priva di pietà
dove i capelli sciolti delle donne
da sempre simbolo di libertà
restituiscono alla terra la misera cenere
sparsa dal vento
che forse è proprio quella dei loro defunti
in un’immane fossa comune a cielo aperto
in grado di risucchiarti nell’eternità
di un male che trasforma la vita in un deserto.
Per questo, uomo che vaghi in confidenza con le tenebre
ho bisogno delle parole che lasci cadere
gendarmi della memoria e custodi del silenzio
in cerca di qualcuno che le sappia decifrare
per costruire nuovi sensi che lavino
il sudario delle nostre incomprensioni
e i capelli sciolti delle donne
saranno di nuovo baciati dalla luna.”
Così disse e si congedò con un cenno di saluto
prima di essere inghiottito dai tentacoli del buio.
E nuda spettatrice la notte
salutava le parole in attesa di un poeta
per brindare ad un canto che sfidasse la morte.