La frazione senza sole
Tra due montagne immobili e severe,
dove il cielo d’inverno sembra trattenere il respiro,
vive una frazione minuscola:
meno di cento cuori,
raccolti come brace viva sotto la cenere.
Da metà novembre a metà febbraio
il sole è un ricordo narrato,
una promessa oltre le creste,
e la brina — bianca sentinella —
riveste ogni cosa di un fragile vetro.
L’alba e il tramonto si confondono,
e un freddo più ostinato che altrove
stringe le case, mentre nei paesi vicini
la luce arriva puntuale
come un ospite gentile.
I pochi bambini che vi abitano
camminano lenti tra fiati di cristallo,
portano negli zaini sogni tiepidi
che nessun gelo può spegnere.
Giù in paese, gli altri ridono:
«Là non maturate! Senza sole
restare piccoli, acerbi,
frutti nati all’ombra!»
Ma loro tacciono e ascoltano il vento
che scivola tra le case basse
e racconta storie di resistenza.
Perché chi cresce senza sole
impara presto la forza segreta
di chi sa brillare da dentro.
E così tornano a casa sorridendo,
mentre la notte posa il suo mantello sulle strade,
convinti che un giorno quel buio lungo
sarà soltanto memoria
e li renderà più forti
di qualsiasi estate.